La Consacrazione è l’amore supremo di Dio
Mi chiamo Sr. Maria Evelyn Jonita Ratnaraj, appartengo all’Istituto religioso delle suore Oblate di Maria Vergine di Fatima. Un Istituto fondato in Italia, precisamente a San Vittorino in Roma, nel 1978 e approvato dalla Santa Sede nel 2001, durante il pontificato di Giovanni Paolo II.
Il nostro è un Istituto mariano, che affonda le sue radici nella spiritualità di Fatima. Maria Santissima apparendo ai tre pastorelli, chiese di offrire preghiere e sacrifici per la conversione dei peccatori e la salvezza delle anime: questo fare della propria vita un offerta a Dio per amore dei fratelli è diventato il nostro carisma…
Sono nata in Sri Lanka (Ceylon) il 1° Aprile 1975: giorno del “pesce di Aprile”. Di quel dì mia madre mi ha raccontato che nessuno in famiglia credette veramente alla mia nascita, pensando che si trattasse di uno scherzo. Così solo dopo avermi vista in ospedale hanno creduto! Inoltre, il vero scherzo fu che, mentre tutti aspettavano la nascita di un maschietto, sono nata io!
La mia mamma si chiama Mary Magdaline e il mio papà Christopher Ratnaraj. Mia madre è una teologa e mio padre è un ragioniere. Siamo sette figli, di cui io sono la quarta (4 femmine e 3 maschi). La mia famiglia è di origine cattolica, in essa, tra i miei parenti e i miei cugini, si contano 14 sacerdoti e 4 suore. Come è chiaro, il Signore non ha fatto mai mancare la sua benedizione!
Sono cresciuta in un ambiente religioso, circondata dall’amore di Dio e dalla sua protezione. Mamma e papà sono stati per noi figli una guida sicura in tutti i momenti della nostra vita. Pregavamo tutti i giorni il rosario e tutte le domeniche andavamo a messa. Mia madre era, ed è, una persona molto aperta, pronta a capire i nostri bisogni, e capace di intuire i nostri orientamenti, così ci dava tanti consigli per le nostre scelte di vita, lasciandoci sempre liberi.
La mia infanzia è stata tanto movimentata, perché ogni due anni cambiavamo casa, pur restando sempre in Wattala. Ci trasferivamo per motivi di lavoro, o anche a causa della salute del mio papà. Ci era necessario spostarci anche a causa dei mezzi pubblici, infatti, non avevamo la macchina, visto che in Sri Lanka solo i ricchi possono permettersela. La nostra è una famiglia normalissima, né ricchi né poveri, ma piena di valori e di affetto. I nostri genitori non ci hanno mai fatto mancare il necessario, non solo a livello materiale, ma anche curando con attenzione la nostra educazione. Papà si prendeva cura di noi: gli piaceva sistemarci, lavarci, vestirci, pettinarci e, in più, ci insegnava le buone maniere. Invece, la mamma si occupava degli altri lavori di casa e ci aiutava a fare i compiti.
Prima ancora di andare al catechismo sapevamo le preghiere a memoria, partecipare alla messa senza nessun problema e cantare i canti religiosi, grazie proprio a questa prima fase dell’educazione ricevuta dai genitori, dai nonni, dai parenti e dagli amici di famiglia. Tutto ciò è normale nel mio paese, infatti la famiglia è il primo luogo dove si impara l’amore per Dio e il rispetto per gli altri.
Ho iniziato la scuola all’età di 5 anni, direttamente dalla seconda elementare perché i maestri dicevano che ero molto intelligente. Insieme alla scuola, come tutti i bambini, ho iniziato anche a frequentare il catechismo, infatti in Sri Lanka il catechismo inizia contemporaneamente alla scuola ed è un percorso impegnativo e serio, che ha lo scopo di preparare le scelte della vita.
Io frequentavo il catechismo ogni sabato mattina e ci andavo volentieri, perché mi piaceva tanto sentir parlare di Dio, tuttavia non avevo nessuna intenzione di farmi suora.
Non consideravo mai l’ipotesi che io potessi avere la vocazione e non ero la sola a pensarlo! Mio zio sacerdote, vedendo che la nostra famiglia era molto religiosa, era convinto che qualcuno di noi da grande avesse abbracciato la vita religiosa. Lo pensava di tutti i miei fratelli, ma non di me! Io, infatti, ero ribelle e avevo già per il mio futuro altre idee e altri progetti.
Ho un ricordo molto bello della mia prima comunione: avevo otto anni e desideravo tanto ricevere Gesù. La suora che mi ha preparato alla prima comunione, oltre ad insegnare il catechismo, ci faceva conoscere la vita dei santi e a me piaceva molto ascoltarla, tanto che non saltavo mai una sola lezione. All’inizio dell’anno la suora ci ha consigliato di scegliere un libro di vita spirituale e leggerne tutti i giorni una o due pagine. Mia madre mi diede un testo che illustrava la storia delle apparizioni di Fatima ai tre bambini.
Fu per me una grazia leggere quel libro perché, anche se trattava di una storia lontana dalla mia realtà, avvenuta in anni lontani e diversi dai miei, sentivo che mi apparteneva, che mi cambiava dentro. Sentivo nel cuore il desiderio di fare qualcosa anche io per rispondere agli appelli della Madonna, che chiedeva ai bambini preghiere e sacrifici per la pace del mondo e la salvezza delle anime. Facevo tanti piccoli sacrifici e pregavo per queste intenzioni, pensando che, se Francesco e Giacinta, più piccoli di me, sono riusciti a fare quello che ha chiesto la Madonna, perché non potevo farlo anche io?
Questa la suora ci ha anche invitato a pregare tutti i giorni per due intenzioni particolari: io ho scelto di intercedere per le anime del purgatorio e per i sacerdoti. Ancora oggi continuo a pregare per queste intenzioni e continuerò fino alla morte!
Un mese prima della Comunione la suora ci ha parlato del tema della vocazione, dicendoci di chiedere al Signore questo dono per la nostra vita nel giorno in cui, per la prima volta, sarebbe venuto nel nostro cuore. Ricordo che questo pensiero mi fece molto arrabbiare perché non consideravo la vocazione adatta a me. Ne parlai con mia madre, che con un sorriso mi disse: «solo per questo motivo ti arrabbi così tanto? Se non ti va non pensarlo più». Al di là di questo, la preparazione alla prima comunione fu per me un periodo bellissimo. Mi dicevo: «devo ricevere Gesù, e siccome Gesù è buono, anch’io devo essere buona, altrimenti Lui starà male e soffrirà tanto». Mi ricordo ancora che il giorno prima della comunione, dopo essermi confessata, ho digiunato fino al giorno dopo, in attesa di Gesù. Prima di ricevere la comunione non ho bevuto nemmeno un bicchiere d’acqua e, anche se avevo fame, ho offerto tutto a Gesù. Quel giorno ho fatto l’esperienza viva di sentire Gesù dentro di me e desideravo custodire il mio Gesù come dono prezioso. Per Lui non volevo più litigare, non volevo più arrabbiarmi o rispondere male e desideravo obbedire ai miei genitori.
Ero una bambina molto vanitosa, vivace e libera, non avevo paura di niente e se una cosa mi sembrava giusta, secondo i miei criteri, la facevo.
A 14 anni ho fatto la cresima. In quel giorno sentii fortemente in me la presenza dello Spirito Santo, sentivo qualcosa diverso in me, una sensazione molto forte, che mi sconvolse nell’intimo e pregai tanto lo Spirito, affinché mi illuminasse. Non raccontai a nessuno questa esperienza così forte, né a mamma, con la quale di solito condividevo tutto, né alla mia sorella maggiore, che per me è come una amica. Non ne capivo fino in fondo il significato, ma ben presto decisi di non pensarci più. Una volta venne in casa un’amica suora di mia madre, la quale, vedendo che eravamo quattro ragazze, prese la mia mano e cominciò a dire a mia madre di mandare una delle sue figlie nella sua congregazione. Io, appena sentii questo, ritirai la mano da lei e scappai dicendo: «porta con te la seconda sorella, lei è più adatta per essere una suora, perché è molto pacata, calma e buona. Invece, io sono una “diavoletta”». Ma ancora il Signore bussò al mio cuore. In quell’anno incontrai una suora nella parrocchia, portava un abito lungo tutto celeste. Il suo velo era nero e nella cintura aveva un rosario. Sorrideva a tutti, ed era molta bella. La guardavo molto affascinata e dentro di me pensavo: «è così che deve essere una suora!». Era venuta dall’Italia per le vacanze e i suoi parenti abitavano proprio dietro casa mia, però io non l’avevo mai vista prima di allora. La salutavo solo da lontano e non capivo da dove nascesse questo mio interesse verso di lei. Era attirata dalla bellezza del suo abito, mi faceva pensare alla radicalità con cui il cuore si dona a Dio. Dopo un mese la suora ritornò in Italia e io ho continuato la mia vita, dimenticando questo evento. Avevo tanti amici, con loro stavo bene, giocavamo insieme e insieme condividevamo le idee e pensieri sulla vita. Dopo i 15 anni i miei amici cominciarono a vedere in me tanti piccoli cambiamenti, ero più calma e frequentavo di più la parrocchia e andavo spesso a messa. D’altro canto, anche io mi sentivo diversa e le cose di prima non mi attraevano più. Nel frattempo ho finito la scuola media (nello Sri Lanka si chiama G. C. E Ordinary Level, in scuola di St. Anne’s Convent) e ho iniziato la scuola superiore (G. C. E. Advanced Level, in St. Anthony’s girls School). Andavo a Colombo (la capitale dello Sri Lanka) tutti giorni, per frequentare la scuola e il dopo scuola. Stavo poco a casa e la maggior parte del tempo lo dedicavo alla parrocchia, perché appartenevo al Consiglio Pastorale, al Coro (2 lingue), al movimento per i giovani (Youth), ero catechista e appartenevo ad un movimento per aiutare i poveri (Charity Group). Nell’ambiente parrocchiale mi trovavo molto bene, per me era come una seconda casa. Addirittura tutte le domeniche tornavo a casa per il pranzo e poi ritornavo in parrocchia nel pomeriggio; papà mi sgridava, dicendomi di passare più tempo in parrocchia che in famiglia. Non rispondevo mai nulla alle provocazioni di papà, contando molto sul sostegno della mamma, senza il quale non facevo nulla.
In questi anni progettavo una vita come piaceva a me: pensavo ad una famiglia mia con 3 bambini, ad un buon lavoro e a fare carriera nell’ambito professionale. Appena terminata la scuola ho iniziato a studiare computer, ho fatto “Computer software Engineering” (informatica ingegneria). Nel frattempo mi sono fidanzata con un ragazzo che abitava vicino casa mia; veniva a casa mia perché era un amico di famiglia e nessuno sapeva del mio fidanzamento con lui. Ma qui avvenne il grande rovesciamento della mia vita, perché, invece di essere felice, mi sentivo sempre triste e mi sembrava di aver perso qualcosa di importante della mia vita e volevo scappare via da lui. Così ho capito di non esser fatta per la vita matrimoniale e cresceva in me la domanda circa la mia vocazione alla vita religiosa. Ho pregato tanto per chiedere la luce al Signore per capire quello che mi chiedeva, per conoscere ciò che abitava veramente nel mio cuore. La mia grande preoccupazione non era solo capire il progetto di Dio su di me, ma anche farlo capire ai miei genitori, ai miei fratelli e alle mie sorelle, da cui mi aspettavo di essere derisa e un sicuro rifiuto. Come potevano accettare questa mia decisione, loro che ben conoscevano il mio carattere e le mie idee.
Nel frattempo in questi lunghi anni la suora proveniente dall’Italia, e che tanto mi affascinava, continuava a venire in Sri Lanka per le vacanze, così un giorno ho trovato il coraggio di andare a trovarla, insieme alla mia mamma; quel pomeriggio abbiamo parlato di tante cose, ma mai dell’argomento vocazionale, perché ne avevo molta paura. Inoltre, in questi anni l’Istituto a cui apparteneva, aveva persino cambiato l’abito ed io, ora, ero confusa.
La suora mi ha lasciato il numero del convento in Moratuwa (30km da Colombo, che stata aperta nel 1997), dove risiedeva una comunità e ci siamo congedate promettendoci una preghiera reciproca. La mia mamma ha intuito qualcosa di ciò che vivevo dentro di me e, senza intromettersi “fra me e Dio”, mi domandò semplicemente: «Adesso che cosa voi fare? Pensaci bene».
In quel periodo frequentai alcuni corsi per completare i miei studi, iniziai a fare del volontariato in parrocchia e presso il centro dell’Istituto dei Cleritiani, i quali mi hanno chiesto di lavorare con loro, anche come segretaria. Ho lavorato persino nella loro libreria, aiutandoli nell’attività vocazione del loro istituto. Così ho conosciuto tanti sacerdoti e tante suore e tutti sapevano che ero in discernimento. Molti mi chiedevano di entrare nel loro Istituto, di fare una prova nelle loro congregazioni, ma io rifiutavo perché non mi sentivo attirata da nessuno dei loro carismi e continuavo a pensare a quella suora, in fondo sconosciuta, ma che parlava al mio cuore. Ero convinta che, se il Signore avesse voluto, sarei entrata nell’Istituto di quella suora venuta dall’Italia, della quale possedevo solo un numero di telefono: non sapevo il nome dell’Istituto, non conoscevo il loro carisma. Più tardi il numero di telefono si rivelò sbagliato, infatti quando chiamavo non rispondeva mai nessuno. Iniziò a divenire difficile capire cosa il Signore mi stava indicando. Tutti mi dicevano che prendevo in giro me stessa e gli altri, che non ero fatta per la vita religiosa e che non sarei mai riuscita a diventare una religiosa. Tante volte mi scoraggiavo e piangevo, in quei momenti cercavo di appigliarmi solo a Dio, mia sola sicurezza, colui dal quale non mi sentivo mai abbandonata. La stessa cosa diceva anche mia madre, mi ripeteva sempre ricordati che “tutto succede per il nostro bene” (ancora oggi queste parole mi risuonano dentro, infondendomi grande pace). Quando i miei familiari hanno saputo della mia decisione di consacrarmi a Dio hanno subito un vero e proprio “shock” e mi hanno opposto una grande resistenza. Gli unici a sostenermi sono stati il mio zio sacerdote, mia madre e, in un secondo tempo, anche il mio papà. Tutti gli altri pensavano che avessi qualche problema mentale, che fossi disperata e o che avessi paura di sposarmi, per questo ho affrontato tante sofferenze, difficoltà, incomprensioni e conflitti dalla maggior parte delle persone che conoscevo. Dicevo al Signore: «Cosa vuoi da me, dove sei in tutto questo che sto affrontando? Non capisco niente, vedo tutto buio davanti a me, dammi una luce!». Nel 2000, in occasione del Giubileo, è stata organizzata una mostra per presentare la storia del cristianesimo in Sri Lanka. Il responsabile, Mons. Emmanuel Fernando, attuale vescovo ausiliare di Colombo, che io già conoscevo da tanti anni, chiese a tutti gli Istituti religiosi di presentare il loro carisma e il loro apostolato. I Cleritiani decisero di mandare me come loro rappresentante a questo grande evento, che mi diede la possibilità di conoscere tanti seminaristi, suore e sacerdoti. L’ultimo giorno della mostra incontrai una signora, la quale mi diede un volantino che presentava la storia e la missione di un nuovo istituto….e quale sorpresa nello scoprire che si trattava proprio di quello che stavo cercando da tanto tempo. Il 25 Marzo del 2001 con la mia mamma andai a trovare le suore. Da quell’incontro decisi di dedicarmi con tutte le mie forze all’approfondimento della mia vocazione: lavoravo sei giorni a settimana e gli altri due andavo dalle suore per conoscerle. Il 25 marzo del 2002 sono entrata in convento: fu la grazia più grande della mia vita. Mi sentivo al posto giusto, era proprio quello che desideravo da sempre. Finalmente mi sentivo a casa! I miei genitori mi hanno accompagnata con amore fino alle porte del convento e lasciandomi mi dissero: «se non ti troverai bene e ti dovessi accorgere che questa non è la tua strada, ricordati che la porta di casa è sempre aperta. Tu puoi tornare quando vuoi». Avevo tanta paura: sapevo che stavo rinunciavo a tutto per dire il mio “Sì”. Affidarmi al Signore fu l’unica via che mi portò alla pace e alla gioia. Il Signore in questi anni mi ha purificato tanto e mi ha dato sempre la grazia per affrontare tutto, standomi sempre vicino con la sua fedeltà e la sua misericordia. I primi tempi sono stati molto duri (quando sono entrata avevo 26 anni), a causa dei tanti tagli, dei tanti cambiamenti che questa nuova vita comportava. Mi sembrava di dover ricominciare tutto da capo! Una voce interiore, però mi spingeva: «vai avanti non fermarti».
Il giorno della mia professione è stato il giorno più bello giorno della mia vita, la gioia più grande di tutte. L’ho celebrato nel 2009 in Sri Lanka, fu un vero e proprio evento, sia per la mia famiglia che per la mia parrocchia, infatti, era la prima volta che si assisteva ad una professione religiosa pubblica. Tutti erano contenti, anche i miei familiari: piangevano di gioia per me. Durante la messa sentivo solo la presenza di Dio e nient’altro. Solo Lui può dare la gioia senza limiti e senza riserve: come una sorgente quando sgorga dalla terra. Esplode, scorre continuamente senza fermarsi mai, perché vuole raggiungere il mare. Il mare è la meta della sorgente! L’amore di Dio è il mare che può riempire la vita di felicità eterna, quella pura, quella di essere la sua sposa.
Oggi sono qui a lodare il Signore e a ringraziarLo per sempre. Nella formazione ho studiato in varie scuole: l’ultima è stata l’USMI, iniziata tre anni fa. Questi 3 anni mi hanno aperto la mente e allargato la visione della vita. Studiare con tante suore provenienti da tutto il mondo è stata una ricchezza grande: scambio di cultura, di mentalità, di abitudini. Tutte unite da un unico scopo, quello di diventare buone catechiste nella Chiesa e per il mondo. Abbiamo fatto un bel cammino insieme, proprio come una famiglia, accettando la diversità e accogliendo l’altro come un dono. L’amore di Cristo si è manifestato su ognuno di noi, lo stesso amore, ma in un modo unico. Così ciascuna di noi porta il Cristo attraverso la propria testimonianza di vita unica e irripetibile.
Sr. Maria Evelyn Jonita Ratnaraj