UNA CHIAMATA, UNA SCELTA, UNA RISPOSTA VARIOPINTA

La scelta

                      Sono nata in una famiglia profondamente cristiana, ma i miei genitori non normal_GEDC3756mi hanno mai proposto la scelta della Vita Consacrata. Il parroco, vero pastore e grande teologo, al quale ero legata da venerazione e affetto, mi ha introdotto, fin da bambina alla conoscenza dei vari stati di vita che una donna può abbracciare. Io ascoltavo con passione e attenzione le sue parole. Mi affascinava l’immagine della suora, sposa di Gesù, la quale, secondo le parole del parroco, poteva fare tanto bene al prossimo bisognoso.

Quanta alla scelta dell’istituto, nella mia città e provincia c’erano diversi monasteri di clausura. Durante la mia adolescenza, spesso la nonna mi mandava a portare alle suore di clausura più vicine a noi, un bel dolce fatto con le sue mani. Quando si apriva il grande portone, facevo in modo che non si chiudesse, prima di aver messo il mio sacchettino dentro la cosiddetta “ruota”. Quel portone mi faceva paura e mi impressionava il pensare che quelle suore dovessero stare tutta la vita in quel grande convento, senza mai uscire. Era certo che non avevo la vocazione alla clausura. Sempre nella mia adolescenza ho avuto l’opportunità di conoscere due istituti di vita apostolica. Uno di questi era dedicato all’educazione della gioventù, l’altro alla cura dei malati. Ho frequentato ben cinque anni di scuola presso il primo. Erano bravissime insegnanti quelle suore. Io davo loro molta soddisfazione nell’apprendimento delle lettere classiche e particolarmente nella lingua latina che studiavo con passione. Amavo lo studio e ciò che apprendevo entrava nella mia mente e nel cuore come un pane che saziava i miei bisogni. Più volte alcune di quelle religiose mi avevano proposto il loro istituto come luogo adatto a soddisfare il mio desiderio di farmi suora.

Qualche volta ho pensato anch’io di diventare una suora docente  di latino o di lettere come le mie insegnanti, ma, in realtà, quella scelta non appagava il mio cuore. Quando pensavo a questa possibile decisione, mi sentivo triste, il mio cuore soffriva. Provavo, invece una grande soddisfazione quando pensavo di farmi suora nell’istituto, dedicato ai malati, ai poveri, all’umanità sofferente. Portare la salute e la salvezza ai bisognosi era una scelta di grandi orizzonti che mi attraeva tanto, e crescendo in età, si consolidava. Così ho realizzato il mio sogno tra le suore Ministre degli infermi di san Camillo .

Una vita in crescendo

Negli anni della prima formazione alla vita religiosa ho gustato la qualità della vita comunitaria, non priva di comuni difficoltà, ma affascinante per la gioia e lo spirito normal_GEDC3726di famiglia che caratterizza le suore ministre degli infermi di san Camillo. Ancora di più ho gustato ed assimilato il carisma della beata Maria Domenica Barbantini che le formatrici mi hanno trasmesso con passione, con la testimonianza della vita, con l’esperienza da loro vissuta accanto ai malati.

In seguito sono stata inviata a Roma per gli studi specifici necessari allo svolgimento delle professioni sanitarie. Diplomata “infermiera professionale” e successivamente, in “abilitazione a funzioni direttive nell’arte infermieristica”, fui subito inviata nei pubblici ospedali in qualità di capo-sala a svolgere il ministero. Immersa in un’attività di grande respiro professionale e pastorale, ho vissuto anni di grande impegno e responsabilità, e di grandi sfide soprattutto accanto ai pazienti oncologici e ai morenti.  Ero gratificata da una solida identità professionale, ma sentivo che qualcosa mancava al mio essere “Ministra degli infermi” secondo le attese della chiesa post-conciliare. Fu così che nacque in me l’esigenza di studiare teologia a livello accademico, per  qualificare meglio la mia azione pastorale con i sofferenti, con i medici e gli  infermieri. Per questo fine ho conseguito, gradualmente, i tre i gradi accademici. In tal modo la teologia pastorale della salute e l’esperienza professionale mi hanno arricchito molto, consentendomi di essere, per chi soffre e per chi opera accanto al malato, quella ‘Suora’ che il mio cuore aveva sognato fin dagli anni della mia adolescenza.

Non sono però mancate le sfide e le difficoltà. Il rapporto con i malati è sempre stato fonte di grande responsabilità ma sempre  occasione di donare aiuto, speranza e consolazione. La sfida, molto spesso, è il personale sanitario, che talvolta non condivide i valori cristiani, apprezza l’operato professionale della suora, ma non la scelta religiosa della medesima, con le conseguenze che ne derivano.

Un’altra sfida gravissima è rappresentata dal cambiamento epocale del servizio sanitario nazionale di questi ultimi 20 anni. Tale cambiamento è rappresentato dalla nuova filosofia legislativa che non pone più il malato al centro del servizio sanitario, ma vi pone il costo, il beneficio e il profitto. Il malato diventa la merce. La nuova legislazione ha creato  gravi tagli alle spese sanitarie, e perciò alla possibilità di curare adeguatamente le fasce più deboli: i pazienti oncologici e i malati anziani. Ho sperimentato personalmente questa realtà, soffrendo con loro e per loro. La conseguenza più triste era quella di non poter trattenere nell’ambiente di cura pazienti ancora bisognosi di cure importanti che altrove non avrebbero potuto ricevere.. Ma i problemi legati a tale legislazione erano molteplici.

Molteplicità di servizi: impegni comunitari-congregazionali e servizio all’USMI

Coniugare contemporaneamente il triplice impegno: Comunità – Servizio allaCongregazione in qualità di superiora provinciale – Servizio all’Usmi come Responsabile dell’ufficio nazionale di pastorale sanitaria, richiede certamente: riflessione – metodo – programmazione e organizzazione.

normal_Con_Pl_12La comunità della casa provinciale, nella quale risiedo, ha una superiora locale. Questo è di grande vantaggio per me. Quando sono in sede, cerco di partecipare assiduamente, per quanto è nelle mie possibilità, alla vita della comunità: preghiera, pasti, incontri, ricreazioni. E sono molto contenta di farlo.  Le sorelle della comunità sono molto brave e generose, e in quanto è loro possibile, cercano di venirmi incontro e facilitarmi il compito.

Gli impegni congregazionali relativi al compito di superiora provinciale richiedono: frequenti viaggi, incontri di consiglio provinciale, incontri personali, tempi di ascolto, tempi di riflessione, molta disponibilità, duttilità negli imprevisti, ecc. A questi compiti se ne aggiungono anche altri a livello congregazionale.

Affinché  tutto questo possa essere svolto in tempo utile e nel miglior modo possibile,  cerco di realizzare  una  oculata programmazione degli impegni, ed una organizzazione dettagliata dei medesimi. Valuto le priorità e sviluppo un metodo. Naturalmente gli imprevisti non mancano mai e questi rendono difficile il percorso che deve essere adeguato alle nuove priorità.

Il servizio all’Usmi come Responsabile dell’ufficio nazionale di pastorale sanitaria, richiede un certo impegno e disponibilità. Sono sette anni che svolgo questo servizio e l’esperienza acquisita mi facilita il compito. Inoltre ho sempre ricevuto un grande aiuto e sostegno dalle segretarie che in questi anni hanno collaborato con me. Molto lavoro inerente al mio compito, posso svolgerlo nella mia sede di residenza, mentre la segretaria svolge il suo lavoro nell’ufficio sanità dell’Usmi. Oggi i mezzi telematici favoriscono la possibilità di interscambio di testi ed altro. Vi sono però dei tempi fissi che richiedono la presenza fisica della responsabile, quali le settimane dei convegni formativi per le religiose infermiere e i consigli plenari presso la sede dell’Usmi. Per quanto riguarda i convegni annuali, poiché la programmazione scientifica è di mia competenza, mi è possibile coordinarli nella mia agenda personale; mentre per i consigli plenari o di area, presso l’Usmi, si verifica, talvolta, la sovrapposizione con altri impegni.

Il servizio all’Usmi erogato dall’ufficio nazionale di sanità è indubbiamente un significativo contributo alla formazione permanente delle religiose che si occupano dei malati ed  anziani. Per questo svolgo questo compito con responsabilità e passione. Grazie.

 

 Sr Riccarda Lazzari

 

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Le mie avventure

Vengo da una piccola nazione del corno d’Africa, che si chiama ERITREA. Dopo trent’anni di guerriglia, nel 1993 abbiamo conquistato l’indipendenza dall’Etiopia. La Popolazione conta 4 milioni di abitanti. Siamo metà cristiani e metà musulmani .

Nel 1981, sono venuta in Italia come suora di voti temporanei, per prepararmi ai voti perpetui e per la missione ad gentes. All’inizio del 1983 sono stata mandata in missione nel Sud del Sudan dove ho lavorato per dieci anni. E poi sono andata in Uganda con le suore Sud Sudanesi che aiutavo nella formazione per tre anni. Sono stata trasferita poi in Kenia e vi sono rimasta 7 anni. Negli ultimi dieci anni sono ritornata al mio paese di origine e ho lavorato come maestra delle novizie.

Nella mia esperienza missionaria ho lavorato nella pastorale giovanile, nella preparazione delle coppie al sacramento del matrimonio, nell’insegnamento della vita cristiana nelle scuole medie e superiori.

 Nel 1990-1991 la mia congregazione mi ha preparato per lavorare nella formazione per una congregazione locale del Sud Sudan, che si chiama Missionary Sisters of the Blessed Virgin Mary. Per quattro anni ho lavorato nella formazione delle novizie di questa congregazione. Finito questo, mi è stato chiesto di lavorare nella formazione iniziale della mia congregazione per undici anni, tra postulandato e noviziato.

La mia congregazione è specificamente missionaria. Lasciamo il paese d’origine per il servizio dell’evangelizzazione, specialmente tra i poveri e abbandonati, dove il vangelo non è ancora conosciuto.

Sento in me il privilegio e orgoglio per la mia esperienza di missione, specialmente per aver lavorato in Sud Sudan, terra dove il mio fondatore, San Daniele Comboni ha lavorato e ha dato la sua vita. ‘Africa o morte’ era il suo motto sin da giovane. E quando fu sul letto della sua morte disse: ‘Io muoio ma l’opera non morirà’. L’opera continua attraverso di me e delle mie sorelle.

Il Sud Sudan ha avuto l’indipendenza solo l’anno scorso. La guerriglia per l’indipendenza ha incominciato nel 1983, l’anno che io sono andata in missione. Quindi, io posso dire che ho visto solo tanta sofferenza, povertà, miseria e morte. Quel che mi ha segnato specialmente è stato, tra gli anni 1988-1990, lasciare la missione di Rejaf (la mia prima missione) ed entrare in Juba unendoci per motivi di sicurezza alle altre sorelle che lavoravano lì. Dopo un po’ di tempo che eravamo lì, sono iniziati i bombardamenti aerei e i combattimenti nella cita’ e nei dintorni. Per questo motivo tutti gli ONG ed alcuni missionari sono scappati dal Paese. Anche noi siamo state incoraggiate dall’ufficio delle Nazione Unite a lasciare il Paese che era in pericolo.

Io, per essere sincera sentivo tanta paura e spavento specialmente quando le bombe ci cadevano vicino. Quasi volevo anch’io scappare; però in quel momento ero consigliera del consiglio provinciale, e dopo un serio discernimento ho deciso di rimanere nella missione. E posso dire che il Signore non mi ha solo protetto dalle bombe, ma anche mi ha donato una pace e una gioia grande, che fino ad oggi mi è di sostegno e fiducia. La gente e tutti i capi della chiesa locale hanno apprezzato la nostra decisione di rimanere con loro e ci hanno tanto incoraggiato e aiutate in tutti i modi. Così anche i nostri superiori maggiori, i missionari che sono usciti fuori dal paese, alcuni degli ONG da dove erano ci mandavano tanti incoraggiamenti. Quindi io posso dire che quello è stato il momento più bello e significativo della mia vita fino ad oggi. C’è più gioia nel dare che ricevere . È dando ( sacrificando)che ci arricchiamo con una gioia grande e pace interiore.

Sento che la missione è dare la propria vita, ma è anche una ricchezza. Aprendoci agli altri scopriamo, impariamo e riceviamo tante cose belle, come amicizia, saggezza, amore, fede … Si diventa membri di una grande famiglia, si superano tante barriere culturali, sociali e religiose. Io sento che la missione mi ha formato e trasformato aiutandomi ad essere più aperta,più accogliente, più rispettosa …

Ringrazio il mio Istituto di questa esperienza missionaria, che mi ha tanto aiutato e arricchito nel mio lavoro di formazione. Ricordo con tanto gratitudine e amore la gente del Sud Sudan, Uganda e Kenya, specialmente le persone che il Signore ha messo nel mio cammino di formatrice, postulanti e novizie che venivano da vari Paesi di Africa, con i quali ho avuto contatto personale di fiducia e di crescita. Ascoltandoli ho ricevuto molto e mi sento arricchita.

All’interno del mio Istituto mi sento una grande responsabilità e impegno per essere donne significative e autentiche nella Chiesa e nel mondo, non tanto col nostro fare ma con il nostro essere. Sento che dobbiamo testimoniare specialmente con il nostro relazionare tra di noi, nelle nostre comunità con amore, aprendoci e accogliendoci l’un l’altra.

SR DAHAB KIDANEMARIAM, SUORA MISSIONARIA COMBONIANA
dahabkm@gmail.com

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