Prendo spunto dai contributi del “tavolo virtuale”, cominciando “dal principio” per poi focalizzare qualche aspetto del complesso e coinvolgente confronto/scontro tra creazione e corruzione: “viviamo in una sorta di paradosso – leggiamo in un contributo – c’è tanta bellezza nel creato e c’è pure però tanta morte e tanta violenza. Amiamo godere di tutta questa ricchezza, ma sappiamo anche che le stesse leggi dell’armonia cosmica sono quelle che ci uccidono”.
In principio …
«Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31).
Il primo racconto della creazione in sette giorni, dal Caos primordiale all’uomo, e infine al sabato (cfr Gen 1,1-31) presenta come un processo ascensionale dall’indistinto, per separazioni successive, al complesso: la natura, venendosi progressivamente a definire, prepara e conduce all’uomo, maschio e femmina. Tutto ciò che è via via creato viene visto da Dio come buono, fino all’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio, che è giudicato “molto buono.
Il secondo racconto comincia dall’atto di Dio di creare l’uomo, per poi cominciare a creare attorno a lui tutto il resto: la natura, gli animali tutto è fatto per l’uomo, in suo aiuto, fino alla donna, l’aiuto migliore, perché è un aiuto simile a lui (cfr Gen 2, 7-25).
Questo è l’Eden, che è come l’archetipo della nostra idea di bellezza che ingloba in sé bontà e armonia. Un luogo, o una condizione, in cui l’uomo rappresenta il più alto grado di perfezione della bellezza, per cui la natura gli è sottomessa e a lui è affidato il giardino da coltivare e custodire.
Un commento di Papa Francesco su questo testo della Genesi ci offre un approfondimento sottolineando che, quando al sesto giorno del racconto della Genesi, arriva la creazione dell’uomo, “Dio dà all’essere umano un’altra autonomia, un’autonomia diversa da quella della natura, che è la libertà. E dice all’uomo di dare il nome a tutte le cose e di andare avanti nel corso della storia. Lo rende responsabile della creazione, anche perché domini il Creato, perché lo sviluppi fino alla fine dei tempi”. Quindi, “lo scienziato e soprattutto lo scienziato cristiano”, deve “interrogarsi sull’avvenire dell’umanità e della Terra e, da essere libero e responsabile, di concorrere a prepararlo, a preservarlo, a eliminarne i rischi dell’ambiente naturale e umano. Allo stesso tempo, lo scienziato dev’essere mosso dalla fiducia che la natura nasconda, nei suoi meccanismi evolutivi, potenzialità che spetta all’intelligenza e alla libertà scoprire e attuare per arrivare allo sviluppo che è nel disegno del Creatore”. Allora, spiega ancora il Papa “per quanto limitata, l’azione dell’uomo partecipa della potenza di Dio ed è in grado di costruire un mondo adatto alla sua duplice vita corporea e spirituale; costruire un mondo umano per tutti gli esseri umani e non per un gruppo o una classe di privilegiati. Questa speranza e fiducia in Dio e nella capacità dello spirito umano sono in grado di dare al ricercatore un’energia nuova e una serenità profonda.” Ma quando “l’azione dell’uomo distrugge il Creato, l’uomo prende il posto del Creatore e questo è il grave peccato contro Dio”. (Papa Francesco, Intervento alla Pontificia Accademia delle Scienze, 27 ottobre 2014)
Infatti proprio l’uomo, posto al centro del giardino, si taglierà fuori da questa armonia, la romperà quando pretenderà di essere lui stesso il padrone, il giudice del bene e del male, lui a determinare il bello e il brutto: e allora conoscerà il male che è l’espressione della dissociazione dal progetto iniziale e anche la vergogna della nudità, ovvero di una disarmonia con se stesso e con l’altro da sé. L’uomo e la donna non saranno più aiuti reciprocamente simili, ma reciprocamente istigatori di male e oggetto di scambi di accusa come responsabili del peccato.
«Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: “Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti”. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore […] Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco, essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra» (Gen 6,5-8; 11-12).
Dalla Creazione alla Nuova Creazione: la Via Crucis
Creazione e corruzione sono termini paolini, posti apertamente in antitesi nella Lettera ai Romani: «L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (8,19-22).
L’apostolo intravede quindi per tutte le creature non solo la liberazione dal peccato al quale sono state sottomesse, ma una vera e propria trasformazione, che le metterà in sintonia con la nuova condizione dei redenti. La liberazione delle creature infatti è orientata «verso la libertà della gloria (che sarà propria) dei figli di Dio».
Solidale con l’uomo nella rovina, la creazione è solidale con l’uomo anche nel cammino della salvezza. L’attesa del creato viene paragonata da Paolo a quella di una donna incinta che geme e soffre le doglie del parto: non, dunque, il gemito del disperato, né la sofferenza della sterilità, bensì la sofferenza carica di senso della donna che partorisce una vita.
Nei discorsi di addio Gesù per convincere i suoi che “la tristezza si cambierà in gioia” usa la stessa figura della donna che soffre le doglie del parto” (cfr Gv 16,20-23) ma poi dimentica la sofferenza per la gioia di aver dato alla luce un uomo: «è il Cristo che ci rivela la via della riconciliazione – ci ricorda un contributo – in lui possiamo iniziare in ogni istante quel processo che ridà alla creazione e all’uomo la sua integrità, indirizzandoci verso quel Giorno, in cui la corruzione verrà dissolta del tutto, e l’Eterno splenderà nei nostri corpi incorruttibili».
Ma la “via” che porta alla “nuova creazione”, come per Gesù, anche per i cristiani non può che essere una “Via Crucis”: l’appuntamento con l’ora della sofferenza e della tribolazione non si può saltare.
Teilhard de Chardin nella sua opera affronta più volte il tema della sofferenza e dei dolori che affliggono l’uomo, non identificandoli tout court come cause del peccato originale e, quindi, “mancanze” della creazione cogliendo in essi quella «forza ascensionale del Mondo» che deve essere in qualche modo liberata. In questo senso la croce di Cristo può essere vista come il simbolo di un’azione di eccezionale intensità. È come se, nel Cristo crocifisso, l’intera creazione si consumasse, senza tuttavia annientarsi: la forza creatrice, al contrario, libera tutta la sofferenza del mondo e la trasporta su un piano più elevato, verso una nuova creazione o meglio, come direbbe Teilhard, verso “una nuova fase della creazione”.
Ma c’è un testo significativo che vale la pena di leggere e meditare, tratto da Il significato e il valore della sofferenza (1933): «In un mazzo ci si stupirebbe di scorgere fiori imperfetti, “a disagio”, dal momento che i singoli elementi sono stati raccolti a uno a uno e artificialmente messi insieme. Al contrario, su di un albero che ha dovuto lottare contro gli incidenti connessi al suo sviluppo e quelli esteriori delle intemperie, i rami spezzati, le foglie lacerate, i fiori secchi, fragili o avvizziti si trovano “al loro posto”, esprimendo le condizioni più o meno difficili di crescita del tronco che li sostiene. Allo stesso modo, in un Universo dove ogni creatura formasse un piccolo universo tutto chiuso, voluto per se stesso e teoricamente trasponibile a volontà, avremmo qualche difficoltà a giustificare, nel nostro modo di vedere, la presenza di individui dolorosamente bloccati nelle loro possibilità e nel loro sviluppo. Perché questa gratuita ineguaglianza e queste gratuite restrizioni? In compenso, se il Mondo rappresenta veramente un’opera di conquista attualmente in corso; se, veramente, con la nascita veniamo lanciati nel pieno della battaglia, non possiamo fare a meno di intravedere che, per il successo dello sforzo universale di cui siamo insieme i collaboratori e la posta, sia inevitabile la sofferenza. Il Mondo, visto sperimentalmente al nostro livello, è un immenso brancolare, un’immensa ricerca, un immenso attacco: i suoi progressi sono possibili solo a costo di molti insuccessi e di molte ferite. I sofferenti, a qualunque specie appartengano, sono l’espressione di questa condizione, austera ma nobile. Non rappresentano elementi inutili o sminuiti, ma si limitano a pagare per la marcia in avanti e il trionfo di tutti. Fanno parte dei caduti sul campo» (J. Carles-A. Dupleix, Teilhard de Chardin. Mistico e scienziato, Paoline Editoriale Libri, Milano, 1998, p. 252).
Un testo che ci limitiamo a intuire – non essendo questo il luogo per addentrarci nella complessità del pensiero teilhardiano per cui ci vorrebbe ben altro spazio e competenza specifica – mettendo a fuoco il brano seguente: “ .. se il Mondo rappresenta veramente un’opera di conquista attualmente in corso; se, veramente, con la nascita veniamo lanciati nel pieno della battaglia, non possiamo fare a meno di intravedere che, per il successo dello sforzo universale di cui siamo insieme i collaboratori e la posta, sia inevitabile la sofferenza”.
Il tempo della responsabilità, oltre la corruzione dell’indifferenza
E qui raccolgo la riflessione pacata e interpellante di un monaco camaldolese, Lorenzo Saraceno, che traggo da un commento sui racconti della creazione: «Il culmine dei sette giorni è il settimo giorno, il sabato, il giorno del riposo di Dio, il quale viene dunque a costituire il vero centro della simmetria di cui si è fatto cenno. Il sabato è il giorno della libertà (per questo all’ebreo in quei giorni sono proibiti i lavori servili); il giorno della contemplazione gratuita del creato, del compiacersi di Dio per la bontà e bellezza dell’opera delle sue mani. Apparentemente l’uomo non c’entra con il settimo giorno: è il giorno per Dio, in cui sembra di poter scorgere fondamentalmente la rivendicazione del fatto che oltre al creato, fuori di esso e al di sopra di esso, c’è colui stesso che ha creato. Ma l’uomo c’entra eccome: perché il tempo del riposo di Dio è anche quello della responsabilità dell’uomo. Il tempo in cui l’armonia è posta nelle nostre mani, di noi che possiamo dare il nome alle cose, e renderle così belle o brutte. Saranno belle se conserveranno in sé l’immagine della gratuità e della libertà di Dio, se parteciperanno anche grazie a noi dell’immagine di Dio che è in noi: questa è la sfida della responsabilità che ci è stata donata, perché ci sia qualche bellezza che salvi il mondo».
E non è l’oggi, “questo” oggi in cui viviamo, il tempo della responsabilità, il tempo in cui l’armonia è posta nelle nostre mani, nelle tue e nelle mie?
Certo è così! Ma siamo anche consapevoli che oggi soprattutto si insinua quell’insostenibile corruzione dell’essere indifferenti, non dichiarata quanto piuttosto silenziosa, che lentamente scava e provoca quegli “smottamenti” che sono la manifestazione di uno spirito corrotto”.
Nel Messaggio per la Quaresima Papa Francesco ha ancora una volta evidenziato che una “attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale” tanto che possiamo parlare di una “globalizzazione dell’indifferenza”: un disagio – ammonisce il Papa – che, come cristiani, dobbiamo affrontare.
La “globalizzazione dell’indifferenza” è frutto di una “non considerazione della differenza”, ha commentato il segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum, monsignor Giampietro Dal Toso, sottolineando che l’indifferenza può manifestarsi sia a “livello interpersonale” che “culturale”. Se, infatti, “manca la differenza, è tutto uguale e dunque non è lecito a nessuno proporre qualcosa che sia più adeguato o meno adeguato alla natura della persona”.
“Essere indifferenti”, dunque, si dà quando non si coltiva in modo corretto la differenza. E se c’è incapacità di coltivare la differenza a qualsiasi livello, allora si è di fronte a una vera e propria “corruzione” dello spirito, di cui l’indifferenza è il sintomo forse più sottile che mette in atto anche una “dinamica anticreazionale”: laddove l’atto di creazione differenzia, l’essere indifferenti consegna il tutto al dominio dell’indistinto, del non-risolto. Dio con la parola opera “separando”, mettendo ordine e confini. La creazione diventa, allora, “momento di riconoscimento della differenza” , dove addirittura la distanza tra il Creatore e la sua creatura diventa il presupposto necessario che consente all’uomo di essere se stesso fino in fondo. Il confine può diventare allora il luogo dell’interscambio proprio perché è il luogo della differenza: ciascun uomo è confine per l’altro e ciascuno è a sua volta un territorio, al tempo stesso, familiare e straniero. Una vita di umanizzazione, antagonista a una “strategia dell’indifferenza”, passa soprattutto attraverso dei confini che possono aprire a un’inclusione, una comprensione, un abbraccio. Per educarsi a una “differenza possibile”, non si può far crescere una forte capacità di resistenza basata sull’etica della cura. Ogni resistenza, in quanto in forte tensione verso una nuova nascita, ha in sé una “componente pasquale” e, quindi, una “nuova creazione”: è un risorgere dalle proprie morti per far germogliare la vita (cfr F. Castelli, L’insostenibile corruzione dell’essere … indifferenti, «Servitium», III 199 [2012], 73-78).
Un contributo del nostro tavolo fa sintesi e apre alla speranza: «Ma creazione e corruzione sussistono e coesistono in ciascuna anima. Dove la corruzione e la corruttibilità possono convertirsi in una nuova esistenza grazie al perdono, alla gratuità. Sono i miracoli spesso invisibili ai nostri occhi, che accadono continuamente nel segreto di tanti. Profondità in cui le contraddizioni e le incoerenze personali non hanno paura di essere chiamate meschinerie, di palesarsi nella loro autentica identità, per essere risanate, guarite, abbracciate da parole e gesti di misericordia».
Sr Azia Ciairano
Responsabile Ufficio Animazione Missionaria
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