Incontro/scontro 2

incontro scontro2

L’incontro e lo scontro possono essere considerati come uno il contrario dell’altro, come il sì e il no. In effetti spesso li si vive in questa accezione: si evita di cercare l’incontro per paura che finisca in uno scontro, e viceversa: per evitare lo scontro, si rinuncia all’incontro. Se invece concepissimo l’incontro – scontro come due facce della stessa medaglia? Non cioè un binomio, ma un’esperienza che per essere positiva deve contenerle tutte e due. A cosa serve infatti incontrarsi tra due persone, o due realtà, perfettamente identiche e combacianti? Possono sovrapporsi, fare mucchio, ma non creare una realtà nuova, perché la ricchezza nasce soltanto dalla diversità, come dovrebbe insegnare l’incontro simbolo e modello di ogni incontro: quello creato da Dio nell’Eden. Per rimediare alla solitudine dell’uomo, Dio decise di dargli un “aiuto che gli corrispondesse” (Gen 2,20), che gli fosse simile (come la precedente traduzione recitava), uguale per dignità, ma non per doni e competenze. Se è così, perché è tanto facile scontrarsi, senza che lo scontro diventi un arricchimento? Perché l’istinto ci spinge a illuderci di avere tutto e di essere tutto, mettendoci in allarme di fronte all’altro, nel timore che possa portarci via qualcosa. Allora si preferisce evitare l’altro, e quando non è possibile, lo si avvicina stando in guardia, pronti alla battaglia. Il rimedio? Tutto ciò che in noi è istinto, può essere superato soltanto con alte motivazioni e impegno educativo costante, che altro non è che educare alla pace. A noi cristiani non dovrebbero mancare né le motivazioni né l’impegno educativo. Non dovrebbero mancare…
D. Tonino Lasconi
Scrittore Giornalista

La dualità della natura umana porta ad un continuo confronto con le nostre ambivalenze.
Fin dalla nascita -e forse ancor prima dell’uso della ragione- conviviamo con le armonie e le disarmonie che l’esistenza ci pone davanti. C’è l’incontro con chi ci mette al mondo ma, come ci spiega la moderna psicoanalisi, c’è anche un’atavica conflittualità inconscia che ci mette in competizione, in modo latente e irrazionale con entrambi i genitori. Il desiderio incestuoso di cui ci parla Freud, nello spiegare il famoso Complesso di Edipo, sarebbe la prima insidia con la quale ciascun uomo deve misurarsi nel difficile cammino di edificazione della civiltà.
Darsi delle regole e dei precetti morali capaci di garantire una convivenza pacifica, significa prendere consapevolezza delle nostre contraddizioni e lavorare per sanare le divergenze. Un lavoro che richiede il verificarsi dello scontro, la sua analisi, la volontà di porvi fine.
Si parte da un’antinomia per ampliare la nostra sensorialità e per provare a guardare oltre. La nostra relazionalità parte da bisogni egoistici e spesso si scontra con difficoltà, compromessi goffi, incomprensioni e incomunicabilità.
Ma lo scontro così come è necessario è anche costruttivo per la creatura illuminata. Per arrivare a quell’alterità magnificamente descritta da Simone Weil nel suo libro Attesa di Dio, ci si deve porre all’ascolto, saper mettere in sintonia il bello, il buono e il vero, predisporsi all’incontro. Quello più autentico nasce dalla nostra rinuncia a porci al centro del creato e al venire meno di un’ottica di esclusività, di una prospettiva individualistica.
Una spoliazione, un sacrificio pensato, liberamente determinato che dà consenso all’amore.
La grandezza dell’amore si sublima nella nostra saggezza, nel discernimento e nella gratuità che ci spronano all’accoglienza, alla pacificazione con tutto il creato, fino ad una conoscenza più matura di noi stessi ed infine del prossimo.
Romina Baldoni
Bibliotecaria Usmi Nazionale

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Andare incontro e incontrare – Papa Francesco insiste sulla cultura dell’incontro, un tema fondamentale dell’anno della vita consacrata, l’incontro con Dio come risposta alla vocazione, ma anche incontro con Dio attraverso l’incontro con il prossimo.
Nel termine incontro c’è un elemento di casualità e un elemento di volontà di aprirsi alla conoscenza e all’accoglienza di una persona e di un’esperienza diversa dalla propria. Scontro è il processo contrario, quello di chiusura, come volontà di forza e violenza verso l’altro da noi.
L’incontro vivifica la nostra vita, lo scontro la mortifica. Nella mortificazione dell’altro, fisica o psichica, muore qualcosa anche di noi, se è vero che siamo esseri relazionali, persone che vivono dell’incontro.
Forse perché sono tornata da poco da un soggiorno nelle Piccole Dolomiti, a Recoaro Terme mi viene in mente la metafora della trincea. Le trincee della prima guerra mondiale sono una metafora significativa del binomio incontro/scontro. Un soldato di trincea ha lasciato ai posteri la scritta: ‘voliamo la pace’. Questo desiderio è duplice: bisogno di uno stato, la pace, ma anche anelito a fare volare la colomba, lo spirito oltre lo scontro umano del corpo a corpo per fare prevalere l’incontro in una sfera spirituale, psichica e umana. 100 anni fa gli scozzesi e i tedeschi che erano nemici nella guerra di trincea improvvisarono una tregua natalizia per farsi gli auguri ed andarono incontro gli uni agli altri. Poi dopo il 26, ripresero a spararsi. Quel barlume di umanità nell’insensatezza della guerra fu definito il miracolo di Natale.
In famiglia, al lavoro e nella quotidianità dei nostri rapporti non è facile rinnovare l’incontro… È come se avessimo bisogno ogni volta di alleggerirci, di rinascere un po’ per incontrare, di lasciarti sorprendere e vedere tutto con gli occhi semplici e innocenti del primo incontro. Forse l’incontro nasce in uno sguardo che sa accarezzare e ci fa sentire accarezzati, accolti. Esseri pieni e degni di essere qui ed ora in questo mondo. Incontrare le esperienze della vita e i fenomeni atmosferici, la natura che parla ad ognuno in modo completo e sempre diverso e denso. Andare incontro al mattino e alla sera e mettersi in viaggio, il viaggio della vita.
L’incontro si apre al futuro e alla vita. Lo scontro ti riporta indietro al passato, alla prigionia, alla separazione e alla divisione. Ti riporta alla trincea, alla morte. L’anelito è quello di andare avanti, nello scontro non possiamo andare avanti. Difficile prendere consapevolezza quando le passioni ci agiscono ma e così. Nello scontro prende spazio l’Inquisitore, Satana, le tenebre.
Ci dobbiamo preparare all’incontro, ma non possiamo controllate tutte le condizioni e una buona dose di disposizione all’ignoto allo sconosciuto è fondamentale. Fede, speranza e carità. Non ci serve altro per la nostra missione sulla terra. Ma la tentazione della trincea è sempre in agguato. I confini, siano fisici, psichici o mentali. L’adulazione della perfezione. La perfezione non esiste in terra, anche se la celebriamo nelle pubblicità, addirittura ci raffiguriamo un paradiso a nostra immagine e somiglianza. O forse la perfezione esiste sì in terra, nella natura e nel creato, per come lo abbiamo ricevuto e per come abbiamo il dovere di trasferirlo integro alle nuove generazioni. Il Papa sta preparando una enciclica sul cambiamento climatico. La perfezione non esiste nella nostra testa, non possiamo riprodurre un modello altrettanto grande e perfetto come quello del creato e della natura che abbiamo ricevuto. Possiamo solo celebrarlo e lodare il Creatore, andando incontro al suo creato.
Daniela Carosio
Director Sustainable Equity Vlane LtD

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Sì potrebbe pensare che queste due parole siano necessariamente in antitesi. In realtà non ne sono convinta, a partire dalla esperienza concreta che mi viene in mente a questo proposito.
Ero da poco sposata e madre, e avevamo in casa seri problemi. Andai a parlarne con un sacerdote di cui mi avevano detto un gran bene. Lui mi ascoltò e si mostrò freddo e duro, e mi congedò. Delusa e arrabbiata stavo per andarmene quando interiormente mi ribellai: non era giusto che un sacerdote mi trattasse così. Allora tornai indietro e gli dissi aspramente la mia rabbia e la mia delusione: “Io pensavo che lei avesse uno sguardo buono”. Lui, stupito, tacque. Un’ora dopo mi telefonò: “Torna quando vuoi”.
Quel prete é diventato per me un padre. Viva lo scontro, quando nella verità genera un incontro vero. Mille volte meglio di un beneducato, formale tollerarsi.
Marina Corradi
Giornalista Avvenire

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«Non si vive senza gli altri. Questo significa che non si vive senza lottare con loro. Bisogna dunque, non una volta ma ogni giorno, rinunciare alla comoda convinzione che “si può sempre intendersi”, e uscire dai meandri sentimentali grazie ai quali si sperava di nascondere sotto certe frasi e certe precauzioni la realtà degli altri». Quanto sono vere queste parole del gesuita Michel de Certeau, grande studioso della storia della mistica, la cui vita è stata segnata da una convita apertura ad ogni forma di dialogo culturale ed esistenziale! De Certeau è poi un teologo molto amato e apprezzato da papa Francesco.
Non si vive allora senza gli altri, cioè non si vive “senza lottare” con loro. Nessun incontro autentico è mai tranquillo scambio di opinioni, di punti di vista, di esperienze vissute. C’è sempre un “contro” in ogni incontro: uno stare di fronte che può anche irritare, deludere, ferire. Eppure la vita fiorisce ogni volta così, quando non ci si nasconde la realtà altra dell’altro. Il quale non è lo specchio del nostro narcisismo, ma una prospettiva unica sul mondo, è appunto davvero altro, non catturabile. Il vero incontro si nutre di questo amore dell’altro in quanto altro, a cui esporsi nella speranza che anche egli saprà reggere alla mia alterità, saprà farle spazio e accoglienza.
I nostri nervi deboli di cittadini postmoderni non sempre sanno reggere questa verità elementare eppure salvifica dell’esistenza umana. Ma questo non è un buon motivo per non ricordarla e per non sforzarsi di viverla.
Matteo Armando
Docente di Teologia Fondamentale alla PUG
 Assistente nazionale FUCI

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Gli vai incontro, stai  di fronte al tuo interlocutore  e lo  guardi negli occhi,  gioisci dell’altro, nel vederlo e cogliere il suo dire… Hai cercato o sei stato trovato… probabilità e sorpresa, quel momento inaspettato o atteso,  sembra  casuale…Capita persino  di dire ‘quanto è piccolo il mondo’, incrociando qualcuno che mai avresti pensato d’ incontrare in quel luogo o in quel preciso momento… E’ successo poi a molti: una persona o un evento han cambiato radicalmente  il corso della loro vita, donna o uomo, clochard o personaggio illustre, una parola, uno sguardo, il fare o il dire dell’uno o dell’altro hanno determinato quell’inaspettato nuovo inizio, la svolta…E che dire dell’attimo indimenticabile e straordinariamente  presente alla memoria di chi ha incontrato un certo Gesù di Nazaret  sulla propria rotta, sul proprio sentiero,  mentre rammendava reti  o scalava una montagna, alla periferia di una città o in un angolo di paese, negli occhi di un bambino o di un ammalato, in quelli di un moribondo o di un disperato, nel ricevere un perdono o nel donarlo, nel percepire un bisogno o nel soddisfarlo…Incontro di esseri che interrogano e comunicano ciò che sono , sentimenti ed emozioni che s’imprimono più dell’inchiostro nella carne e nell’anima, mani che si protendono e si afferrano, corpi che si fondono in un abbraccio, braccia  spalancate di donna  verso il bimbo appena partorito per la tenerezza infinita della maternità  che nel dolore e  nel dono si realizza e s’esprime, mentre gli occhi di quella nuova umanità cercano altri occhi sorridenti, grondanti di bontà e d’accoglienza…Ogni  Uomo ha in sé quel suo primo vagito, quel mondo intravisto, quell’imprinting perenne,  sempre  presente  nel suo  movimento e nel suo divenire…
Provenendo da  qualcuno, egli va verso chi per lui è altro, occasione e possibilità, scoperta e novità, avventura e apertura di nuovi, straordinari orizzonti e pur nell’infinito universo altri ricerca simili a sé…
Non è la Vita stessa frutto dell’incontro tra due gameti che si cercano, s’ incontrano e s’in-abitano, attivando  quella  scintilla d’innesco di un processo  a catena, rivelando le potenzialità del ‘primo’ mistero?  Quel protendersi diveniente permette  il realizzarsi di ‘una cosa sola’ da cui  deriva un ‘totalmente altro’, una vita nuova , un essere  che altre combinazioni  ed espressioni genetiche rendono unico  e  non programmabile, novità assoluta persino per un calcolo ultramoderno di probabilità.
E appena un bimbo s’accosta ad uno  specchio… eccolo in  cerca dell’altro, confuso appena, ridente e soddisfatto se al suo cenno qualcuno risponde… Come sempre, l’uomo cerca se stesso in altri e dalla sua  fatica e incapacità a riconoscersi spesso si genera lo ‘scontro’ … Tutta questione di  percezione, di misure e di equilibri… Ci si scontra per fretta e incomprensione, per errate aspettative e  sovraccarico d’eccitazione, ci si accosta con  violenza  verbale e senza frenare in tempo, ci si precipita sull’oggetto del desiderio senza considerare razionalmente limiti  e possibili conflitti d’interesse e l’impatto può risultare disastroso, fatale… le ferite profonde o curabili solo nel tempo, le ammaccature da riparare con mille accortezze…Ma ciò che determina e perpetua lo scontro è ignorare che l’altro è sempre un’opportunità di confronto, la misura del mio essere e il parametro del mio comportamento…Ho incontrato tanti piccoli dittatori… ho potuto comprendere sino in fondo le dinamiche delle dittature tanto da non poterne accettare alcun criterio o sottile pensiero…ho salutato per anni nemici accaniti senza avere risposta, ho compreso che non ci si rimette nulla ad essere gentili persino con le cose ‘inanimate’: si guadagna in sensibilità e attenzione.
Anche da scontri verbali si apprendono logiche e limiti, sino ad apprezzare grandi silenzi  abitati da preghiera e attesa… Se potessimo aumentare esponenzialmente le nostre capacità d’incontro ridurremmo significativamente guerre e incidenti, odio e rancore, dolore e sofferenza … si tratta d’iniziare a conquistare il campo attraverso il movimento del cuore verso l’altro, quello che mi sta di fronte, il cui sguardo impenetrabile sollecita la mia benevola indagine del grande mistero umano, comune e ancora  del tutto inesplorato, ogni volta come fosse la prima o quella della scoperta determinante, imperdibile…
Concetta F. Sinopoli
Docente di Bioetica – Scrittrice

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In questi ultimi tempi si sente parlare da più parti di essere in un’epoca di scontro di civiltà. I recenti sanguinosi attentati hanno fatto salire la tensione nelle  frange estremiste  di ideologie d’Occidente e di fanatismi  d’Oriente. Sembra quasi che l’umanità, dopo le Guerre Mondiali e la Guerra Fredda, ora si fronteggi sui diversi gradi di civiltà raggiunta o perduta. Tornano alla mente le parole profetiche di Papa Roncalli, San Giovanni XXIII, “Cerchiamo sempre ciò che ci unisce, mai quello che ci divide”.
Il comune destino sulla Terra, la sconfitta della fame e delle malattie, la tutela dell’ambiente: non sono forse temi che dovrebbero unire le persone  senza differenze di etnia, di religione, di lingue? Lavoriamo sulla solidarietà e la reciproca comprensione : tutto il resto appartiene al male.
Corrado Stillo
attuale Presidente dell’Associazione “Valore Salute”

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La parola “incontro” deriva, ovviamente, dal verbo “incontrare” coniato nella tarda latinità, a sua volta ottenuto dalle preposizioni “in” (“verso”) e “contra” (“contro”) e indicante il “movimento frontale in direzione di qualcuno o qualcosa”. Dallo stesso verbo viene anche la parola “scontro”, per mezzo di una semplice sostituzione di prefisso.
“Incontro” e “scontro”, quindi, fanno riferimento alla medesima area di significato. Ambedue i termini indicano un “movimento verso l’altro”: con una valenza positiva, o almeno neutra, nel caso di “incontro”; con accezione negativa, di “conflitto”, nel secondo caso.
È pur vero che non è possibile scontrarsi se prima non ci si è incontrati. Ed è anche vero, purtroppo, che scontrarsi sia la reazione più facile da manifestare a seguito di un incontro. Basta un niente, infatti, perché il contatto con chi è “fuori dal mio sé” si trasformi in ostilità. È sufficiente usare le reciproche differenze – che pure esistono e non vanno nascoste – come dei corpi contundenti: l’occasione di confronto con l’estraneo, lo “sconosciuto”, degenera in un arroccamento in noi stessi. Rinunciamo, così, a diventare “più uomini”, ad arricchirci come esseri umani. Facciamo, anzi, un passo indietro verso l’animalità: le bestie, istintivamente, reagiscono aggredendo il loro simile, perché vedono in ogni incontro un pericolo per il possesso del territorio.
Eppure, se non saremo “attenti, instancabili e coraggiosi “ nella nostra ricerca dell’altro (umano), non potremo giungere all’incontro con il Divino. Lo ha ricordato papa Francesco, con la consueta chiarezza e semplicità, nel corso dell’Angelus dell’Epifania: “Il racconto evangelico dei Magi descrive il loro viaggio dall’Oriente come un viaggio dell’anima, come un cammino verso l’incontro con Cristo. Essi sono attenti ai segni che ne indicano la presenza; sono instancabili nell’affrontare le difficoltà della ricerca; sono coraggiosi nel trarre le conseguenze di vita derivanti dall’incontro con il Signore”.
Lorenzo Terzi
Bibliotecario Archivista

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Incontrare, cioè andare verso l’altro, qualsiasi altro, non necessariamente una persona fisica, è un’esperienza senza dubbio significativa e arricchente. Già il movimento di avvicinamento è importante perché significa accettare di spostare il proprio baricentro mentale, fisico, ideologico per collocarlo fuori di sé, nell’altro.
L’incontro presuppone la disponibilità a lasciare le proprie sicurezze e certezze per andare verso campi sconosciuti. Non sappiamo che cosa può scaturire in noi nell’avvicinarci all’altro. Ricchezza, approfondimento, scambio, senso di armonia e appagamento ma può avvenire anche tutto il contrario. E allora non parliamo più di incontro ma di “scontro”. Perché avviene lo scontro? Credo per incapacità di cogliere le ragioni dell’altro, perché le vedute e i pensieri divergenti li percepiamo non come un arricchimento ma come un attacco al proprio punto di vista, alla propria idea per cui c’è bisogno di difendersi e l’incontro degenera nello scontro.
Ogni incontro è ricchezza, è ospitare in noi una parte dell’altro, spesso la più intima e segreta.  Ma non è facile e se spesso gli incontri si trasformano in scontri è perché non sappiamo relazionarci, non sappiamo decentrarci, ci percepiamo come assoluti, al centro.
Andare verso l’altro allora è un arte che si apprende facendo attenzione al nostro modo di rapportarci, richiede di non essere superficiali, ma attenti anche ai più deboli sussulti interiori che ci avvertono quando l’incontro può degenerare, fermandoci un attimo prima.
Se ogni singola persona imparasse l’arte dell’incontro con un tu, come centri concentrici si imparerebbe l’arte dell’incontro con gli altri, con i popoli, con le civiltà, con le diversità e la parola scontro non troverebbe asilo.
Nadia Bonaldo, fsp
Esperta in comunicazione