«C’è in me un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono tante parole che stancano, perché non riescono a dire nulla».
Sento spesso così vicine a me queste righe del Diario di Etty Hillesum. Come quasi tutti, vivo immersa in un fiume inesausto di parole. Suona il cellulare, parole. Dalla radio, dalla tv, parole. Dallo schermo del pc, parole. Al supermercato, dall’altoparlante, giovani dj che sembrano avere orrore del silenzio – come i loro ascoltatori.
Eppure questa frana di parole spesso non dice nulla.
Il silenzio è un lusso da conquistare, un tesoro da difendere. Occorre silenzio perché dal profondo di noi sorga un’altra voce – quieta, profonda, vera. Ma occorre coraggio, per sopportare il silenzio. Più di quanto in genere ne abbiamo.
Marina Corradi
Giornalista Avvenire
Nei conventi domenicani si trova spesso scritto sui muri: “il silenzio è padre dei predicatori”.
Il predicatore domenicano realizza pienamente la sua vocazione e missione quando la buona novella della verità non solo la testimonia con la vita, ma la dice con le parole. Egli ha come guida e modello S. Domenico di Guzman che S. Caterina da Siena amava definire “Colui che prese su di sé l’ufficio del Verbo”, il compito di dire la Parola con le parole, la responsabilità della parola dunque, la responsabilità di pronunciare parole vere, parole che portino alla Parola che unica può illuminare la mente, scaldare il cuore umano, nutrire l’anima, costruire relazioni e fraternità.
Ci possono essere parole non vere? Sì, ma quelle non sono parole; sono semplici suoni, sterili e vuoti. Nella Trinità santa il Padre è colui che genera il Figlio, la Parola che esce dal suo grembo e si fa carne per la vita del mondo.
Il silenzio allora non è uno spazio vuoto ma uno spazio abitato e la parola vera non può che uscire da quel grembo. Se anche per un attimo ci fermiamo ad osservare la realtà delle nostre società moderne non possiamo non ammettere che in un mondo affollato di parole la gente oggi non parla e soprattutto non si parla.
Rumori e suoni sempre più strani sembrano avere preso il posto delle parole. Mai come oggi la parola è divenuta un veicolo vuoto di comunicazione. E l’uomo e la donna del nostro tempo soffre tanto di solitudine e di isolamento, di indifferenza e di emarginazione, a volte di disperazione.
Forse davvero dovremmo recuperare, ricomprendere, apprezzare e praticare quella che una volta era definita: la santa legge del silenzio per riscoprire il senso di tante cose della vita.
Sr Viviana Ballarin, op
Vice presidente UCESM
Parola e silenzio: due espressioni della comunicazione che hanno bisogno di creare armonia tra loro per generare equilibrio e pace. Nel silenzio ci educhiamo ad ascoltare noi stessi e impariamo ad ascoltare Dio ed i fratelli; con la parola diamo voce all’ascolto che può essere comunicazione di sentimenti, di reazioni, ma anche di amore, di conoscenza, di misericordia e … di contemplazione. Dio parla per mezzo del suo silenzio e con esso ci illumina sul senso delle parole e degli avvenimenti che costellano la nostra vita. “Le molte parole, il bisogno di parlare sempre, comunque, rivelano spesso, una incapacità all’ascolto e al parlare di Dio e con Dio … silenzio e parola sono elementi essenziali ed integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristo nel mondo contemporaneo… vi affido a Maria il cui silenzio “Ascolta e fa fiorire la Parola” (Benedetto XVI ai giovani Loreto, settembre 2007). Parlare e tacere non sono opposti anzi si completano a vicenda. Il nostro parlare rivela quanto è autentico il nostro silenzio che, se è vero, dà la capacità di parlare in modo giusto. Nel cammino della vita parola e silenzio si esprimono alternativamente: la parola prevale nei tempi della giovinezza, mentre nella maturità aumentano i tempi di silenzio come conquista del cuore e spazio desiderato per l’incontro con Dio.
Sr Lorenzina Colosi fma
Di quante parole siamo inondati.
La comunicazione, che dovrebbe essere un mezzo per avvicinare e mettere in contatto le persone, è sempre più asservita ad una sorta di plagio strategico che tende ad omologare, banalizzare, confondere. Le parole perdono senso e qualità, profondità di intenti, principi solidi cui riferirsi e, paradossalmente, finiscono per nascondere l’insidia di un vorticoso caos in cui si annida la solitudine. Anche il silenzio è travisato e distorto in questa nostra post modernità alla deriva. E’ chiusura, è difesa, diffidenza, disagio, sofferenza. Il nostro troppo e indistinto ci sta stappando via la bellezza dell’essenziale, il prodigio del sentire e del saper apprezzare. Giovanni della Croce nella sua opera “Salita al Monte Carmelo” ci parla della contemplazione cristiana. Ecco, credo che la vera grande potenza del silenzio sia racchiusa proprio nella eloquente spiegazione che ci fornisce questo illuminato Dottore della Chiesa. Un silenzio approdo, un silenzio di placido abbandono tra le braccia del nostro protettore, il cuore di Dio. Attraverso la sicurezza infusa dalla fede, la nostra anima trova riposo e ogni dubbio e inquietudine sono dissipati. Per poter arrivare ad assaporare la meraviglia del silenzio si deve instaurare una relazione di piena fiducia e conoscenza con noi stessi, di attenzione e amore verso gli altri. Una strada che passa attraverso l’uso delle parole. Quelle giuste, sincere, spontanee, rispettose. Quelle che non si perdono nel vento ma sanno accarezzare l’anima e restarvi scolpite. Quelle che si parlano con la bocca ma che sono mosse dall’impeto del cuore che le sente, che gli infonde forza traducendole in gestualità, calore, accoglienza, risposta.
Romina Baldoni
Biblioteca USMI
Silenzio,
solo silenzio,
un’immensità.
Eppure,
una flebile voce
lo attraversa
e diviene grido
capace di rompere
le barriere del suono.
E’ il gemito
dell’uomo
che raggiunge l’Altissimo
chiamandolo
Abbà.
Questo è un Frammento di vita, di preghiera e di poesia.
“Sta’ – in silenzio – davanti al Signore – e spera in Lui”.
Questo versetto del salmo 37 riassume tutta la vita dell’uomo, sia esso consapevole o no.Siamo tutti davanti al Signore e speriamo – da Lui – la Vita.
La terra geme, “il gemito” è la parola dello Spirito nel cuore dell’uomo, anche del malvagio perché nessuno è abbandonato a se stesso.
La speranza che nasce dal silenzio diventa forza di risurrezione per tutti.
Suor Chiara Patrizia Festa,
Monastero Santa Chiara Urbino
Il silenzio e la preghiera rappresentano il binomio che l’uomo deve realizzare perché manca nell’attuale contesto esistenziale. Ciò che più manca a questo nostro tempo, a questa civiltà, è lo spirito di preghiera. La rilevazione di Dio al l’uomo si realizza attraverso “la Parola”, e si concretizza attraverso un percorso di silenzi. In tal senso l’uomo ha la possibilità di meditare, di capire quali sono gli obiettivi di Dio per poi esternarli con le parole più adatte alla comunicazione di questo meraviglioso rapporto tra il finito e l’infinito. Nella nostra società complessa, sempre più secolarizzata e carente di valori, il silenzio assume un valore perché la parola è sempre più “urlata” e sempre più utilizzata per esternare aspetti materiali e utilitaristici. Il silenzio non è assenza di rumori o di suoni, ma è la condizione più naturale per condividere il rapporto con Dio senza le interferenze esterne. Tale condizione potenzia la nostra fede e la nostra riflessione verso l’obiettivo di educare gli altri a concentrare la propria attenzione sulla comprensione che l’uomo non necessita di “cose” materialistiche, ma di un rapporto intenso con Dio che rappresenta l’unico valore che si esterna con la sua “Parola”, con la preghiera e l’ascolto. Silenzio e Parola diventano così un connubio meraviglioso per rapportarsi con l’immenso valore che Dio è. Tutto ciò deve essere potenziato nella società attuale, altrimenti l’aridità e disumanità diventano padrone di un mondo che è solo di Dio.
Sr Damiana Frangi, SCCG
Segretaria USMI regione Calabria
Viviamo in un tempo in cui spesso fuggiamo dal silenzio, mentre ci lasciamo stordire da tanti rumori che non consentono di rimanere in contatto con la radice dell’esistenza abitata da Dio. Fiumi di parole sembrano riempire i vuoti che tacitano le domande esistenziali, attraversano l’etere senza lasciare l’impronta del loro passaggio: vagano in superficie, si rincorrono senza rimanere aderenti alla terra, senza orientarsi verso un tu che apre alla relazione.
Abitare l’attimo presente davanti al mistero di Dio, ascoltando nel silenzio le corde che vibrano l’esistenza, fa percepire la bellezza della vita: svela il senso della profondità del proprio sé, dell’altro, di se stessi.
L’ esserci nel tempo fa cogliere nel quotidiano la presenza dello Spirito nella storia. È un Dio che si comunica con il silenzio: affida la sua Parola a chi lo ascolta. Nel silenzio la parola assume un volto, risveglia la nostalgia e la sete di Dio: invia a coniugare la separatezza e la comunione, la solitudine e l’intimità, a custodire ogni relazione.
Immersi in Dio, in ricerca del volto del Signore, il silenzio dà senso alla parola degli uomini e delle donne del nostro tempo, prende forma e si comunica con il linguaggio dell’amore.
Sr Diana Papa
Abbadessa – Clarisse Otranto
“Davàr” è un vocabolo ebraico che significa “parola”; come spesso accade, la traduzione non rende la ricchezza semantica enorme di questo sostantivo. Basta considerare che, nell’Antico Testamento, il Signore mette mano all’opera della creazione per l’appunto con un “davàr”. Il teologo vincenziano Antonio Fanuli, a tale proposito, scrive: “Il davàr creativo è una decisione che Dio prende di porre un qualcosa come l’universo al di fuori di sé, è un comando che manda ad effetto la decisione, è l’ordine che pone a legge e struttura interna del cosmo”.
Nel Nuovo Testamento la “Parola” si rivela addirittura come la seconda Persona di Dio: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1,1). Infatti a Gesù, come al Dio dell’antica Alleanza, è sufficiente pronunciare una sola parola per determinare un’azione efficace. Spesso si tratta di una guarigione: è il caso del centurione romano che viene incontro al Cristo mentre questi entra in Cafarnao e lo scongiura di curare il suo servo, giacente in casa paralizzato. Gesù vorrebbe recarsi dal malato, ma il centurione si ritiene indegno di ospitare il Maestro nella sua dimora. Proclama, allora, la sua alta professione di fede, confidando nel potere salvifico della sola parola del Maestro: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Mt 8,8).
Eppure il Verbo medesimo, nei Vangeli, ci insegna quanto sia prezioso il silenzio. Soprattutto durante la Passione, Gesù tace. Non replica alle imputazioni che gli vengono addebitate dai falsi testimoni innanzi a Caifa e al sinedrio. Non apre quasi bocca neppure al cospetto della massima autorità romana: “I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse. Pilato lo interrogò di nuovo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato” (Mc 15,3-5).
Noi uomini d’oggi, a nostra volta, spesso mettiamo il Signore sul banco degli imputati allorché deprechiamo il presunto “silenzio di Dio” dinanzi alle catastrofi naturali o alle sciagure provocate dagli stessi esseri umani. Ma Dio, come dimostrano gli episodi della Passione sopra ricordati, resta in silenzio solo quando sa che è perfettamente inutile parlare, perché non saremmo comunque disposti ad aprire le nostre orecchie e i nostri cuori per ascoltarlo.
Lorenzo Terzi
Archivista e bibliotecario
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