L’APOSTOLO DELLA CARITA’
La storia ecclesiastica sarda del primo Novecento è stata segnata da una straordinaria figura di mistico evangelizzatore: il Servo di Dio Giovanni Battista Manzella, missionario vincenziano, apprezzato e amato come apostolo della carità.
Giovanni Battista Manzella, di origine lombarda, nasce a Soncino il 21 gennaio 1855 (Cremona), cresce in una famiglia semplice di modeste condizioni economiche che tuttavia esprime una fede robusta ed una carità ampia e fruttuosa soprattutto nei confronti dei poveri e degli ultimi: il giovane Manzella assimila ben presto tali sentimenti che risuonano nella sua anima trasparente per sfociare, in età adulta, nella vocazione religiosa.
Il Servo di Dio Giovanni Battista Manzella
Non realizza subito il suo desiderio per contribuire all’economia familiare con il lavoro, inizialmente di materassaio; frequenta le scuole tecniche (è un appassionato di disegno e matematica) e svolge a lungo l’attività lavorativa in un negozio di ferramenta, dove, in seguito ad una “voce interiore”, ha la conferma della sua chiamata a servire Dio nei poveri e nei peccatori.
Il suo ardente amore per Dio e la sua ansia redentrice per i peccatori trovano la loro naturale canalizzazione nel carisma vincenziano che incarna con vera passione, soprattutto in quella tensione caritativa verso i poveri che saranno sempre la sua primaria disperata preoccupazione. Così si esprimerà alcuni anni dopo, già prete della missione in Sardegna, nel bollettino “La Carità” da lui stesso fondato e curato:
La Carità non deve essere una virtù qualsiasi in noi, ma la prima virtù e deve essere esercitata con tutte le potenze dell’anima, con tutte le energie del corpo, con tutto il nostro cuore. Finchè c’è una miseria al mondo io non devo riposare tranquillo (“La Carità”, 1928).
Il 25 febbraio 1893 è ordinato sacerdote e dopo aver ricoperto diversi incarichi nella sua Congregazione della Provincia di Torino, viene destinato alla Casa della Missione di Sassari: il 14 novembre del 1900 il Servo di Dio approda in
Sardegna in uno dei periodi più drammatici della vita isolana per la realtà umana, sociale, religiosa di estremo degrado e per la povertà, materiale e morale, a tutti i livelli e in tutti gli stadi.
Da questo momento in poi non conosce tregua e per trentasette anni il missionario vincenziano percorre la Sardegna in lungo e in largo con i più svariati mezzi (anche a piedi!); nessun ostacolo lo può fermare in questa sua ricerca appassionata del povero, nel cercare e nel trovare sempre nuove e creative soluzioni, per la promozione umana e spirituale dei “poveri più poveri”.
Che cos’è la carità? E’ un raggio di luce che lotta continuamente fra tante tenebre, tra miserie senza fine, dolori senza nome (“La Carità”, 1927).
In questa infaticabile e ininterrotta opera evangelizzatrice spende tutte le sue energie fisiche e spirituali, per dedicarsi all’apostolato in diversi ambiti: predicatore delle missioni popolari, formatore del clero, direttore di anime, ispiratore e realizzatore di molteplici opere caritative.
Il povero diviene la ragione prima del suo apostolato in cui contempla il Cristo agonizzante e crocifisso; in esso contempla l’amore misericordioso del Padre traducendolo in gesti concreti di carità fraterna.
Il povero rappresenta Gesù e se io consolo Gesù salgo alle origini donde deriva ogni bene (“La Carità”, 1924).
Dalla mistica contemplazione del povero e dalla sua geniale e dinamica creatività, nascono e vengono da lui stesso promosse le istituzioni caritative, sorte in ogni angolo della Sardegna, a vantaggio delle categorie più trascurate ed emarginate: ospizi, orfanotrofi, asili, assistenza dei poveri a domicilio, assistenza ai carcerati e tante altre forme di aiuto ai poveri e ai sofferenti.
Vero conquistatore di anime, il Servo di Dio non perde occasione per opporre la sua “parola di fuoco” al subdolo e infiltrante paganesimo materialista e filo-socialista, con cui in più occasioni, nel corso delle predicazioni delle missioni popolari, si confronta per argomentare con l’unica autentica parola: il Vangelo.Così scrive nel 1928:
Il linguaggio più bello della Chiesa di Dio è la carità. Questo è il segno per cui i cristiani di tutto il mondo si conosceranno (“La Carità”, 1928).
Per tale motivo promuove il Movimento Cattolico e contribuisce alla fondazione del periodico settimanale “Libertà” e del periodico mensile “La Carità”.
Nel 1909 conosce Angela Marongiu, mistica sassarese, e ne diviene il suo direttore spirituale; solo dopo alcuni anni fonda insieme alla sua figlia spirituale, ispiratrice del carisma e preziosa collaboratrice orante nell’apostolato missionario, l’opera “manzelliana” più singolare: una comunità religiosa, la cui spiritualità trae origine dal mistero dell’agonia di Gesù nel Getsemani, con espressione apostolica finalizzata all’evangelizzazione e alla promozione umana dei poveri e degli ultimi.
Nel 1927, nella solennità di Pentecoste, nasce ufficialmente nella Chiesa sarda l’Istituto delle Suore del Getsemani .
La santità di vita di questo infaticabile apostolo del Vangelo è sintetizzata nelle parole dell’Arcivescovo Mons. Arcangelo Mazzotti – a quell’epoca Pastore della Diocesi Turritana –che hanno trovano il consenso di tutti: “Era l’incarnazione di quanto vi è di grande e di nobile, l’incarnazione della carità e della misericordia …. Esempio sublime di perfetta carità e povertà”.[1]
Il suo dinamismo missionario non conobbe sosta nemmeno in tarda età, consumando tutto se stesso per guadagnare a Dio il maggior numero di anime possibili, servendo Dio nei poveri e alleviando ogni genere di sofferenza.[2]
E’ carità squisita l’amare i poveri, i disgraziati, i ragazzi più abbandonati, i traviati dall’errore: l’amore suggerisce mille forme per manifestarlo (“La Carità”, 1924).
Padre Manzella muore a Sassari il 23 ottobre 1937, dopo alcuni giorni di agonia circondato dall’amore delle suore, dall’affetto e dalla stima di tante persone che accorrono da tutta la Sardegna, quando si diffonde la notizia della sua morte.
Egli è sempre vivo nella memoria dei sardi e soprattutto lo è nel loro cuore; attualmente le spoglie mortali del Servo di Dio si trovano nella Cripta della Chiesa del SS. Sacramento in Sassari e sono oggetto di venerazione quotidiana da parte di numerosi devoti e fedeli che si affidano alla sua intercessione e preghiera, nell’auspicio di poterlo indicare al più presto nella Chiesa come modello di santità e di evangelizzatore, il cui linguaggio è fatto più di gesti di misericordia che di parole predicate sulla misericordia.
«In questa complessa situazione, dove l’orizzonte del presente e del futuro sembrano percorsi da nubi minacciose, si rende ancora più urgente portare con coraggio in ogni realtà il Vangelo di Cristo, che è annuncio di speranza, di riconciliazione, di comunione, annuncio della vicinanza di Dio, della sua misericordia, della sua salvezza, annuncio che la potenza di amore di Dio è capace di vincere le tenebre del male e guidare sulla via del bene. L’uomo del nostro tempo ha bisogno di una luce sicura che rischiara la sua strada e che solo l’incontro con Cristo può donare. Portiamo a questo mondo, con la nostra testimonianza, con amore, la speranza donata dalla fede! La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore» (Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2013).
Sr. Maria Carmela Tornatore
Suora del Getsemani
srcarmela.get@tiscali.it
[1] Queste parole sono state pronunciate dall’Arcivescovo al termine della Messa da requiem in die obitus il 24 ottobre 1937, giorno immediatamente successivo alla morte del Servo di Dio.
[2] Anche San Giovanni Paolo II, nel corso della visita pastorale in Sardegna, accenna allo “zelo apostolico del Padre Giovanni Battista Manzella”, cfr. ‹‹Osservatore romano›› (21-22 ottobre 1985) p.5.