UN SERVIZIO ALLA CHIESA
In questi anni di servizio ecclesiale all’ombra del cupolone mi sono ritrovata spesse volte a rivisitare con la memoria le tappe principali della mia vita, lasciando che il cuore si riempisse di volti, di nomi, di situazioni. Sono i volti di bambini, ragazzi, giovani, genitori, collaboratori che ho incontrato a scuola, nell’impegno pastorale in parrocchia per oltre 20 anni, e in varie altre esperienze significative, come quella nelle colonie estive, tra i terremotati dell’Irpinia, nella redazione di una rivista, nella quotidiana vita comunitaria. Mi hanno alimentata interiormente tanti rivoli di vita, di entusiasmo, di forza per cercare insieme cammini di novità e di verità.
Poi, improvvisa e inattesa per me, la svolta vaticana.
Cosciente che la mano di Dio ha guidato i miei giorni fino ad oggi, colgo, con cuore riconoscente, qualche particolare momento del mio servizio alla Chiesa, svolto in questi ultimi 24 anni.
Il 1° ottobre 1990 era iniziata per me la spola tra la mia comunità e un ufficio del Vaticano, per un compito da svolgere presso l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (A.P.S.A.), richiesto alla nostra Congregazione e accolto, dopo un non facile discernimento, in spirito di obbedienza e di amore alla Chiesa. Nel palazzo apostolico, dove si respirava la gioia della presenza quotidiana e familiare del Santo Padre, ho vissuto l’aspetto ‘feriale’ di un servizio ecclesiale, senza privilegi o distinzioni, senza flash mediatici, animata e sostenuta dal carisma di comunione delle Suore di san Giuseppe. Si è trattato di un lavoro di tipo amministrativo, in particolare nel settore della gestione delle risorse umane necessarie per gestire i vari compiti delle congregazioni, pontifici consigli ed enti della Santa Sede, svolto in costante e costruttiva collaborazione con superiori e colleghi.
La finalità ecclesiale ci coinvolgeva come in una grande famiglia, con la buona volontà e i limiti di ciascuno, al servizio della missione universale del S. Padre. Ho avuto tra le mani un gran numero di pratiche; in apparenza si trattava di ordinari documenti burocratici da studiare e portare a soluzione, ma dietro i quali ho cercato di cogliere sprazzi di vissuto di tante persone, volti di fratelli, situazioni di famiglie con gioie e fatiche, ansie e speranze, portando tutti in cuore e in preghiera.
Mi avevano molto colpita le parole pronunciate a braccio da Benedetto XVI, nel 2005 agli inizi del suo pontificato, in una visita ad alcuni uffici vaticani: “Noi lavoriamo perché le strade del mondo siano aperte a Cristo… perché il Vangelo, e così la gioia della redenzione, possa arrivare al mondo. Noi ci facciamo, per quanto possiamo, collaboratori della Verità, cioè di Cristo, nel suo operare nel mondo, affinché realmente il mondo diventi il Regno di Dio”. Insieme alla luminosa testimonianza di vita del Papa (ora emerito), esse sono state sempre per me una guida, specie nei momenti di fatica nel cammino.
Ora che questa esperienza di servizio si è conclusa, sento di dover tenere viva la “memoria grata” (EG,13) di quanto Dio ha scritto e operato nella mia storia, concedendomi di vivere una missione così particolare, senza alcun mio merito, in un ambiente unico nel suo genere.
Che cosa mi rimane in cuore?
Posso dire che è cresciuto in me un amore profondo alla Chiesa e al Papa. Ho avuto la grande gioia di aver ‘servito’ tre grandi Papi: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco, di averne colto, un po’ più da vicino, la statura alta della loro santità, la paternità tenera e forte del Pastore, a dimensione universale, la profondità della dottrina del Maestro della fede e il coraggio spesso eroico del Testimone. Ho capito, dalla tristezza provata in tante conversazioni, quanto sia necessario parlare della Chiesa come si parla della propria madre, con cuore di figli, soprattutto nei momenti in cui si vive (si è vissuto) la profonda sofferenza per la sua fragilità e limiti, comprensivi di tutte le nostre povertà.
All’amore per la Chiesa universale si intreccia in me quello per la Chiesa di Roma, che ha le sue radici nelle memorie gloriose degli Apostoli, dei martiri e di tanti santi; è la chiesa che continua oggi la sua missione di presiedere alla carità, al servizio dell’unità e dell’universalità, che si arricchisce della varietà delle culture e della fede dei popoli. Questo aspetto della cattolicità della chiesa, che si vive in modo tutto speciale a Roma, è stato per me un grande aiuto per allargare gli orizzonti della mente e del cuore, un continuo arricchimento per la mia vita di religiosa in una congregazione aperta alla missione ad gentes. L’esperienza vaticana mi ha concesso anche il dono di offrire un po’ del mio tempo al servizio dei poveri, accolti e amati dalle Suore Missionarie della carità, e di godere della presenza orante delle monache che si sono susseguite nel monastero ‘Mater Ecclesiae’.
In questo periodo in cui sto iniziando un nuovo capitolo della mia vita e mi trovo come di fronte a una pagina bianca di un diario, mi accompagna una domanda di Papa Francesco: “Ci lasciamo scrivere la nostra storia da Dio o vogliamo scriverla noi?”.
suor Margherita Colombero