Profumo di tigli
Non riesco mai a leggere i contributi con distacco critico, perché subito mi sento coinvolta nella riflessione che, soprattutto questa volta, mi è sembrata “narrazione” di vissuti personali, di esperienze di incontri e scambi intergenerazionali che hanno colmato o forse anche deluso, desideri e attese, ma che, comunque, hanno confermato il bisogno unanime di un reciproco ascolto tra vecchi e giovani, sintetizzando che «sapienza dell’anziano sarà quella di trasmettere il proprio bagaglio di esperienza e di sapere, e la sapienza del giovane sarà quella di ascoltare e radicarsi nell’esperienza di chi lo ha preceduto per dare continuità ad una società aperta, accogliente e che si prende cura della persona, qualunque sia la sua condizione o età».
Mi è sembrato interessante che quasi tutti gli interventi abbiano evidenziato che il “problema” non è la saggezza acquisita e dimostrata dalla persona anziana ma piuttosto la disponibilità di accoglienza e di ascolto da parte di chi è più giovane, consapevole di non poter costruire un futuro se non ben radicato nell’esperienza di chi l’ha preceduto, pur superando lo stereotipo «del nonno anziano che dispensa saggezza ai suoi nipoti».
«Non saprei dire – conclude lo stesso intervento – se quello che l’anziano ha acquisito con gli anni sia sempre “sapienza”. Ma certo è saggio per noi saperli ascoltare, e aprirci a ciò che la loro compagnia può insegnarci, invitandoci ad essere sempre più attenti e più concreti».
In un altro contributo ho colto un ulteriore punto di sintesi quando si afferma che «nell’anzianità, molto più che in altri momenti della vita, la vera sapienza sta semplicemente nel restituire tutto ciò che si è ricevuto», per concludere con una citazione di Gustav Mahler (1860-1911), compositore e direttore d’orchestra austriaco. «Tradizione non è / culto delle ceneri / ma custodia del fuoco», è tenere acceso un fuoco ardente per le generazioni future!
Quasi a dire che la saggezza di una vita che ha ormai varcato la soglia della vecchiaia si esprime “al meglio” quando si concretizza in una restituzione generosa e gratuita del “tutto” ricevuto, consegnandolo, semplicemente, senza alcuna pretesa di tornaconto ma per tener vivo, fino al compimento, un rapporto di amore e amicizia con tutti, comunicando rispetto per la vita e collaborando a fare più bello il mondo che si dovrà lasciare.
E mi sono venuti in mente due testi, uno autobiografico di Enzo Bianchi, fondatore del Monastero di Bose, che alla soglia dei settant’anni sente il bisogno di condividere il suo “viaggio nella memoria”, e un apologo dello scrittore uruguayano Eduardo Galeano: li ho scelti come “cornice” di questa postilla, l’uno all’inizio e l’altro alla fine, perché con un linguaggio evocativo e metaforico ci offrono una nitida e interpellante sintesi delle “voci a confronto”.
«Quest’anno ho piantato un viale di tigli lungo la stradina che conduce al mio eremo: mi son chiesto se riuscirò a godere della loro ombra e soprattutto delle ventate di profumo dei loro fiori nel mese di maggio. Ma li ho piantati per rendere più bella la terra che lascerò, li ho piantati perché altri si sentano inebriati dal loro profumo, come lo sono stato io da quello degli alberi piantati da chi mi ha preceduto. La vita continua e sono gli uomini e le donne che si susseguono nelle generazioni, pur con tutti i loro errori, a dar senso alla terra, a dar senso alle nostre vite, a renderle degne di essere vissute fino in fondo» (E. Bianchi, Ogni cosa alla sua stagione, Einaudi, Torino 2010).
La beatitudine della vecchiaia
I contributi sulla vecchiaia hanno messo in risalto che quando si parla di vecchiaia si deve fare, realisticamente, un “discorso plurale” che si fa diverso per ogni anziano prestando attenzione alle situazioni di salute fisica e mentale in cui ciascuno si viene a trovare, ma anche ai contesti socio-culturali in cui si vive, alle persone che gli sono accanto che possono accompagnarlo oppure ignorarlo e lasciarlo solo nel compito di vivere la vecchiaia come compimento e non come interruzione o come fine.
Resta comunque vero che la vecchiaia è vita a pieno titolo – «Si vive finché si muore», scriveva la monaca benedettina Joan Chittister! – tanto che la S. Scrittura riconosce in una “lunga vita” il segno di una speciale “benedizione”
Il Salmo 91, all’ultimo versetto, contiene questa promessa di Dio per il “giusto” che lo cerca:
« Lo sazierò di lunghi giorni e gli farò vedere la mia salvezza».
Quando la Bibbia descrive una persona che muore in età molto avanzata, usa l’espressione «morire sazia di giorni», come è detto di Abramo, di cui è scritto: «Poi Abramo spirò e morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni, e si riunì ai suoi antenati» (Gen 25,8).
Morire «sazi di giorni», non vuole certo dire “averne abbastanza della vita”, ma piuttosto morire “soddisfatti” della vita che si è vissuta, nella consapevolezza di avere cercato di adempiere ciò per cui Dio aveva chiamato all’esistenza.
Forse non è un caso che il Vangelo di Luca si apra con due figure di anziani: Simeone e Anna che riconoscono e indicano Gesù come Messia.
L’anziano fa segno, indica, trasmette un sapere. Ed è, con la sua vecchiaia pacificamente assunta davanti a Dio e davanti agli uomini, un segno di speranza e un esempio di responsabilità. Una vecchiaia, dunque, che riconosce nella «quotidianità, nelle difficoltà, nelle varie avventure attraverso cui il corso della vita si è dipanato, le tappe di un passaggio dall’amore all’Amore. E questo non permette di sottrarsi alle fatiche dell’esistenza che ancora rimane, e ancora e sino all’ultimo trovare le ragioni che non muoiono».
Il compito “testimoniale” della vecchiaia
La vecchiaia riceve, dunque, dalle indicazioni bibliche, come in tutte le antiche tradizioni religiose, un avvenire: essa ha il compito di trasmettere la sapienza e il patrimonio umano e religioso accumulato nel lento scorrere delle vicende umane. L’esperienza degli anni diviene sapienza come “arte del vivere” e fa degli anziani persone di discernimento e capaci di consiglio. Certo, l’equivalenza tra vecchiaia e sapienza, come emerso nei contributi, non è per nulla assoluta né scontata ma per la Bibbia quest’ultima stagione della vita se, da una parte, è caratterizzata dalla diminuzione delle forze, dall’altra è accompagnata da un arricchimento e una intensità interiore. Proprio come scrive San Paolo : “se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16)
Ma una vecchiaia “così” non si improvvisa: per vivere bisogna imparare a vivere! È una attività che ci accompagna per tutta la vita, perché anche a sessanta, a settant’anni e oltre, apprendiamo a vivere fino a imparare a morire.
Interessante il detto togolese che recita: «la saggezza non dipende dal numero degli anni trascorsi con i capelli bianchi, ma dal numero dei passi effettuati verso di lei».
Si tratta anzitutto di accettare pienamente l’avanzare della vecchiaia come condizione per non viverla come tempo di rimpianto e di nostalgia, ma per valorizzarla come tempo di essenzializzazione e di interiorizzazione proprio all’interno di quel movimento di «assunzione della perdita» che assimila la vecchiaia a un movimento di kénosi. «Ciò che la giovinezza troverà al di fuori, l’uomo nel suo meriggio deve trovarlo nell’interiorità» (C. G. Jung).
Non ci sembra di ascoltare ancora una volta la parola di Paolo ai Corinti? «Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!» (1Cor 7,29-31).
In un tempo “abbreviato” Paolo indica come vivere, facendo delle esemplificazioni concrete accomunate da una nota – “come se non” – che non suggerisce tanto o soltanto l’ascetica della rinuncia, ma piuttosto la novità di un modo diverso di guardare, valutare e vivere.
“Come se non” è un’espressione che dice molto efficacemente un modo di vivere il tempo, sempre davanti a Dio e nel desiderio di Dio. Nessuna cosa al mondo è il tutto dell’uomo. Perché l’uomo è fatto per Dio, non per questo mondo che passa. Se vedi le cose come il tutto, ti deludono. Se le vedi come anticipazione di una pienezza futura, ti allargano il cuore. Questo modo di vivere la relazione con il tempo dà certamente senso e pienezza alla vita dell’anziano e offre una testimonianza efficace: non si tratta di “fare prediche” e di dimostrare, ma semplicemente di “mostrare” la “novità” di uno stile di vita squisitamente evangelico nei gesti della vita più quotidiani.
Un altro contributo riferisce un pensiero di Hemingway – «I vecchi non diventano saggi, diventano attenti» – per ricordare, infatti, che l’anziano è attento a «distinguere tra ciò che è essenziale e ciò che è superfluo, tra ciò che si deve lasciar perdere e ciò per cui valga la pena impiegare le energie che rimangono».
Dunque la vecchiaia è anzitutto un dono che può essere vissuto con gratitudine e nella gratuità: si è più sensibili agli altri, alla dimensione relazionale, ai gesti di attenzione e di amicizia; inoltre è la grande occasione per operare la sintesi di una vita. Arrivare a dire «grazie» per il passato e «sì» al futuro significa compiere un’operazione spirituale veramente essenziale soprattutto in vista dell’incontro con sorella morte: l’integrazione della propria vita, la pacificazione con il proprio passato.
La vecchiaia è così il tempo dell’anamnesi, del ricordo e del racconto: si ha il bisogno di narrare, di dire la propria vita, per poterla assumere vedendola accolta da un altro che la ascolta e la rispetta.
«Sulle rive di un altro mare si ritira un altro vasaio
negli anni della vecchiaia.
Gli si velano gli occhi, gli tremano le mani,
è arrivata la sua ora.
Allora si compie la cerimonia dell’iniziazione:
il vasaio vecchio offre al vasaio giovane il suo pezzo migliore.
Così vuole la tradizione degli indigeni
dell’America nord occidentale:
l’artista che se ne va consegna il suo capolavoro
all’artista che viene iniziato.
Il vasaio giovane non conserva quel vaso perfetto
per contemplarlo e ammirarlo,
ma lo butta per terra,
lo rompe in mille pezzi,
raccoglie i pezzetti e li incorpora nella sua argilla»
(Eduardo Galeano, Parole in cammino, Sperling & Kupfer, Milano 2006)
Vecchiaia / Sapienza: il vecchio saggio offre il “capolavoro” del proprio vissuto esistenziale e del proprio sapere non perché sia conservato e riprodotto fedelmente, ma creativamente trasformato in un “altro” vissuto nuovo, unico, irripetibile. Così, di generazione in generazione.
Azia Ciairano
Responsabile Uff. Animazione missionaria
USMI nazionale
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