Una superiora generale si racconta…

Come legge la società di oggi, soprattutto i ‘giovani’ di oggi.

Ci sono tante società quanti sono i contesti culturali. Tuttavia il fenomeno della globalizzazione, pur con accentuazioni diverse, apertura09-10_13_gavvicina le diverse culture con caratteristiche che in qualche modo le rende omogenee, almeno apparentemente. Molte società, soprattutto occidentali, sono segnate dalla crisi di fiducia nella vita e nel futuro, presentano segni di stanchezza, fanno fatica a scommettere sui giovani e sulla famiglia, mancano di una vera e propria visione, attivano relazioni spesso solo funzionali e stentano a favorire nei giovani progetti di autentica realizzazione umana. In queste società prevalgono le leggi di mercato che promuovono la cultura dello scarto. A soffrirne sono specialmente le persone fragili: i poveri, i bambini, i giovani, le donne, gli anziani, i disoccupati, i migranti.

Non mancano, tuttavia, segni positivi che accendono la speranza. È proprio dalla situazione in cui è sprofondato, che l’uomo di oggi può risorgere, risvegliarsi, prendere in mano il proprio destino, alzare gli occhi verso l’orizzonte e riprendere il cammino.

Nei giovani c’è una rinnovata voglia di esserci, di contare, di incidere sulle scelte, di essere artefici del proprio avvenire. Purché ci siano educatori pronti a fidarsi di loro che li accompagnino in un percorso che si presenta in salita, ma che porta in alto, spinge ad alzarsi in piedi.

Come Superiora generale di un Istituto presente nei cinque continenti, ho potuto visitare molte opere educative e sociali gestite dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Ho incontrato giovani di diversa età, provenienza, cultura, religione: giovani aperti, impegnati nella ricerca della verità e del significato da dare alla loro vita, ma anche giovani che percepiscono la fatica di sentirsi protagonisti vivi e attivi nel loro contesto. Le esperienze si differenziano per l’ambiente e il vissuto personale che li ha segnati in positivo o in negativo.

Ci sono giovani impegnati in un sereno e consapevole cammino di crescita umana e cristiana, e giovani toccati da antiche e nuove povertà; giovani indifferenti verso la vita che navigano nel relativismo mettendo tutto sullo stesso piano. Ma dove tutto ha il medesimo valore, niente ha veramente valore. La crisi esistenziale può rischiare in questi casi di prendere stabile dimora nel loro cuore. Tuttavia l’esperienza più forte e interpellante è che in questi giovani i sogni e le speranze non sono spenti, ma solo sopiti.

Essi desiderano essere attivamente coinvolti nelle decisioni che li riguardano, avere futuro. Hanno nostalgia di una famiglia come ambiente di identificazione e di autostima. Mirano a cercare un posto nella società che sia corrispondente alle loro attitudini, aspirazioni e preparazione. Credono in una giustizia sociale dove non ci siano poveri, esclusi, emarginati, sfruttati. Amano confrontarsi con adulti significativi, capaci di testimoniare quei valori che spesso sentono proclamare, ma poco vedono incarnare. Sognano un futuro in cui poter vivere relazioni di qualità che permettano a giovani e adulti di parlarsi con libertà e di crescere insieme nell’avventura della vita: una vita piena che solo l’incontro con Gesù, che è la Vita, può donare.

Non si tratta soltanto di vaghe aspirazioni. Non sono pochi i giovani impegnati nel volontariato che sanno farsi prossimo, considerano ogni essere umano come volto da amare, rispettare, proteggere, tutelare nella sua dignità e nei suoi diritti inalienabili. L’incontro con la precarietà, la debolezza, la povertà e le violazioni persistenti dei diritti umani fondamentali dà una nuova prospettiva, cambia i parametri di riferimento. Spesso diventano più fiduciosi e aperti alla vita, pronti a riconoscere i suoi doni, capaci di accorgersi degli altri, di capire le cause della loro sofferenza ed emarginazione.

Anche la partecipazione alle Giornate Mondiali della Gioventù rivela una generazione per tanti aspetti inedita: disposta a marce, fatiche, adattamenti, capace di interagire con varie culture e di arricchirsi della diversità, in grado di alimentare grandi ideali, di creare una rete di interscambio proficuo in cui condividere i valori evangelici, ritrovare o rinnovare la gioia dell’incontro con Gesù.

Cosa proporrebbe per una pastorale vocazionale ‘efficace’ oggi.

Parlerei piuttosto di una pastorale vocazionale feconda, trattandosi del mistero dell’azione di Dio nel cuore umano. Egli è il vero protagonista nel chiamare i giovani di oggi  a seguirlo. Ma sono convinta che Dio vuole aver bisogno della voce umana per fare sentire la sua chiamata.

Una pastorale vocazionale feconda non può che far leva su comunità vocazionali, formate da religiose/i e laici insieme: comunità come “luoghi dell’essere” dove ciascuna/o esprime la sua personale vocazione nella gioia di esistere e nella realizzazione della missione. Queste comunità sono “strada per l’incontro” dove i giovani si sentono accompagnati nella scoperta del progetto di Dio su di loro. Sono inoltre ”spazio di vita” nel quale tutti avvertono di essere coinvolti in un percorso la cui méta è la felicità. Compagni di viaggio nel percorso sono: religiose, laici e giovani, ciascuno con la propria unicità; la gioia è l’orizzonte in cui si cammina e la bellezza è dappertutto, perché la bellezza è nello sguardo credente.

Condizione essenziale per attivare questi spazi di vita, di gioia, di felicità è una comunità fortemente radicata in Gesù; una comunità carismatica animata dallo spirito di famiglia dove si vive con dedizione la propria vocazione e si testimonia, uniti, la gioia di una fedeltà operosa.

La proposta è dunque quella di ripensarsi non come comunità di sopravvivenza, ma come comunità dove si vive con passione e speranza, protesi a cogliere che cosa lo Spirito ci sta dicendo oggi e dove vuole condurci. Il futuro non può essere preventivato con semplici calcoli umani, ma accolto nel passaggio di Dio che sempre ci interpella e orienta il nostro sguardo a cogliere le sue sorprese.

La pastorale vocazionale va promossa a partire dalla rivitalizzazione dei membri, creando un ambiente dove si vivono relazioni umanizzanti, si testimonia la bellezza dell’incontro con Gesù che anche oggi ci rende capaci di generare, se siamo disposti a fidarci di Lui, un ambiente aperto alla vita e alla gioia e perciò interpellante.

Ci sono diverse forme di animazione vocazionale, ma la più feconda è quella legata alle narrazioni di vita, al volto, al gesto che configurano una vera e propria cultura vocazionale del “Vieni e vedi!”. È innegabile che Papa Francesco col suo modo di essere, di incontrare la gente, di parlare, di agire costituisce il più efficace contagio vocazionale, da cui possiamo prendere esempio. La pastorale vocazionale è l’esito di tutto il processo di pastorale giovanile impegnato ad aiutare ogni giovane a discernere il Progetto di Dio sulla propria vita.

Cosa significa oggi la Casa costruita a Mornese per una animazione alle religiose dell’Istituto

Mornese, per noi FMA, è la casa-simbolo dove tornare per ritrovare la freschezza carismatica. È luogo del cuore dove immergerci per rivivere l’esperienza delle nostre prime sorelle. Povere di beni materiali e di cultura libresca ma ricche di ardore apostolico, hanno saputo abbracciare gli ampi orizzonti proposti da don Bosco e dar vita a una Famiglia religiosa a servizio dell’educazione cristiana delle giovani. Maria Domenica Mazzarello, prima Superiora generale dell’Istituto, seppe animarlo attraverso una guida saggia, fedele e creativa secondo il progetto di don Bosco.

Nel 1877, a soli cinque anni dalla sua fondazione, l’Istituto salpava gli oceani per l’America latina. Da allora si è diffuso gradualmente nei cinque continenti. Attualmente siamo presenti in 94 nazioni con 1414 case. Così, da un piccolo seme è cresciuto un grande albero che ha esteso i suoi rami fino agli ultimi confini della terra. Don Giacomo Costamagna, direttore salesiano del Collegio di Mornese, che don Bosco inviò poi missionario in America, scriveva con nostalgia: “Noi abbiamo gli occhi della mente e del cuore rivolti a Mornese. È così piccolo questo paese, è un nonnulla questa casa, eppure per noi è il centro della vita”. Ecco Mornese: un piccolo paese, una semplice casa punto di riferimento vitale per l’Istituto delle FMA. Guardare a Mornese è un ritorno alla sorgente perché Mornese è luogo di unità e di comunione dove respirare il genuino slancio degli inizi, sperimentare lo spirito di famiglia e sentirsi cittadine del mondo; una realtà dove locale e universale, piccolo e grande, intimo e aperto ad ampi orizzonti si uniscono in sintesi. Per questo ogni FMA si sente allo stesso tempo cittadina di Mornese e cittadina del mondo, si percepisce in continuità con la scintilla ispiratrice che ha dato vita al nostro Istituto, si reimmerge nel corso della sorgente dello Spirito per attingere vita e gioia e aprirsi al futuro di Dio.

Mornese è il simbolo della casa, icona dai molteplici significati, che intendiamo costruire in ogni ambiente dove viviamo e operiamo. La casa rappresenta lo spirito di famiglia: uno stile di rapporti caratterizzato da semplicità, freschezza, immediatezza; uno spazio per i sentimenti, per l’arte del prendersi cura, specialmente dei più piccoli e deboli; un luogo di preghiera e di raccoglimento, ma anche una finestra aperta sul mondo, un punto di invio missionario.

Papa Francesco, nell’Evangelii gaudium, ci ricorda che la prima caratteristica della comunità ecclesiale è una Chiesa in uscita missionaria, tanto più capace di raccogliersi nel Cenacolo della preghiera, quanto più disposta ad allargare i suoi orizzonti al mondo intero e a farsi prossimo sulle strade del mondo. È una Chiesa pervasa dalla gioia di annunciare Gesù. “Essere con i giovani casa che evangelizza” è appunto il tema del nostro Capitolo generale XXIII, che si celebrerà da settembre a novembre 2014. Vogliamo focalizzare questi aspetti tipici del nostro carisma: la casa come famiglia, radice degli affetti più veri e dei valori condivisi, dove si attinge forza e coraggio per uscire ed evangelizzare, in comunione con tutta la Chiesa e in interazione con altre Famiglie religiose, con il coinvolgimento di laici e giovani, considerati non solo destinatari dell’annuncio, ma protagonisti da cui lasciarci evangelizzare il cuore.

Per il suo significato simbolico, da alcuni anni osiamo proporre l’esperienza mornesina anche ai laici e ai giovani. Mornese è la casa dell’amor di Dio che non ha perso il suo fascino.

Cosa significa oggi guidare una Congregazione sparsa nei 5 Continenti: bellezza, fatica … 

È sicuramente un sfida impegnativa ma anche un dono grande per il respiro universale che allarga gli orizzonti ed è fonte di gioia profonda. Come Superiora generale sono impegnata ad essere segno visibile di comunione servendo nelle sorelle il disegno di Dio secondo il carisma salesiano e le esigenze dell’ora attuale. La mia responsabilità principale consiste nell’essere vincolo di unità per l’Istituto assicurando fedeltà dinamica al carisma in continuità con la nostra Confondatrice, S. Maria Domenica Mazzarello. Si tratta di una responsabilità condivisa, in particolare, con le sorelle del Consiglio generale. Comunione, coinvolgimento, sussidiarietà, corresponsabilità sono dimensioni fondamentali per governare privilegiando la relazione e il dialogo, valorizzando la ricchezza della nostra famiglia internazionale e suscitando nelle FMA una rinnovata passione per la missione educativa in un tempo storico che chiama a porre segni chiaramente leggibili di amore preventivo. Il servizio di animazione a livello mondiale comporta gioia e speranza, ma anche responsabilità e fatica. È motivo di gioia l’aver ricevuto in consegna il miracolo di un Istituto unito nonostante la sua espansione, diverso nella ricchezza delle varie culture in cui si esprime, orientato decisamente alla ricerca di una rinnovata fedeltà nel vivere le esigenze del vangelo e del carisma, convinto della necessità di essere casa che evangelizza con la parola e con la testimonianza di vita.

I giovani che incontro nelle mie visite sono un grande dono che aiuta le FMA a mantenere un cuore sempre giovane, capace di aprirsi alle novità della vita e di donarsi totalmente con loro e per loro con l’entusiasmo e la creatività dell’amore. Il moltiplicarsi di laici attratti dal carisma salesiano costituisce una grande speranza e una forza straordinaria, sopratutto quando sappiamo creare sinergia e metterci in rete.

Vi sono poi le piccole gioie quotidiane che provengono dalla testimonianza di FMA che vivono in modo luminoso la loro vocazione. Sorelle felici che nutrono un forte senso di appartenenza e tornerebbero a scegliere di diventare FMA se dovessero rinascere. Le sorelle anziane e malate sono preziose banche spirituali a cui so di poter attingere specialmente nei momenti di discernimento. Personalmente mi sostiene sapere che la vera Superiora dell’Istituto, come diceva don Bosco, è Maria Ausiliatrice e che io ne sono soltanto la Vicaria, dunque una figlia docile e attenta, capace di affidarsi e di fidarsi, di condividere e collaborare con tutto il Consiglio generale.

È innegabile la fatica di guidare un Istituto così vasto: la sua unità esige un lavoro di tessitura quotidiana di fili di comunione, rispettando la diversità delle situazioni, assicurando che la linfa del carisma continui a scorrere genuina e che il Sistema preventivo sia non solo un metodo di educazione, ma una spiritualità. Il dono di nuove vocazioni é un segno dell’attualità del carisma. Sentiamo la responsabilità di accompagnarle perché vivano felici la loro chiamata e rappresentino un arricchimento per tutto l’Istituto. Insieme con i laici, con le/i giovani siamo consapevoli di mettere oggi i colori all’abbozzo del progetto che don Bosco aveva iniziato con Maria Domenica Mazzarello: un’avventura appassionante.

Ci avviamo verso il Bicentenario della nascita di don Bosco, nostro Fondatore. La speranza è quella di far rinascere in ogni FMA lo slancio del da mihi animas cetera tolle che bruciava nel suo cuore e in quello di S. M. D. Mazzarello, convinte che le sfide e l’impegno di individuare nuovi cammini di profezia trovino la loro base nella motivazione profonda di essere con e per i giovani segni dell’amore preveniente del Padre, casa che evangelizza con la vita: una casa, spazio di incontro con porte e finestre aperte per entrare, ma anche per uscire, così da incontrare le/i giovani e far sì che essi stessi diventino casa per altri giovani, soprattutto i più poveri. Ringrazio il Signore per i miracoli che opera ogni giorno nella nostra piccolezza. Mi auguro che la vita dell’Istituto sia un irradiare gioia e speranza in mezzo alle giovani generazioni dei cinque continenti, preparando, attraverso l’educazione, una umanità che sia  famiglia secondo il sogno del Padre.

 Madre Yvonne Reungoat fma

 

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This entry was posted on venerdì, gennaio 10th, 2014 at 14:15 and is filed under Senza categoria. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. Both comments and pings are currently closed.

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