Se ne stava seduto poco più in là della soglia, per proteggersi dal sole che in quell’agosto di molti anni fa scaldava parecchio. Gli si accostarono due giovani suore con alcuni libri in mano. Una di loro gliene propose l’acquisto. Le scuse erano normali. Non aveva tempo per leggere… costavano troppo. L’altra suora si affrettò: “Prenda questo: costa poco ed è il libro più bello: il Vangelo”. Lo prese e, fortemente incuriosito, domandò: “Ma voi, perché fate questo?” – “Per il Paradiso” rispose la suora e lui di rincalzo: “Ah, voi avete questa speranza…”. “No – ancora la giovane suora – è certezza”.
Due posizioni: interrogante, inquieto quel contadino di fronte a due giovani donne che gli offrivano la possibilità di acquistare un libro in un orario non solitamente propizio per le passeggiate… Tranquille, quiete, ‘pacate’ le due suore, anche se anch’esse potevano avere in cuore le loro ansie. Erano coscienti di aver posto la propria esistenza nelle mani di colui che ha la possibilità di chiarire ogni dubbio, risolvere le incertezze, placare le tensioni.
Perché? Domanda fondamentale della vita: incunea la ricerca nel labirinto delle molte insicurezze e inquietudini umane. Dentro la quotidianità monotona e ripetitiva, in una vita affondata spesso nel grigiore di giorni sempre uguali o nella disavventura di una malattia, di un tradimento, di un insuccesso, a disastri umani, a bambini denutriti e quant’altro che produce incubo, la domanda consequenziale è: perché? Di fronte a una proposta apparentemente illogica l’affermazione amara ‘non capisco’ entra nella normalità e ti rimane dentro amara appunto; di fronte ad affermazioni assurde di una persona incompetente non resta che rispondere con il silenzio, ma visceralmente inquieti. Si è fatta memoria (20 giugno 2015) del ventennio della morte di Emil Cioran, uno scrittore esistenzialmente inquieto, tanto da domandarsi: “E se l’esistenza fosse per noi un esilio e il Nulla una patria?”. L’ateismo attuale, che è in crescita, secondo David Maria Turoldo, ha come caratteristiche l’inquietudine e la ricerca.
Socrate al suo discepolo Fedone, che cercava appassionatamente una risposta al destino dell’uomo, diceva: “Se tu vorrai attraversare con maggior tranquillità questo mare della vita, non hai che da abbandonarti alla zattera di una divina rivelazione”. Pur dando a tutte, proprio a tutte, le scienze umane il riconoscimento delle specifiche competenze e applaudendo ad ogni nuova scoperta e illuminazione umana, il libro che risponde a tutte le possibili angosce, domande, inquietudini è quel piccolo libro che la giovane suora propose a quel sagace contadino. “Tutti – direbbe David Maria Turoldo – siamo docibili da Dio”, verità somma, pace che placa, verità che è certezza.
Sr Biancarosa Magliano, fsp
Direttore responsabile
Io direi, quale contrario di “inquieti”, “soddisfatti”, piuttosto che “pacati”. Almeno se penso a quella inquietudine di fondo che quasi inevitabilmente avverte in sé un uomo che è attento a se stesso e alla realtà. Quel riconoscere, perfino nella bellezza del creato, la ferita della malattia, dell’invecchiare, della morte; così che tendendo l’orecchio si può percepire una incompiutezza, il “già e non ancora” di una creazione che attende di essere salvata.
C’è una inquietudine che è il segno di questa coscienza, e che non si trova nei disattenti e nei superficiali; in coloro che sono paghi, che sono soddisfatti, che hanno abbastanza e non avvertono radicale il desiderio di essere salvati – cioè, in realtà, di Cristo. Come dice Agostino, inquieto è il cuore dell’uomo finché non riposa in Te. E’ questa una inquietudine bella, anche se a volte, da portare a da vedere nei figli, dolorosa.
Marina Corradi
Giornalista Professionista Avvenire
Noi umani siamo inquieti, per natura.
Siamo infatti gli unici animali “mortali”, gli unici cioè che sanno di dover morire, gli unici che devono tenere insieme una coscienza nutrita di pensieri infiniti e di aneliti eterni, e un corpo destinato a rapida consumazione.
Questo paradosso esistenziale fa dell’essere umano un’entità inquieta, instabile, sempre in movimento, in mutazione; un essere storico, in altri termini, la cui vera natura è proprio la creazione incessante di linguaggi, di codici, di interpretazioni del proprio essere.
Dentro questa furiosa condizione noi cerchiamo la pace, ma spesso lo facciamo in modo del tutto erroneo, senza cioè affrontare le vere radici della nostra inquietudine.
Cerchiamo così di placarci raggiungendo traguardi mondani, di successo, o di potere, oppure anestetizzandoci con le droghe del sesso, delle telecomunicazioni, o magari delle “opere di carità”.
Le grandi tradizioni spirituali ci insegnano al contrario che la pace su questa terra è solo l’effetto di una costante vigilanza, di una lotta insomma contro quelle strutture mentali distorte e mendaci che ci affliggono con i loro falsi propositi.
La pace in un certo senso è solo l’effetto dell’attenuazione di quel senso di separazione che costruisce il nostro IO mortale, rendendolo tanto bramoso e insoddisfatto.
E’ solo morendo a questo IO mortale che sperimentiamo, a tratti, la pace di uno stato più unitario: la pace infatti è solo l’effetto dell’unificazione interiore.
Anche il Cristo ci chiama alla sua pace, insegnandoci ad attraversare e ad accettare quella morte del vecchio modo di essere umani, che è il fondamento stesso del nostro terrore e del nostro odio.
Per cui anche in questo caso incontriamo la paradossalità della condizione terrestre: la pace ci si dona solo attraverso una lotta fino all’ultimo sangue, e l’unica inquietudine sensata è quella per la ricerca della pace.
Marco Guzzi
Scrittore Saggista
Lo chiamano granello di sabbia. Ma lui non chiama se stesso né granello né sabbia. E che sia caduto sul davanzale è solo un’avventura tutta nostra, non sua. Per lui è come cadere su una cosa qualunque, senza la certezza di essere già caduto o di cadere ancora. (Wisława Szymborska, Vista con granello di sabbia)
Non voglio più essere giusto! Accanto a me passa la folla, donne, bambini, soldati: tutti gravitano sul confine di Dio. Silenzio, silenzio – la giustizia chiede ribellione – ma ribellione contro chi? (Karol Wojtyla, Simone di Cirene)
Un’imprevedibile pacata e un inaspettato inquieto, se dai poeti ci si aspetta qualcosa di rivoluzionario e dagli uomini di Dio qualcosa di rassicurante…
In questo tempo dove ormai si è arrivati alla rivendicazione di un diritto perfino all’inquietudine assolutamente personale, esclusivo ed escludente, altisonante e ambiguo alibi per chi non vuole comprendere le inquietudini altrui, sembra proprio il caso di dire: attenti a quei due…
Infatti quei due in realtà sono filosofi di quel “senso degli altri” che si fa consapevolezza e compassione e che si colloca a intercapedine tra l’inquietudine e la pace di un’umanità da loro considerata e veduta nel particolare di ogni suo singolo individuo, a motivo di una precisa comune esperienza che ne ha formato e influenzato entrambe le “vocazioni”. Questo profondo sguardo di entrambi sull’uomo ha radici nel personale, continuo sforzo di una storia di fatica e speranza attraverso la condivisa esperienza della storia dura e gonfia di inquietudini della loro patria Polonia, tra anni Venti e Anni Novanta del secolo scorso. Con le loro parole – lucidamente ironiche senza essere mai ciniche quelle di lei; essenziali e affatto semplici quelle di lui, scritte a poco meno di 40 anni e non ancora vescovo – mettono in guardia e richiamano sulla necessità di un’educazione dello sguardo profondo. Infatti, nel sottolineare sia il voler attribuire una storia a tutti i costi perfino a un granello di sabbia, sia il reagire senza porsi prima le giuste domande di fronte alla forza esplosiva e centrifuga di una pressione subita acriticamente, ci indicano quanto facilmente le nostre piccole inquietudini siano esposte all’esasperazione quando manca l’educazione a riflettere, a tenere la giusta distanza, ad avere la mente lucida sebbene non fredda, a mettere a fuoco il vero obiettivo in una visione più ampia e non egoistica. Nella diversità di pacificazione a cui approda la visione del mondo di ognuno dei due, scopriamo che se si sono lasciati andare all’inquietudine anche loro, tuttavia non hanno lasciato che si facesse affanno, sterile ossessione, egoismo: alla fine, per lei è l’incanto del continuo miracolo del mondo pur in uno spazio non lirico né retorico, con un orizzonte vero perché mobile; mentre per lui è tensione teologica dove il momento della volontà prorompe come una croce nella consapevolezza che la vita è semplice e grande e il suo profondo non finisce in me… la realtà è più splendida che dolorosa e tutto si può bilanciare con un gesto maturo e fermo.
Se quelle parole rischiano di rimanere impopolari non è tanto perché per molto tempo sono state tenute “nascoste” dagli stessi autori; o perché lei, nonostante il Nobel vinto ormai da vent’anni, è ancora troppo assente dai nostri banchi di scuola e dalla nostra cultura generale pur toccata da quasi i trent’anni di pontificato di lui; né perché lui non ha bisogno di presentazioni solo per quelli che, guardando un mantello rosso aperto all’improvviso per farci giocare a nascondino, si fanno bastare come unità di misura dello spessore di un magistero pastorale una generica tenerezza verso i bambini e si accontentano di confondere con una mossa teatrale la più profonda e complessa origine di un gesto iconizzato dalla memoria di molti.
Quelle parole rischiano di rimanere impopolari solo perché ci indicano che una via c’è ma è difficile: uscire dalla claustrofobica retorica dell’inquietudine con un gesto maturo e fermo e che non si chiude su di noi.
Simona Melchiorre
Archivio e ricerca storica Istituto Suore Rosarie
La definizione di sé non è sempre scontata, anche quando un individuo vive cronologicamente l’età matura. Anche il consacrato/a, se non è consapevole della sua identità come persona, rischia di strutturare il tempo nelle cose da fare. A volte, per soddisfare il suo bisogno di riconoscimento, intenta dei viaggi inesplorati ad intra e ad extra, unicamente perché è alla ricerca del proprio volto o di pezzi di sé. Quanto più rimane ancorato al bisogno di definirsi, tanto più attarda il contatto autentico con la sua reale esistenza, elemento che consente di riconoscere, accogliere e definire ogni altro/a che incontra.
La mancanza di consapevolezza della propria identità, tipica del tempo dell’adolescenza, porta l’individuo a rapportarsi con gli altri in base al ruolo, infatti stabilisce rapporti e non relazioni che richiedono il rispetto della parità, pur nella diversità dei ruoli. Attribuisce allo spazio abitato valore assoluto, in quanto considerato luogo che gli permette di definirsi attraverso le cose da fare.
Ruolo e persona non si identificano. L’identità è legata alla consapevolezza che uno ha di sé come persona esistente nel qui e ora, capace di sentire, pensare, agire con coerenza e fedeltà alle scelte fondamentali assunte al di là del tempo e dello spazio. Chi è consapevole di sé, gestisce il ruolo, assumendo il volto, le caratteristiche, l’esplicitazione del senso che in ogni momento dà alla sua vita. Se è vivere come Gesù Cristo, sarà ovunque persona di ascolto, di rispetto, di accoglienza della diversità, di pace, di gioia, di giustizia, di amicizia, di misericordia, di perdono, di amore…
Diana Papa osc
Abbadessa Clarisse Otranto
La nostra inquietudine nasce dal senso di ricerca della felicità, dell’armonia tra noi e gli altri, tra noi e l’universo, tra noi e il nostro io.
L’inquietudine ci fa muovere, ci spinge ad incamminarci in strade spesso sconosciute, ci rende ansiosi di raggiungere la meta dei nostri sogni e dei nostri progetti.
L’inquietudine dell’animo umano fa scaturire danni sociali spesso irreparabili: litigi, guerre, contese, divisioni, male.
Solo la fedeltà a Dio ci consente di essere sereni nel turbinio delle onde che si abbattono sulla nostra vita.
Siamo inquieti per il nostro lavoro, le nostre famiglie, il futuro dei figli, i soldi che non ci sono.
Solo dopo l’incontro con il Signore è possibile raggiungere la pacatezza dell’animo.
Dice il Salmo: “Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire”.
La tempesta e la quiete: Gesù riesce a domare le nostre apprensioni ed irrequietezze perché la Fede in Lui ci rende liberi da qualsiasi inquietudine.
“Lo salverò, perché a me si è affidato;
lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome” (Sal 90).
Corrado Stillo
Presidente dell’Associazione “Valore Salute”
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