Forza/debolezza 2

Forza e debolezza sono inestricabilmente unite tra loro

forza debolezza 2Parlare di fortezza, nel contesto della cultura occidentale attuale, è piuttosto difficile perché oggi sembra prevalere la debolezza. Delle nuove generazioni si dice spesso, infatti, che sono “fragili” e dunque, il contrario di forti. Tuttavia non mancano le persone che all’apparenza sembrano deboli ma in realtà sono forti perché resistono nelle avversità, non si vendicano dei torti ricevuti, non acutizzano i comportamenti aggressivi di chi hanno vicino.
Districarsi nell’apparente contrasto tra la fortezza e la debolezza, è complicato perché sono inestricabilmente unite tra loro. Infatti, la forza del debole è reale quanto la debolezza del forte, visto che forte è colui che sa di essere debole e riconosce i propri limiti. Anche san Paolo scriveva “quando sono debole è allora che sono forte”. E nella Lettera agli Efesini precisava: “attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere” (Ef 6,10) a tutto. E dunque, per essere spiritualmente liberi, chiedete a Dio il dono della fortezza, sembra concludere l’Apostolo Paolo.
Cristina Beffa
Giornalista Professionista

Tante le parole che si alternano come su una giostra senza cedere il passo ai fatti. Parole che ci riconsegnano tutta la nostra fragilità. La crisi che attraversa l’Italia oggi è la logica risultanza di cittadini, politici, istituzioni, che si ritengono molto intelligenti nell’analizzare, nel negare, nell’irridere e disprezzare, ma che alla prova dei fatti sono incapaci di costruire con un sano realismo oltre ogni esasperante individualismo. Di profonda attualità le parole di Leopardi Ma con tutto ciò è anche certissimo, benché parrà un paradosso, che se le dette nazioni son più filosofe degl’italiani nell’intelletto, gl’italiani nella pratica sono mille volte più filosofi del maggior filosofo che si trovi in qualunque delle dette nazioni” (Saggio sopra lo stato presente dei costumi degli italiani). I segnali di disagio sono quotidiani: lo stesso recente astensionismo alle amministrative può essere letto come una forma – se vogliamo un po’ infantile – di ribellione, anche verso uno stato che, seppur di diritto, troppe volte ha tradito i propri cittadini, per aver riconosciuto ma non garantito diritti basilari come quello al lavoro, alla libertà di scelta educativa, alla sussidiarietà. Eppure questa non è e non può essere l’ultima parola. Alla debolezza del pensiero e dell’azione possiamo e dobbiamo contrapporre la forza delle idee e la fierezza di chi si riscopre cittadino protagonista. E’ questa la vera rivoluzione. Scorgere segnali positivi domanda risposte responsabili. La buona battaglia per la “garanzia” dell’esercizio del diritto della famiglia, e dei suoi membri singolarmente considerati, domanda la costanza della goccia che scava la roccia e la sapienza di chi ritrova nel confronto la conoscenza e l’apertura. I segnali positivi non si fanno attendere.

Un esempio per tutti viene da un governo che ha dichiarato sia che “la scuola è una sua priorità”, sia che “la scuola pubblica è statale e paritaria” (ex L. 62/2000) con tutto ciò che implica. I cittadini devono esigere che l’Italia, in quanto Stato di diritto, recuperi la propria responsabilità di attore capace di “garantire” i diritti che riconosce ai cittadini, in modo concreto, poiché nello stesso documento il Governo afferma che si deve “lavorare per dare alle scuole paritarie maggior certezza sulle risorse loro destinate, nonché garanzia di procedure semplificate per la loro assegnazione”. Due punti centrali finora quasi sempre disattesi perché, se non si introduce il costo standard dello studente che frequenta la scuola pubblica, statale e paritaria, non solo mai giustizia sarà fatta in ordine alla libertà di scelta, ma sarà disatteso uno strumento che in tempi di spending review permetterebbe di risparmiare da una parte e investire meglio dall’altra. I visitatori web della Buona Scuola sembrano aver creduto e sposato questa proposta che si conferma l’anello mancante per garantire un diritto previsto dal sistema giuridico italiano. Il punto nuovo è che nessun cittadino può più sentirsi esonerato. Questo è il tempo favorevole, questo è il tempo dei seri e dei corresponsabili, che sanno riconoscere una svolta culturale storica capace di porsi pro populo. Anche il povero diavolo ha diritto a mandare il proprio figlio nella “migliore delle scuole possibili”, per dirla con Leibnitz!
Suor Anna Monia Alfieri
Responsabile Ufficio scuola Usmi Lombardia

L’antropologia della vocazione cristiana e la psicologia del profondo ci hanno sempre rassicurato circa la debolezza e la fragilità personale. In verità nella nostra post modernità fatta di competizione e aggressività crescente, sentirci deboli semplicemente ci spaventa. Papa Francesco lo ha detto espressamente nelle sue omelie: “L’uomo si impadronisce di tutto, si crede Dio”. Esercita la propria forza come una sfida, come un perverso meccanismo che sta portando alla distruzione. Distruzione dei valori, distruzione dell’amore. La nostra debolezza non può ridursi a frustrazione, ad eccesso di presunzione che si trasforma in sconfitta inevitabile. In questa cultura pregna di tensione narcisista regna l’approccio sociologico cosiddetto ‘liquido’, in cui si tenta di far passare ad ogni costo solo e soltanto il proprio punto di vista. La forza è tensione e chiusura; la debolezza qualcosa da occultare. Ecco allora che la prospettiva escatologica è un focale punto di integrazione che concilia nel nostro interiore un incontro in umiltà con Dio e con gli altri. La debolezza è paradossalmente il nostro più autentico punto di forza. La debolezza è accoglienza, responsabilità e consapevolezza. Dalla debolezza nasce quella ponderatezza che trasforma la forza in virtù. Solo la conoscenza, la passione e la fiducia nel bene custodiscono e consentono la fortezza. Secondo san Tommaso la forza è amore per il bene, fiducia, e rinvia oltre se stessa, in quella grazia fonte di ogni speranza: l’annuncio pasquale.
Romina Baldoni
Biblioteca Usmi

Partiamo ai piedi della croce, dove il Forte si fa Debolezza e dove il Dio onnipotente rimane inchiodato alla croce, anche se chi è ai suoi piedi vorrebbe che manifestasse la sua divinità staccandosi da essa… e anche noi, a volte, vorremmo che Dio manifestasse la sua “divinità” risolvendo con la forza tutte le ingiustizie e gli orrori che accadono attorno a noi. Basterebbe che non rispettasse più la libertà donata ai suoi figli per fare un po’ di giustizia!

Solo stando ai piedi della croce, con la Madre, è possibile scoprire che in Dio non esiste antitesi tra Fortezza e Debolezza perché il Dio fatto carne ha scelto la Debolezza come sua Forza. Nell’Amore, fortezza è uguale a debolezza.

Se guardiamo al nostro vivere quotidiano con sincerità, in realtà sappiamo bene che ci vuole molta più fortezza e dominio di sé nel perdonare che non nel cedere all’istintiva risposta della vendetta, dell’odio e del rancore. E allora, con san Paolo mi rendo conto che se seguo Lui: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo…“.
Una Figlia di San Giuseppe del Caburlotto

Forza e debolezza costituiscono il binomio degli opposti assoluti, come lo sono le esperienze di “kenosis” e di vanagloria. Il cuore umano e il cuore di Gesù sono i due riferimenti assoluti per dare un concerto di tali binomi. “Quando sono debole, è proprio allora che sono forte”. E’ la parola-invito di S. Paolo a coloro che sono stati “ghermiti” da Dio in Cristo, nello Spirito Santo. “Abbiate in voi la stessa mentalità, lo stesso stile di vita proprio di Gesù, il quale “pur essendo Dio, svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo”….

Così recitano le Costituzioni delle Suore Oblate di S. Luigi al n. 15 del Direttorio: “Non farti forte e potente di nulla: lavoro, salute, riuscita, titolo di studio, stipendio…. e di quanto hai ricevuto come dono o puoi ricevere ancora….”. “Chi ha di più non è sempre più in alto: è semplicemente uno che ha ricevuto di più e che, pertanto, ha una responsabilità maggiore…” (P. Mazzolari, Il Samaritano, pg.29).
Sr Mariaxaveria
Oblate di san Luigi Gonzaga

“Se bisogna vantarsi, mi vanterò della mia debolezza”, scrive san Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi (capitolo 11). La debolezza è, in effetti, la pietra di paragone sulla quale noi credenti in Cristo dimostriamo la nostra fedeltà a Lui; più in generale, costituisce il bivio che conduce gli uomini alla disperazione o alla speranza.

La “caduta” è un’esperienza quotidiana nel cammino di fede di noi cristiani: a causa di essa sperimentiamo con amarezza la vulnerabilità della nostra natura, “ferita” dal peccato d’origine, e al tempo stesso apprendiamo la lezione dell’umiltà, imparando a nostre spese quanto il montare in superbia sia cosa da stolti. Ma, perché ciò avvenga, è necessario “armarci di forza”, ovvero osservare la nostra anima allo specchio, usando verso noi stessi la carità, non la facile indulgenza. Occorre guardare in faccia il male di cui siamo capaci per poterlo combattere. In questa battaglia spirituale non può mancare l’aiuto di Dio, il quale interviene in soccorso della nostra debolezza perché chiamato dalla forza che manifestiamo nell’affidarci a Lui.
È ancora san Paolo a garantircelo, sempre nella seconda Lettera ai Corinzi (capitolo 12). L’Apostolo delle Genti racconta che gli è stata messa “una spina nella carne” e che egli ha pregato tre volte il Signore affinché Questi gliela togliesse. Ma la risposta di Dio è inequivocabile: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza”.
Talvolta, invece, lo spettacolo della nostra debolezza ci disgusta al punto da spingerci a un fatale scoraggiamento, al disprezzo sterile di noi stessi. Possiamo reagire chiudendo il varco alla speranza e, paradossalmente, avvolgendoci in un bozzolo di superbia: se non siamo stati capaci di operare pienamente il bene, allora troveremo la “forza” per operare il male fino in fondo!

Si tratta di una grave tentazione, cui va soggetto sia chi non ha la fede sia chi dice di possederla. Per i credenti essa è particolarmente funesta, poiché li allontana dalla fonte della Grazia: in ogni tempo, infatti, la Chiesa ha insegnato che la “disperazione della salvezza” è un peccato contro lo Spirito Santo.
Lorenzo Terzi
Archivista Bibliotecario 

“Chiamo mio papà!” quante volte un bambino di fronte a un pericolo che lo minaccia ricorre alla persona che incarna, ai suoi occhi, la forza che può soccorrere la sua debolezza. E’ lo stesso atteggiamento dell’uomo quando, trovandosi in situazioni senza via d’uscita, si rivolge a Dio sciente che solo da Lui può venirgli aiuto. Vi sono anche fenomeni quali il bullismo, il ricatto, il racket, lo stupro, la gogna mediatica … che vogliono essere una dimostrazione di forza, sotto qualsiasi forma si presenti, quando sono solo sopraffazione su chi è in situazione di “minorità”.

Debolezza e forza sono caratteristiche dell’essere umano, ma anche di tutta la creazione. Se guardiamo, per es., a ciò che sta succedendo in questi ultimi tempi, ci rendiamo conto della forza di un torrente in piena e della fragilità di rocce che si sgretolano, capaci comunque entrambi di distruggere; pensiamo al bucaneve che si apre spazio tra la neve gelata, a un piccolo riccio che si difende da un grosso predatore.
La debolezza è un cuneo capace di aprire brecce nella rigidità di sentimenti o di situazioni disperate. Di fronte a un malato, un povero, un bimbo, un cucciolo, a una stella che brilla o a una goccia di rugiada anche un cuore indurito si può sciogliere. Vi sono stati momenti in cui un fiore e un rosario posti sui fucili spianati hanno fatto più rivoluzione della forza dei soldati che li imbracciavano e la non violenza di Gandhi ha cambiato le sorti del Paese. La storia non è fatta dai grandi,che spesso hanno imposto prepotentemente i loro progetti, ma anche da loro, ieri e oggi.
Debolezza e forza sono paradossalmente, le virtù di Dio e del cristiano. Dio, il creatore del mondo si fa, in Gesù, fragile bambino a Betlemme, piccola periferia, e condannato indifeso a Gerusalemme, centro del potere. Gesù domina le tempeste e s’impone alle forze del male ma piange di fronte alla morte di un amico, assettato chiede da bere, si lascia sommergere dalla folla la quale sentiva che da lui sprigionava una forza che sanava tutti. Ai discepoli chiede una robustezza interiore non indifferente ma che è arrendevolezza agli occhi del mondo, perché il suo Regno si edifica su una debolezza forte: beati i poveri, i miti, i misericordiosi, i puri di cuore … perché «la pietra scartata dai costruttori è divenuta – e diventerà – testata d’angolo» di questa costruzione.
Sr Maria Luisa Gatto
Serve di Maria Riparatrici  Ciconia-Orvieto
g.mluisa@smr.it

BARBABLÙ E FRILLÌ
Barbablù era forte. Lo chiamavano per alzare le pietre e costruire i palazzi. Bastava solo lui, nel Paese degli Gnu. Lo pagavano poco, perché aveva mani così grandi, che non riusciva neppure a sollevare la pagina di un libro e così non conosceva nessuno dei suoi 25 diritti che la Costituzione degli Gnu prevedeva per i Forzuti. Barbablù era il più forte di tutti ma anche l’essere più imbrogliato della galassia. Una sera tornando a casa, vide dalla cupola in vetro del teatro degli Gnu, che lui stesso aveva costruito, Frillì. Per un attimo i loro occhi s’incrociarono.
Anche Frillì raggiungeva la cupola, anche Frillì arrivava in alto, ma lei lo faceva volando, ballando. La più straordinaria ballerina della galassia.
Per un mese intero, quello delle repliche dello spettacolo, Barbablù andò lì, aspettando il momento in cui Frillì avrebbe finito il suo numero, saltando in aria. Era un istante, un istante solo, ma in quell’istante ogni notte si vedevano, s’incontravano e una sera si sorrisero.
«Ha sorriso proprio a me?». Barbablù cominciò a tremare dall’emozione e non sapeva chi menare, perché quando tremava menava, ma per una volta la risposta non era nella forza.
Aspettò che tutti andassero via, e vide Frillì, leggera ed elegante, uscire trascinando un baule. «Posso aiutarti?», chiese lui. Lei rispose abbassando lo sguardo, ma non era un no. Da quella sera, la Forza e la Grazia cominciarono a frequentarsi. Lui non divenne una bambolina e lei non perse l’eleganza. Lui imparò a dire le parole dolci, a leggere, a conoscere l’arte e pure i diritti. E lei imparò a fidarsi, a chiedere aiuto e a conoscere il mondo oltre la danza. Più forte di Barbablù c’era solo Frillì, che lo irrobustì, e più tenero, più dolce, più debole di Frillì era proprio il duro Barbablù.
Rosario Carello
Giornalista RAI