RUOLO /IDENTIFICAZIONE: POSTILLA CRITICA

Come identificarci nel ruolo
Nella prima lettura continuativa dei contributi del nostro tavolo virtuale ho colto, qua e ruolo identificazionepostilla criticalà, l’eco di alcune considerazioni già emerse quando si è trattato di affrontare un tema non meno accattivante: “autentici e mascherati”. Mi sembra che ci siano alcune analogie e richiami soprattutto quando si evidenzia il rischio, così a portata di mano, di identificarsi con il ruolo che molte volte è il proprio “ruolo lavorativo”, al punto che quando ci si presenta si fa riferimento all’attività lavorativa: “sono un agronomo, lavoro in una multinazionale, sono un tecnico informatico, un insegnante …”.

Siamo consapevoli, per esperienza diretta o indiretta, che il ruolo può portare, gradualmente e rovinosamente, alla perdita, o almeno a un offuscamento, della propria identità profonda, inducendo ad assumere, di volta in volta, a seconda delle situazioni, identità virtuali, forzate e idealmente ‘sociali’. Molto acutamente un intervento, identificando la nostra società post-moderna come “società liquida”, secondo la definizione del sociologo Baumann, afferma che oggi «può prevalere anche l’identificazione con un ‘non ruolo’, perché siamo piuttosto degli Zelig in continua trasformazione, forse proprio per non essere prigionieri di un ruolo».

A questo punto, soprattutto, ho colto un’eco del tema della “maschera” e di alcune riflessioni emerse quando abbiamo appunto affrontato la relazione “autentici e mascherati”.

«L’essere, a poco a poco – dicevamo – è stato sconfitto dall’apparire in una società in cui l’apparenza è divenuta un bisogno primario dell’uomo contemporaneo che cerca di costruirsi una maschera per sembrare più adeguato o conforme alla società dell’immagine».

Sta qui il dramma del “mascherato”, nel non riuscire più a distinguere la realtà autentica di se stesso e della vita dalla sua falsificazione.

Se da una parte, dunque, dobbiamo riconoscere che l’identificazione con il ruolo è un sano modo di integrazione nella vita sociale, dall’altra parte, dato il suo peso nella costruzione dell’identità, è importante non lasciarsi intrappolare in una visione eccessivamente stereotipata.

È ritornato anche l’esempio dell’attore, chiamato a impersonare un ruolo, a diventare, di volta in volta, un “personaggio” che non è “lui”, nella sua identità più intima, ma in cui si deve identificare nel momento della rappresentazione per poi uscire da quel ruolo per ritornare se stesso.

Ma questa operazione la può fare positivamente solo chi si chiede e richiede “chi sono io” e sa darsi, nelle stagioni che cambiano, una risposta che lo faccia “sentire se stesso”.

Dagli interventi sul nostro tavolo emerge anche una costatazione in cui possiamo riconoscerci tutti: il fatto che «ognuno di noi ricopre nella propria esistenza diversi ruoli, possiamo essere figli e mariti, madri o sorelle, e poi suore o preti, scrittori o casalinghe, e ancora cristiani o buddhisti o atei, e così via». potremmo dire che è così sin da Adamo e Eva, se non fosse individuato «il problema odierno che consiste nella crisi dei contenuti storici di tutte le nostre identificazioni, e quindi nel travaglio di ogni ruolo». Per concludere che «il nostro è il tempo della trans-figurazione di tutte le figure identitarie, una fase molto critica e faticosa, in cui siamo tutti chiamati a rivedere le forme e i contenuti dei nostri ruoli, che magari da secoli si erano andati consolidando».

La soluzione è ancora e sempre il cammino di “autoformazione”, che esige di porci domande scomode in relazione ai nostri diversi ruoli e a come li viviamo e in essi ci identifichiamo, ma è anche la consapevolezza che abbiamo bisogno “dell’altro”, che sempre ci fa da specchio, della comunità, dell’ “Altro” per trovare risposte che aiutino a non arrivare a credere di “essere il ruolo” che mai è uno “status permanente” ma piuttosto un compito, un servizio, un incarico. “A tempo determinato”, sempre e comunque!

Tuttavia – ci ricorda un contributo – «l’identificazione con il proprio ruolo, quando la si vive con un certo grado di naturalezza, significa un sano modo di integrazione nella vita sociale, sia essa familiare che lavorativa, politica e religiosa. Quindi, noi tutti nella nostra vita sociale ricopriamo dei ruoli, con i quali spesso ci identifichiamo, per poi scoprire quando le circostanze esterne cambiano e mettono in crisi la nostra identificazione con quei ruoli che noi non siamo quei ruoli, ma siamo altro».  E su questo tema tutti i contributi sono davvero ricchi e, pur partendo da diversi punti di vista e esperienze, concordano negli elementi di fondo. Un invito, dunque, a rileggerli!

Con chi identificarci
Con “chi”, dunque, identificarci per superare i rischi sottesi a una identificazione acritica nel ruolo, con tutte le conseguenze che conosciamo?

Poiché nel battesimo siamo innestati in Cristo, che si è identificato prima con noi, l’unico cammino per noi è la nostra identificazione con Cristo. Ma il battessimo, oltre a vivere identificati con Cristo Gesù, ci offre l’opportunità per vivere come figli prediletti di Dio e portatori del suo Spirito. La vita di Gesù si legge non solo nelle pagine del Vangelo, ma anche nella vita di donne e uomini che sono veramente espressione di una vita che, partendo dal dono del Battesimo, rendono davvero presente il Signore. Ricordate la conclusione di quella preghiera del XIV secolo – Cristo non ha mani – “noi siamo l’unica bibbia che i popoli leggono ancora”?

«L’identificazione di qualsiasi credente – leggiamo in un contributo – avviene nel bene che compie e nell’umanità che costruisce intorno a sé. Il solo ruolo dei cristiani è essere “Cristofori”».

Si tratta di compiere un “passaggio esodale” – come lo definisce un altro contributo – «dal nostro io, invadente e autoreferenziale, al noi che è la comunità, che è la chiesa, che è il mondo».

E siamo in perfetta sintonia con il magistero e i “gesti” di Papa Francesco. È persino troppo facile trovare riferimenti in tale direzione, dal più “esotico” perché tratto dal discorso ai Vescovi della Corea (14 agosto 2014) al più vicino alla nostra realtà di vita consacrata, tratto dal Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale del prossimo ottobre.

Nel primo brano ai Vescovi della Corea, il Papa ci dice che «se noi accettiamo la sfida di essere una Chiesa missionaria, una Chiesa costantemente in uscita verso il mondo e in particolare verso le periferie della società contemporanea, avremo bisogno di sviluppare quel “gusto spirituale” che ci rende capaci di accogliere e di identificarci con ogni membro del Corpo di Cristo» (cfr Evangelii gaudium, 268).

Nell’altro testo il Papa ci ricorda che «i destinatari privilegiati dell’annuncio evangelico sono i poveri, i piccoli, gli infermi, i disprezzati e i dimenticati, perché esiste un vincolo inseparabile tra la fede ed i poveri». Per questo i consacrati missionari devono essere seriamente consapevoli che  «scegliere di seguire Cristo nella sua opzione preferenziale per i poveri non significa agire “ideologicamente”, bensì identificarsi con i poveri come ha fatto Lui, rinunciando all’esercizio di ogni potere per diventare fratelli degli ultimi, portando loro la gioia del Vangelo e la carità di Dio».

Raccolgo ancora da un contributo una parola chiara e forte del Papa nella Bolla di indizione del prossimo giubileo, Misericordiae vultus: è l’invito – ancora una volta! – ad «aprire il cuore a quanti vivono nelle più disperate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea».

La parola del Papa è così commentata: «L’identificazione nel ruolo mette automaticamente gli altri, coloro che costituiscono la comunità cui il ruolo si riferisce, in situazione di “periferia” creando dolore, sofferenza, aggressività, ferite. E Dio non voglia che tali sofferenze siano provocate (inconsapevolmente ma colpevolmente), ad arte, solo per sentirsi importanti e felici nel ruolo affidato». Dio, Padre misericordioso, certo non lo vuole. Ci impegneremo a non volerlo neanche noi.

Sr Azia Ciairano, smrp
Responsabile Ufficio Animazione missionaria USMI