Servi/padroni della verità…

Da giorni il mio pensiero è in ricerca… Mi tormentano alcuni dubbi. Non mi piace Servi o padroni della veritàsnobbare un tema e neppure scrivere sciocchezze. Che significa essere posti a servizio… e a servizio della verità… Cosa comporta invece esserne padroni? Innanzitutto ripenso a Pilato: cos’è la verità? Egli pose questa domanda di alto sapore a chi aveva appena definito se stesso: Io sono la verità ed era “venuto – Dio fatto uomo – per rendere testimonianza alla verità”. Ma rimase sulla soglia… non attese la risposta. Aveva altro di cui preoccuparsi… se non altro difendere il prestigio raggiunto…

Esiste senz’altro una verità oggettiva: la verità di fede che ha il supporto certo della Parola di Dio e della proclamazione da parte del Magistero; esiste la verità antropologica; la verità della filosofia, della medicina, della matematica, della astrologia, delle scienze varie; verità che hanno – o devono avere – il supporto di una ricerca meticolosa, metodica, competente, secolare. Di queste mi pongo a servizio; posso o debbo difenderle, farle conoscere, annunciarle con fermezza, pacatezza, convinzione, con gli strumenti appositi: oltre che con il linguaggio orale e scritto, anche con l’informatica, perché siano accolte da molti. E ci sono le verità spicciole: quelle in cui io credo, frutto della mia ricerca, del mio ragionare, della mia esperienza che sono sempre inevitabilmente agganciate ai limiti della mia persona. Posso dirle, difenderle, anche con forza, ma debbo pure, in forza della verità che sono io stessa, ammetterne l’origine: quella di una persona che non gode della infallibilità né della ineludibilità. Quindi disponibile ad accettare il confronto, – in un dialogo sincero e vero – il possibile rifiuto… Scriveva Baltasar Graciàn: “Non c’è cosa che richieda cautela più che la verità: dirla è come farsi un salasso al cuore. Occorre tanta abilità per saperla dire, quanta se ne richiede per saperla tacere”. Già, anche perché “le parole sono necessariamente limitate”.

Ed esiste la verità della vita che esige una conoscenza scrupolosa di sé; essere persone vere, non artefatte; non ambivalenti, non persone dalla doppia corsia. Di questa verità personale, se esiste, sono ‘padrona’. Vivo alla sua luce.
Sr Biancarosa Magliano
Direttore responsabile

AAA cercasi interessati a riportare alla luce la luce. Astenersi tombaroli, falsari, dirottatori, egocentrici, faziosi, amanti delle retoriche e delle estetiche, traditori, frettolosi, pigri, abulici, perditempo. Requisiti minimi: spirito d’osservazione, domande, sguardo ampio e profondo, accuratezza, imparzialità, correttezza, onestà, prontezza a un distacco anche drastico dalle proprie aspettative. Graditi: disponibilità a inquietarsi e a inquietare sicurezze; coraggio. Norma non transitoria: evitare ogni azione diretta a manipolare, dissimulare o deformare fatti, testimonianze, documenti e dati. Costituisce titolo preferenziale: capacità di lavorare senza garanzia di copertura dei diritti fondamentali universali, anche laddove ratificati. Compenso: non pensateci neanche.

Le statue antiche erano coloratissssssime. Avvistamenti già nel Settecento, sempre più numerose conferme dall’Ottocento, ma alcuni, per non sconvolgere le cognizioni tanto piacevolmente assestate di un immaginario pre-orientato su un mondo classico tutto bianco e puro, secondo una tradizione di autorità con stelle del calibro di Michelangelo e Canova, riuscirono a far passare l’idea di far finta di non aver visto tracce di colori, che loro (non i greci o i romani) ritenevano pacchiani, troppo vicini al gusto orientale e alla policromia usata dall’architettura araba già condannata come indecorosa e diametralmente opposta alla “casta semplicità” dell’architettura classica. Percezione difficile da scardinare anche per noi, nonostante i recenti studi e le diffuse mostre, perché la sua influenza è andata ben oltre la storia dell’arte e l’archeologia. Sicuri che nessuno muore mica se, guardando anche la più sgangherata statua ai giardinetti pubblici, non si chiede perché è sempre bianca e non è mai colorata? Vogliamo parlare di altri “bianco e puro” spacciati per verità, che hanno ucciso, uccidono, e potrebbero uccidere di nuovo? Allora, nel ragionamento sulla responsabilità per le tracce di verità che la vita ci affida, oggi quanto ancora non siamo diversi per negligenza, omertà, omissione, opportunismo, da quei finti ciechi dell’Ottocento padroni della verità? Oggi, noi italiani, quanto irresponsabilmente e con quanta indifferenza sprechiamo la nostra libertà e diritto di accesso all’istruzione e all’informazione? E anche nel ragionamento cristiano sulla verità, a che punto siamo con la liberazione dei colori brillanti originali, se davvero la carità non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità, se davvero la carità è più grande della fede? Risponderemmo all’annuncio?

P.S.: ore 11.30 circa del 15 febbraio –  Accendo il telegiornale per le notizie su Copenaghen: un’inviata sul posto, commentando il fotogramma sfocato dell’attentatore, si esprime così: “…Un uomo di aspetto arabo, ma con la pelle più chiara del solito”.  Dulcis in fundo, Sanremo: una gigantografia di Amore e Psiche di Canova giusto dietro la canzone che ha vinto. E se invece avessero usato la Venere Medicea ricostruita, così?:
http://www.uffizi.firenze.it/sguardoinedito/millecolori/
Simona Melchiorre
Archivio e ricerca Istituto Suore Rosarie

Servizio, una parola che può al primo momento evocare un atteggiamento di non libertà, di sottomissione, di dipendenza.
E’ invece una parola che racchiude un tesoro di straordinaria potenzialità: servizio é azione, è ricerca, è vitalità; è cammino verso la  realtà, verso l’altro, innanzi tutto verso se stessi.

Servendo ci si conosce, ci si pone nell’autenticità, ci si scopre.
Si percorre una strada che diventa padronanza, potere liberante perché quando si è nella verità, quando ci si possiede nella verità si è padroni prima di tutto di se stessi e poi si è padroni delle situazioni, padroni della propria realtà, conoscitori dell’identità dell’altro riconosciuta, accettata e quindi servita, ampliata, fatta fruttare.
Padroni della propria verità e per questo liberi, attivi, ricchi di iniziativa perché la verità tanto più é posseduta quanto più rende creativi, propositivi, capaci di tessere relazioni che nascono dal servizio, sono frutti della verità e generano padronanza della verità acquisita e servita.
Suor Maria Angela Agostoni
Madre generale suore di Santa Marcellina

Il tema ‘Servi/Padroni della verità’ nella sua ambivalenza contiene il paradosso che la verità fa scaturire nei rapporti umani, con il capovolgimento del tradizionale rapporto di potere servo/padrone che la verità mette in moto. Nel Vangelo Gesù afferma che la verità ci renderà liberi. Il Maestro indica la via, la verità, la vita.

Gesù ci dice che essere al servizio della verità ci rende uomini liberi, non al servizio di un padrone, capaci di seguire leggi di autonomia dettate appunto dalla verità. Al contrario, pensare di essere padroni di una verità a misura di uomo ci rende ‘fissati’ e autoreferenziali e ci porta fuori strada. Il filosofo Hegelche affronta il tema della verità in una prospettiva laica, parla di un movimento dialettico insito nella coscienza, dove attraverso la vittoria sull’antitesi e sulla propria negazione la coscienza riesce a prevalere come auto-coscienza. Superare la paura della propria negazione, riafferma la vita, la creatività. Potrebbe essere un paragone azzardato, però credo che negare la propria verità piccola, limitata e parziale possa aprire ad un percorso di autocoscienza che mette in contatto con il divino, autonomi nelle leggi umani, ma in ascolto della Parola rivelata.

Sull’onda dell’emozione dei fatti di Francia, il pensiero corre alle lotte ‘politico-religiose’ dei nostri giorni, che sono più propriamente affermazioni identitarie. Infatti, con la globalizzazione le c.d. identità (le nostre verità di popoli create anch’esse un po’ ad uso e consumo, perché la nozione di confine è relativa, come ci racconta la storia) vengono messe a rischio, ma soprattutto le identità più fragili o più discusse si radicalizzano. Credo che sia l’aspetto marginale dell’Islam. Tra l’altro, nell’etimologia della parola c’è il concetto di ‘sottomissione’, abbandono totale al divino. Sia nell’Occidente che nel mondo musulmano laddove prevalgono posizioni radicali abbiamo il contrapporsi di visioni che si scontrano, proprio perché entrambe vogliono essere padrone della verità (quella umana, parziale, identitaria, ‘identità-contro’). Non c’è dialogo, ma solo autoreferenzialità e tristemente le tesi sul divino finiscono per alimentare carneficine.

La contiguità del villaggio globale, ma soprattutto la contiguità sullo spazio virtuale dei web e dei mass media che accorciano o annullano le distanze spazio-temporali, accentuano questo scontro viscerale di padroni della verità dall’una e dall’altra parte.
Tutto ciò è paradossale se si pensa che la verità divina è infinitamente più grande, misericordiosa, accogliente della nostra misera interpretazione umana ‘ad uso e consumo’ di un interesse spazio-temporale limitato. Come è possibile affermare che un essere umano possegga la verità? Come può un essere umano contenere la verità? L’unica opzione è quella del dialogo e dell’ascolto. Tutto il resto ci può dare l’illusione di possedere la verità, in realtà apre l’abisso della perdita di ogni riferimento umano e divino di verità.
Gesù ci dà l’esempio, interloquisce con gli altri rabbini quando è giovane nel tempio, poi però si dedica agli ultimi. Nega a tal punto la propria natura divina da volere provare nel modo più doloroso il cammino umano e diviene l’agnello. Il sacrificio divino è per tutti gli uomini, non c’è più un solo popolo eletto, una sola verità umana. Dio ha condiviso il cammino dell’uomo e le mille verità che si incrociano lungo la sua strada, ha incontrato gli ultimi e ha condiviso le loro verità. Non ha pontificato. Ha camminato, ha pescato, ha digiunato, ha pregato e ha avuto paura. ‘Padre allontana da me questo calice’. Ha attraversato la verità nella sua unica e grande forza, quella esperienziale.
Daniela Carosio
Director Sustainable Equity Vlane LtD

A prima vista il termine richiama la sua accezione più bella: persona che obbedisce, si consegna, si mette a disposizione e vive nella libertà di servire. E nella gioia.
Ma c’è anche un aspetto di ambiguità; c’è chi si fa servo per fini meno nobili: entrare nell’entourage di chi detiene il “potere” e per questo è disposto a tutto, in un rapporto di ossequiosa sudditanza. Anche di oscurare o di tradire la verità.

Il servo della verità nel senso più bello del termine cammina alla sua luce e, umilmente, si lascia da essa condurre. Rifugge dal sentirsene padrone: espressione che richiama possesso, manipolazione, dominio quasi fosse lui a definire la stessa verità. Lo riconosceva già Protagora, il padre dell’attuale relativismo: io sono costruttore e quindi padrone della verità. Motivo conduttore di ogni autoritarismo.
Servo-padrone, un’antitesi che interroga. Quanto sono servo della verità e quanto mi atteggio, magari inconsciamente a padrone della verità?
Paola Furegon, sfte
Direttrice di In Caritate Christi

 “Ognuno di noi cerca la verità, sempre, anche quando non ci pensa proprio, anche quando litiga o mangia noccioline, ognuno vorrebbe agire sul fondamento certo di una verità, e cioè giusta-mente.
Molto spesso l’essere umano, consapevole di questa centralità dell’accertamento della verità, ha preteso di impossessarsi della verità, di tradurla in concetti definitivi, in leggi scolpite sulla pietra, in qualche ordine cioè da poter facilmente imporre a tutti. Questa modalità possessiva di rapportarci alla verità ha in realtà dominato per millenni.

Ogni assetto di potere religioso e politico, sacerdotale e regale, da quando abbiamo memoria, si fonda proprio su questa pretesa: noi siamo i rappresentanti della verità, noi siamo delegati da Dio a imporre la sua/nostra verità per il bene di tutti.
Questo assetto psichico e spirituale, che amo definire egoico-bellico, rispetto alla verità, entra in profonda crisi con la svolta moderna, e poi si sfalda completamente nei vortici del XX secolo.

Ogni concetto di verità oggettiva e statica, data una volta per tutte, e di cui l’uomo possa appunto impossessarsi oggettivandola in concetti definitivi, salta per aria.
Non solo la filosofia dissolve le illusioni di una ragione che pretendesse di reddere rationem, e cioè appunto di dire la verità su tutto; ma la stessa scienza empirica relativizza l’assolutezza dei propri calcoli, e quindi lo statuto assoluto di verità delle sue scoperte.
La verità ci si mostra come un processo organico, come una rivelazione continua, entro la quale la creatività umana svolge un ruolo da protagonista.
L’uomo cioè non è né padrone né schiavo di una verità estrinseca, quanto piuttosto un funzionario, un agente segreto della stessa verità che ci si dona proprio attraverso il nostro sforzo di comprenderla.
E non è proprio questo il mistero di una verità come Persona, come Uomo, come Amore unitivo, come Pensiero Creatore, che Gesù è venuto a rivelarci?
E quanto siamo ancora lontani dall’aver compreso ciò che la Verità vuole comunicarci? Che cioè siamo noi stessi i canali viventi del suo rivelarsi amoroso, e del suo continuo creare e ricreare il mondo?
Marco Guzzi
Scrittore  Saggista