Vecchiaia/Sapienza 1

anzianiSi chiamava Agostino e aveva 93 anni. Era cosciente che la sua barca ormai ’stava arrivando al capolinea’. Lo ha detto lui, sommessamente, al figlio maggiore e, molto sommessamente pregando, se ne è andato verso il tempo senza fine, il persempre. Una vita semplice, ma ‘viva’, a volte affaticante, vissuta su sentieri spesso impervi; vibrante e pacifica, armonica e lieta, a servizio quando lo richiedesse la gioia altrui, lo stare bene degli altri. C’è chi ricorda il suo ultimo ‘servizio’: scopare perché nessun petalo dei pittoreschi gerani esposti sul balcone rimanesse su quel pezzo di piazza sottostante. E lo rimpiangono…. Ecco la sapienza che sboccia, ti accompagna e ti matura nell’incalzante susseguirsi degli anni, e che nei labirinti dell’esistenza umana si ispessisce e perfeziona: essere gioiosamente a servizio sempre. Senza forzature. Senza stagnazioni, nei piccoli e nei grandi avvenimenti, con i limiti imposti dall’età, senza voler mai sopravvivere in un giovanilismo senza senso. Con la tenacia di una vita regolare, mai inchiodata sull’avere. Godere delle persone che ti ascoltano, percepire la bellezza di ogni nuovo incontro. Così viveva, ultimamente, quel ‘signore’ di 93 anni.
La vera sapienza di una vita ormai giunta alla vecchiaia sta proprio lì: nell’ammettere senza scossoni, senza rimpianti, senza nostalgie, che la propria barca sta raggiungendo la riva; che il tempo delle scelte è finito. Che il palcoscenico non serve più. Nulla ha più un carattere di assolutezza. La quotidianità monotona e ripetitiva, le difficoltà, le soste, le varie avventure sono tappe di un passaggio dall’amore all’Amore. E questo non permette di sottrarsi alle fatiche dell’esistenza che ancora rimane, e ancora e sino all’ultimo trovare le ragioni che non muoiono. Perché la vecchiaia non è mai noia; è la sintesi di fresche stagioni; è ammettere serenamente che la vita non ha inghiottito le proprie illusioni. La vecchiaia non è una speranza tradita; è una speranza diventata realtà. Già Jung affermava che il quarto e più alto livello dell’anima è, appunto, la sapienza.

Biancarosa Magliano
Direttore responsabile

Il binomio vecchiaia-saggezza non è sempre così scontato. Se si incontra un vecchio brontolone e stanco di vivere, si fatica ad intravedere la sua saggezza perché resta sepolta sotto il peso degli anni.
I due termini sono correlati da un’opinione comune e diffusa, quasi che il venir meno della prestanza fisica e delle forze del corpo porti naturalmente ad acquisire, per una forma di compensazione, saggezza, prudenza e serena valutazione degli avvenimenti.
Dice Hemingway: “I vecchi non diventano saggi, diventano attenti”. Si può concordare con lo scrittore; in effetti, un anziano, che non sia stato colpito da qualche infermità degenerativa e non si lasci soffocare dall’autocompatimento, sa porre attenzione per distinguere tra ciò che è essenziale e ciò che è superfluo, tra ciò che si deve lasciar perdere e ciò per cui valga la pena impiegare le energie che rimangono.
Il vecchio saggio non ha fretta; usa con calma il tempo che ha a disposizione e, a volte, ne ha tanto, per guardarsi intorno, per riflettere, per godere di un incontro, per rievocare, senza malinconia e tristezza, i ricordi degli anni trascorsi.
Se i suoi passi diventano più lenti e i movimenti del suo corpo più impacciati, non così il suo pensiero e l’acutezza del suo giudizio. Certo, se siamo di fronte ad un evidente deterioramento delle funzioni mentali non possiamo aspettarci che una persona anziana esprima pienamente la saggezza accumulata negli anni, ma anche allora, magari in mezzo a spaventosi vuoti di memoria o ad espressioni apparentemente sconnesse, è possibile trovare un barlume di saggezza. Ad ogni modo ritengo che di fronte alla vecchiaia, sia essa arricchita di saggezza o avvolta nelle nebbie dell’oblio, ciascuno si debba porre in un atteggiamento di saggio rispetto se non di profonda venerazione.

Angeli Lorena – Impiegata

E’ un binomio antico quello della vecchiaia insieme alla sapienza, la Bibbia ben lo conosce, ma anche le filosofie e le culture lo hanno per secoli professato. Eppure viviamo in un tempo che sembra smentirlo: viviamo il mito del “rimanere giovani” (si dice spesso “almeno nel cuore”!), dalle cure di bellezza alla lotta contro le rughe, dall’entusiasmo ostentato alle energie sempre ricercate. E sperimentiamo tutti che l’esperienza rischia di essere un ingombro in un tempo in cui il “nuovo” è molto più veloce delle nostre capacità di apprendimento (basta pensare alla tecnologia). E in una società in cui l’età media si alza sempre di più sperimentiamo e vediamo la fatica della vecchiaia, di un corpo che non risponde più, di una mente che si arrende alle abitudini consolidate e al “si è sempre fatto così”, progressivamente incapace di aprirsi al nuovo e a ciò che è da sperimentare.
Come possiamo dunque parlare di vecchiaia che sia anche sapienza? Far la pace con un corpo che ci parla e si trasforma, far tesoro di una vita che ci ha stupito e spiazzato tante volte e ricordare che a questo siamo sopravvissuti, fare dell’esperienza il luogo della misericordia (se io ho vissuto così, perché gli altri non potrebbero…): mi sembrano questi i tre elementi che consentono alla vecchiaia di diventare sapiente.
La docilità al nostro corpo che si trasforma è l’esperienza della nostra impotenza in ciò che più strettamente è nostro: siamo poveri, dunque!
La memoria dello stupore che la vita ha provocato quando non è andata come pensavamo è l’esperienza della nostra gratitudine per ciò che non ci siamo guadagnati e può ancora stupirci: siamo figli e fratelli, dunque!
Il passato come motore di misericordia è l’esperienza della nostra possibilità di amore: siamo padri, madri, generatori di vita, dunque!

Stella Morra
Teologa e docente presso la Pontificia Università Gregoriana

“I giovani, largo ai giovani, loro sono il futuro”: queste sono parole frequenti al giorno d’oggi, in un mondo in cui ci sembra troppo spesso dar più importanza al futuro che ad altro. Spesso ci si dimentica il presente e il passato. Coloro che hanno vissuto ieri e che vivono ancora oggi, coloro che hanno lavorato per creare un buon oggi, coloro che faticando ieri hanno raggiunto buoni obiettivi, sono spesso la vera anima del mondo. Proprio in queste persone alberga la saggezza di un’intera vita, nei nostri nonni sono racchiuse l’esperienza e la pratica, il sorriso di chi ne ha viste tante, misto al desiderio di essere presenti domani. Queste persone non solo hanno a cuore, come i giovani, il futuro, ma i loro consigli si basano sulla consapevolezza di saper cosa c’è stato, quali erano le condizioni di ieri e come si è arrivati all’oggi. Quindi sì, i giovani sono il futuro, ma gli anziani sono la saggezza, la consapevolezza, la sapienza, la pazienza, elementi fondamentali per il domani. Senza ieri non ci sarebbe oggi, senza oggi non c’è domani, senza saggezza e meditazione c’è improvvisazione e il mondo d’oggi dà poche chance a chi si butta senza pensare a ieri e senza valutare bene ogni mossa da fare.

Miriam Caprioli
Studentessa 5^ classe del Liceo Classico

Nelle civiltà di tradizione orale l’anziano raccontava la storia del villaggio, le tradizioni, le usanze, le favole… e i giovani apprendevano per tramandarle a loro volta. La memoria costituiva parte essenziale dell’identità di un popolo. La memoria era alimentata dall’ascolto fatto in comunità, a patto che gli anziani fossero rispettati e i giovani amati. Era come se il testimone passasse da una mano ad un’altra, come se la memoria dell’uno si riversasse in quella dell’altro, in una catena di comunione senza soluzione di continuità. Nell’era del virtuale, dove molto del sapere è affidato e tramandato attraverso la rete, come recuperare rapporti vitali in cui anche chi non è nativo digitale ha la dignità e l’autorevolezza per entrare in dialogo con gli ipertecnologizzati giovani, e trasmettere sapienza e tradizione? E’ una sfida per il nostro mondo in continua evoluzione. Perciò, sapienza dell’anziano sarà quella di trasmettere il proprio bagaglio di esperienza e di sapere, e la sapienza del giovane sarà quella di ascoltare e radicarsi nell’esperienza di chi lo ha preceduto per dare continuità ad una società aperte, accogliente e che si prende cura della persona, qualunque sia la sua condizione o età.

sr Maria Grazia Gabelli fsp
Segretariato internazionale di spiritualità

Nella nostra società potremmo dire che “vecchiaia” è sinonimo di “problema”: è la condizione di chi non è più produttivo nel sistema economico, di chi spesso ha difficoltà di salute, e magari non è più autosufficiente o, più semplicemente, è solo. Dobbiamo insomma riconoscere che è una parola che fa paura, che si cerca di sfuggire, proponendosi sempre in termini “giovanilistici”…. Ma non è che questo ci protegge (o ci proteggerà) dagli acciacchi o dagli altri problemi dell’età che avanza!
Senza voler cadere nello stereotipo del nonno anziano che dispensa saggezza ai suoi nipoti, è però bello che rimanga il rispetto per le esperienze di vita, per ciò che nelle loro vicende hanno visto e testimoniato, il confronto con i ricordi di un tempo che non abbiamo conosciuto, ma su cui si è fondata anche la nostra vita. Non saprei dire se quello che l’anziano ha acquisito con gli anni sia sempre “sapienza”. Ma certo è saggio per noi saperli ascoltare, e aprirci a ciò che la loro compagnia può insegnarci, invitandoci ad essere sempre più attenti e più concreti.

Laura Galvan, Insegnante di Lettere
Liceo Scientifico e Liceo Linguistico “Maria Consolatrice”

Agli inizi della mia vita religiosa ascoltavo ammirata i discorsi delle sorelle più anziane e mi chiedevo: io ci riuscirò? Vecchiaia sinonimo di sapienza-saggezza? Tempo addietro anziana era la persona sui 50-70 anni, oggi lo è dopo gli 80. Molto più di ieri, questa realtà accosta la canizie a una situazione di fatica legata a malattie senili. Resta pur vero che la longevità carica una storia di esperienze che se elaborate positivamente risultano in memoria saggia che si dona alle nuove generazioni. Sì donare perché la saggezza non si trasmette, la si vive e chi ne è attratto l’accoglie. Il detto, però, che l‘età porta saggezza non è assoluto e non lo è mai stato. La Bibbia più di duemila anni fa così si esprimeva: canizie per gli uomini è la saggezza, età senile è una vita senza macchia (Sap 4,9) e un detto togolese recita: la saggezza non dipende dal numero degli anni trascorsi con i capelli bianchi, ma dal numero dei passi effettuati verso di lei. Sapienza è riuscire a dar sapore all’esistenza e guardare con misericordia la memoria del vissuto, corto o lungo che sia; è valutare ciò che ci circonda e fare scelte di senso. Saggio è chi carpisce il significato della vita e della morte, della salute e della malattia, penetra il cuore degli avvenimenti ed è consapevole dei limiti propri e altrui, saggio è chi segue il cammino della santità. La storia ci regala vite di bambini e adolescenti che hanno suscitato e suscitano in chi li circonda la stessa domanda che si ponevano i conterranei di Gesù, adolescente e adulto: da dove gli viene tanta Sapienza (Lc 2,47; Mt 13,54)?

Sr Maria Luisa Gatto
Serve di Maria Riparatrici Ciconia-Orvieto
g.mluisa@smr.it

Siamo in ottobre, mese colorato, ma malinconico.
Ai giorni della vendemmia e ai colori accesi della campagna si alternano, infatti, i silenzi delle prime giornate di pioggia e il raccoglimento proprio delle nebbie.
Il declinare della natura e il cadere delle foglie suggerisce una meditazione sulla vecchiaia.
Quanti anziani intorno a noi. Tanti.
Troppe volte soli. A volte, dimenticati.
Non può essere così, non deve essere così.
La vecchiaia merita il nostro rispetto.
A loro dobbiamo molto (sono le radici delle nostre radici), a loro dobbiamo guardare, in virtù della saggezza, come esempio per il difficile cammino della vita.

Minotti Roberta
Insegnante di lettere

“I vecchi un po’ contadini
che nel cielo sperano e temono il cielo…
i vecchi vecchie canaglie
sempre pieni di sputi e consigli…”.
Parole di un famoso cantautore, ma significative. Sono una fotografia della saggezza delle persone anziane. Gli anziani hanno da sempre gli occhi al cielo sia per il tempo sia per una sguardo verso Qualcosa di più grande e forse troppo poco distante. Il senso di rispetto della potenza del tempo. E i loro consigli: la saggezza dell’anziano. Per ogni cosa trovano il giusto proverbio. Il capello canuto non è solo segno del tempo che è trascorso inesorabilmente, ma è segno di un’esperienza che ha reso saggio. Un vissuto che è entrato dentro e ha reso l’uomo forte, capace di affrontare anche fatti dolorosi, fatti felici nella propria esistenza. Questa forza forse è ‘l’arma’ vincente per affrontare la fine della vita terrena.

Paleari Patrizia

Tra le opere letterarie più importanti in cui è stato affrontato il tema della vecchiaia un posto di rilievo merita senza dubbio il De senectute di Cicerone. In questo libro l’oratore romano difende la vecchiaia dalle accuse che da più parti vengono ad essa indirizzate. Egli sostiene che la vecchiaia non distoglie l’uomo dalla vita attiva, la quale anzi può essere portata avanti anche in età avanzata: Cicerone afferma che per le attività della vecchiaia è sufficiente la forza spirituale, che è in grado di sopperire alla perdita graduale di quella fisica. Per Cicerone il segreto dell’arte di invecchiare risiede nel mantenersi vitali, nel coltivare interessi e nel condurre uno stile di vita semplice e regolare. Sommamente saggio risulta colui che accetta la vecchiaia come la naturale conclusione della vita, come l’ultimo tratto di una lunga navigazione prima di approdare in un porto sicuro.

Nicola Poerio
Insegnante di Lettere al Liceo