Di fronte alle questioni fondamentali della vita, se cioè esista un Principio benevolo e consapevole della creazione, se ciascuno di noi possegga un’identità spirituale, se questa “anima” sopravviva alla morte, quale sia la sua destinazione, e così via, su tutte queste questioni la nostra mente oscilla di continuo, anche la mente del credente, e del cristiano. La fede infatti ci dà tutte le risposte, ma la fede non è ciò che crede il nostro vecchio io (non appartiene cioè all’ordine delle certezze razionali dell’io), ma quello stato di coscienza che lo Spirito ci dona, quando il nostro vecchio io è semplicemente morto, messo a tacere, silenziato.
Ora questo accade in ogni momento di grazia, ma poi ricadiamo nello stato mentale dell’uomo vecchio, e torniamo a dubitare.
Per comprendere in modo nuovo perciò la reale relazione tra fede e dubbio, credo che dovremmo studiare un po’ meglio il funzionamento della nostra mente, e il suo oscillare costante tra stati del tutto opposti.
Questa maggiore consapevolezza ci può aiutare a favorire ogni giorno un po’ di più il nostro stanziarci nello stato della fede, o perlomeno a predisporci a lasciarlo fiorire in noi.
Lo sviluppo di una consapevolezza interiore più sottile ci mostra che noi dubitiamo ogni volta che perdiamo lo stato della fede, in un certo senso ogni volta che ci distraiamo, e , perdendo il contatto consapevole con la presenza di Dio, ripiombiamo nelle nostre tenebre. Da lì poi torniamo ad invocare il Signore, che viene ogni volta a salvarci, e a donarci la luce della fede.
Ogni altra impostazione puramente razionalistica e quindi non iniziatica del problema, mi pare ormai del tutto desueta e poco utile per l’attuale fase di nuova evangelizzazione.
Marco Guzzi
Saggista Scrittore
www.darsi pace.it
Nella vita ci sono delle certezze, la scansione dell’esistenza nel tempo e nello spazio nel quale viviamo, il succedersi delle stagioni, l’avvicendarsi del giorno e della notte, le abitudini della nostra quotidianità, i nostri sentimenti.
Direi anche la precarietà del nostro essere creature, ma anche la grandezza di essere tali.
La certezza dell’amore è il faro che illumina la nostra vita. Fin da bambini la certezza di essere amati dai nostri genitori. La gioia che si accompagna a questa certezza. La certezza di essere parte di un tutto e la gioia di questa pienezza.
Il dubbio interviene come elemento che scatena inquietudine, incrina le nostre certezze e può aprire il varco ad una crisi.
Il dubbio come perdita del Paradiso e della pienezza ed integrità originaria. Il dubbio come punto di vista che distorce la pienezza del nostro essere.
Il diavolo come il dubbio che si scaglia dentro all’esistenza e separa frantuma certezze, un benessere di pienezza.
D’altro canto, l’epoca moderna che nasce con l’affermarsi del metodo scientifico viene sostenuta dal dubbio. Il progresso della scienza si basa sul superamento delle precedenti certezze. Si afferma una verità relativa. Cogito ergo sum, diceva Cartesio. Ma anche forse ‘dubito, ergo sum’.
Il relativismo della nostra epoca ha delle implicazioni esistenziali complesse. Non è facile vivere nel dubbio. Abbiamo bisogno della certezza dell’amore per nutrirci come esseri umani. L’amore divino e l’amore umano.
L’aspetto positivo del dubbio non è quello esistenziale, ma quello razionale. I miei preconcetti sugli altri spesso possono essere sbagliati e fuorvianti, quindi meglio dubitare e metterli in discussione. Le certezze che diventano assolutismo e fonte di divisione tra le persone vanno evitate. Se le certezze mie sono vere e quelle tue sono false, si precipita nella contesa e nell’antagonismo.
Le credenze che diventano certezze fomentano divisioni e guerre.
Se le certezze nascono nel cuore o nell’intuizione di una nuova scoperta sono fonte di vita e di nutrimento, se i dubbi formulano uno spostamento o una espansione degli orizzonti anch’essi sono creativi. Non ho certezza di questa ultima affermazione, né la voglio imporre, comunque la credo fondata. Peraltro la messa in dubbio di un interlocutore che aggiunga altri punti di vista in merito la vedo come arricchente.
Daniela Carosio
Director Sustainable Equity Value Ltd
E’ il tempo della massima allerta, non solo per il costante rischio di guerre, ma per quello che le determina: una carestia di azioni coerenti e concrete, dopo l’indigestione di lodevoli e sacrosanti proclami. Il rischio c’è: lampi e tuoni – governativi e parlamentari – che si stemperano nei meandri dei Palazzi lungo tutto lo Stivale: usque tandem abutere…?
Un gioco, questo, che se prima ha abusato della pazienza degli italiani ora sta violando la dignità dell’individuo. Abbiamo una batteria di domande che non sono più dubbi poiché da tempo ormai ci è chiaro che non aprono ad alcuna certezza: sono incubi. La sensazione è quella di una impotenza di fronte all’ingiustizia miope, dirompente sorda e muta, che abbatte sul nascere la speranza del futuro: la famiglia. I dubbi che interessano la famiglia oggi, ci piaccia o no, sono alla radice di questa terribile crisi che si apre a scenari inquietanti.
La condizione della famiglia, oggi, in rapporto alla libertà di scelta educativa nei confronti dei propri figli, è molto simile ad una sorta di schiavitù. “Finché gli italiani non vinceranno la battaglia delle libertà scolastiche in tutti i gradi e in tutte le forme, resteranno sempre servi (…) di tutti perché non avranno respirato la vera libertà che fa padroni di se stessi e rispettosi e tolleranti degli altri, fin dai banchi della scuola, di una scuola veramente libera” (Luigi Sturzo, Politica di questi anni. Consensi e critiche dal settembre 1946 all’aprile 1948).
Il modesto cittadino, fruitore del pur prezioso obolo di 80 euro mensili direbbe: “Ottanta euro al mese in più, ad esempio per educare come voglio e come devo i miei figli? E in più le tasse per la scuola che ho pagato allo Stato? E dove sta la nostra scelta, come famiglia, nel servizio pubblico, statale e paritario? perché mio figlio senza mezzi economici non ha il “permesso” dello Stato di scegliersi la scuola che vuole? Perché lo Stato non mi da il “potere” di mandarlo a scuola dove voglio? E perché la Costituzione mi dice che posso e devo mandarlo dove voglio?” Di più: per quanto tempo ancora sentiremo dire a persone ormai adulte “Io in quella scuola non ci potevo andare, non ne ho avuta la possibilità economica, la libertà, diritti che lo Stato mi aveva riconosciuto e non garantito?” E, rovesciando la prospettiva della disperazione e dello sconcerto, ma restando sempre “in famiglia”: “Perché io, insegnante, lavoratore serio di scuola pubblica paritaria, coniugato e con figli, a parità di titoli accademici dei colleghi statali, pur svolgendo un servizio pubblico, sono retribuito in modo diverso? Chi devo ringraziare per questa assurda ingiustizia?” Ma non è finita: “E perché non arrivano alla mia scuola pubblica paritaria, da parte della Regione, i miseri contributi che servono alla scuola per pagarmi lo stipendio? So per certo che lo Stato li ha erogati, da mesi; so pure che onesti impiegati amministrativi dell’Ufficio scolastico si disperano perché Qualcuno non permette di accreditarli, quei contributi…” E alla fine, la fine: “Perché non ho lo stipendio da due mesi? Perché io docente di scuola pubblica statale mi vedo oggetto di sorteggio per capire se questo mese verrò pagato io o il collega? Perché io genitore che ho pagato le tasse debbo dipingere i muri della mia scuola pubblica statale? Non arrivano i fondi del Mof e neppure quelli del funzionamento? Dove è il gestore, che se fosse un gestore privato sarebbe già stato bacchettato e multato?” La differenza fra pubblico e privato è l’intoccabilità del primo e la solitudine del secondo. Però il debito pubblico aumenta e… dove vanno i soldi delle tasse sempre più alte?
Il docente sconfortato incalza: “Perchè la mia scuola chiude, per mancanza dei contributi 2012-2013 e 2013-2014, già erogati alla Regione e non accreditati alle scuole?… In fondo, si trattava di circa 500 euro ad alunno, contro i circa 7.000,00 che lo Stato spende per le sue pubbliche statali… Io resto senza lavoro, la mia scuola paritaria chiude e vende l’immobile ai russi, ma come farà, poi, lo Stato a pagare i quasi 6 miliardi di euro all’anno che gli fanno guadagnare le scuole pubbliche paritarie?”
Perché se l’Italia è una Nazione fondata sul lavoro abbiamo un tasso di disoccupazione del 44.2% in Italia per i 15-24enni ?
Perché i nostri giovani non possono scegliere di sposarsi? Senza lavoro nessun mutuo. Però le banche – si dice – reggono l’economia.
Perché l’evasore fiscale di uno scontrino non emesso per un euro viene giustamente scovato e punito e abbiamo evasioni fiscali e frodi milionarie note e avallate? Da che cosa dipende? Dall’entità? Dove è la certezza del diritto? Infatti, se io non ritrovo riconosciuto il mio diritto non so garantire il diritto dell’altro e dunque riconoscere il mio dovere. Ma forse questa è una risposta troppo semplice che mal si confà alle risse dei nostri parlamentari.
Perché le tasse debbono essere pagate in tempo record pena multe salatissime e le commesse pubbliche vedono lo Stato insolvente a data indefinita, senza alcuna multa, o peggio il suicidio di imprenditori che, dopo aver lavorato e consegnato, si vedono costretti a pagare le tasse su un compenso che non sanno quando arriverà?
Perché sulle pensioni di 500,00 arriva la Tares, la Tasi, la Tari la Liuc e gli stipendi 100 volte maggiori di un politico che sarà presente si e no due giorni in media al Parlamento non si toccano?
Come mai la spending review tocca i cittadini e non i compensi milionari del presentatore RAI, e guai a non pagare il canone? Serve per stipendi milionari. Come mai per un allenatore di calcio il compenso di 4.1 milioni di euro l’anno ci pare ben speso mentre quotidianamente arrivano gli appelli a mezzo tv del povero disabile che deve chiedere l’aiuto dell’ “Indignato” per farsi assegnare una casa popolare al piano terra, per non restare sequestrato all’ultimo piano di un condominio senza ascensore capiente per una carrozzina?
Dove è lo stato di diritto? Dove sono i servizi sociali? Dove l’indignato della societas?
Interrogativi come macigni. Attorno ai quali, veramente, si vede un drappello con picconi e martelli pneumatici, che si affanna a sgretolarli, a scioglierli a colpi di buon senso e di logica… gente di vario colore politico che non ha tempo di andare al talk show, ma che lavora nella normalissima e civilissima forma dell’interpellanza parlamentare. Nel frattempo si muore: la famiglia di mancanza di libertà, l’alunno di privazione di un diritto, la repubblica di povertà di investimenti privati (ritenuti già ora insufficienti dal presidente Bce Mario Draghi), la scuola pubblica di depauperamento di una tradizione educativa, il professore di fame e l’imprenditore di mano propria.
E allora a gran voce si dichiari che il problema non sta nella assenza di risorse ma nell’impiego malsano di queste; non sta nella assenza di Buone idee ma nel potere del contestatore che non le vuole, pena la perdita dei privilegi. La risposta non è “spacco tutto”: guai poi a ricostruire; non è nella resa, tranne poi a rivolgersi all’ “indignato tv”, ma nella scelta di vie piane.
La Repubblica non “attribuisce” i diritti alla famiglia, all’individuo, ma si limita a “riconoscerli” e a “garantirli”, in quanto preesistenti allo Stato, come avviene per i diritti inviolabili dell’uomo, secondo quanto dispone l’articolo 2 della Costituzione.
Da qui possiamo ripartire per trovare le motivazioni giuridiche atte a riflettere ed eventualmente a comprendere come poter sanare il guasto evidente della società contemporanea, dovuto anche alla grave crisi della famiglia, rivelata dalle sue fragilità: debolezza economica, sanitaria, psicologica.
Una civiltà che non è in grado di difendere la vita dei più deboli, dei nascituri, dei più poveri e degli ammalati, uno Stato che non riconosce e non difende il diritto primordiale alla scelta in ambito educativo da parte dei Genitori, si condannerebbero – civiltà e Stato – alla disumanizzazione e finirebbero per rinnegare i principi democratici, espressi a parole nella carta costituzionale: “La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà.” (Luigi Sturzo).
Anna Monia Alfieri
Responsabile Ufficio Scuola Usmi Lombardia
Di “certo” posso dire che sono poche le certezze su cui possiamo fare affidamento nella vita. È da vigilare quando si è troppo sicuri di ciò che si fa o si afferma, perché persino la filosofia della scienza e la moderna storiografia sono consapevoli che ogni certezza provata scientificamente è solo vera finché non sopraggiungono ulteriori prove che riescono a smentire quanto si riteneva certo e “scientificamente provato”. La stessa storia scritta risente della formazione e delle precomprensioni e pregiudizi dello storico per cui anche le fonti possono essere interpretate in maniera molto diversa da uno o da un altro storico. Per cui il vero storico sa che deve mettere sempre in conto questo fatto e cercare di essere lui stesso il più possibile oggettivo pur nella consapevolezza che ciò non è mai totalmente possibile.
La mia unica certezza come Cristiana, è il Dio che mi ha rivelato Gesù Cristo e le mie prove sono il Vangelo, la croce di Cristo e i martiri che hanno giocato la loro vita sullasua Parola, o meglio sulla Persona del Figlio di Dio fattosi carne, crocifisso e risorto il terzo giorno. Solamente da questafede può nascere la certezza che la mia vita è amata e voluta e salvata dal Padre, per mezzo di Cristo e nella forza dello Spirito Santo, che è la Certezza fatta Persona e che parla nell’intimo del cuore.
D’altra parte il dubbio, se vogliamo essere veritieri fino in fondo, è parte integrante della nostra vita e anche della nostra fede ed è accolta anche da Gesù Cristo che si è sempre fatto carico dei dubbi che lacerano l’animo umano, compreso quello del coraggioso Giovanni Battista. Egli stesso in quel “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” si è fatto carico della soffernza umana quando èvisitata dal dubbio della fede. In Cristo ci sentiamo accolti anche nei nostri dubbi che sono anche il segno concreto di una fede in cammino.
Allo stesso tempo però, se la vita umana si ferma nello stallo del dubbio, non riesce a fare il salto della fiducia e non è capace di compiere alcuna scelta e neppure di generare vita.
Si pensi ai dubbi che a volte giungono a motivare un aborto; se non do fiducia alla vita e alle persone in determinati momenti, il dubbio diventa fonte di sterilità.
Sr Maria Grazia Neglia
Figlie di San Giuseppe del Caburlotto
«In ogni cosa è salutare, di tanto in tanto, mettere un punto interrogativo a ciò che si era dato per scontato». Questa nota espressione del filosofo Bertand Russell sembra porre una cerniera tra certezze e dubbi.
Certezze, pilastri che sostengono la vita, convinzioni che danno senso e fanno da fari al proprio agire improvvisamente vacillano, sono messe in discussione, perdono la loro evidenza e forza… ed è la crisi. Una crisi provvidenziale che costringe a rivedere la consistenza delle stesse certezze.
Una vita segnata da assenza di dubbi è destinata a incagliarsi al primo scoglio, a perdere il gusto della ricerca, delle domande sull’essenziale, dell’andare in profondità.
Dal dubbio alla domanda, che apre orizzonti e svela nuovi sensi e nuove prese di posizione, anche nuove scelte… Certezze e dubbi segnano la vita di chi sa pensare e uscire dalla banalità.
«Signore, ci sei? non ti importa che siamo perduti?» – gridano i pescatori di Galilea in mezzo alla tempesta. afferrati dal dubbio sulla potenza del maestro da poco incontrato.
«Taci, calmati!… Perché avete paura, non avete ancora fede?» (cf. Mc 4,39-40).
Dall’invocazione la luce della certezza ritrovata: il Signore ha cura di loro.
È l’esplosione di Giobbe schiacciato dalla sofferenza: «Io so che il mio redentore è vivo…! io vedrò Dio, i miei occhi lo contempleranno e non un altro» (Gb 19,25.27) cui fa eco la professione di Paolo in catene: «Io so in chi ho posto la mia fede» (2Tm 1,12)…
Certezze e dubbi, buoni compagni di viaggio!
Sr Paola Furegon sfte
Giornalista
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