FESTA DEI POPOLI 2015 – Chiesa senza Frontiere

Domenica scorsa, in occasione della grande Festa dei Popoli, piazza San Giovanni in Laterano è stata per un giorno, “l’ombelico del mondo”.

Foto1 Il titolo scelto per l’edizione numero 24 è stato “Chiesa senza frontiere”: un’esortazione che invita tutti a diventare costruttori di ponti tra gli uomini, le culture, le religioni perché le barriere del pregiudizio si possono abbattere solo operando INSIEME.

La Festa dei Popoli (di Roma) è un evento dei Missionari Scalabriniani, in collaborazione con la Famiglia Scalabriniana, gli uffici Migrantes e Caritas della Diocesi di Roma e le Comunità etniche, presenti in Roma. Tante le presenze in piazza nell’arco della giornata (oltre 8000 visitatori) come tante le comunità multietniche e le associazioni impegnate attivamente nella Festa. Un ringraziamento speciale va ai fratelli migranti per il servizio svolto sia al mattino, per l’animazione della Santa Messa, quest’anno presieduta da S.E. Card. Francesco Montenegro, nella Basilica di San Giovanni in Laterano; sia al pomeriggio, con l’ormai famoso spettacolo di balli folkloristici, che vede alternarsi sul palco numerosi gruppi provenienti da ogni parte del mondo.

Pastorale Giovanile ScalabrinianaFoto 2Una festa, dunque all’insegna dell’accoglienza, termine questo messo in evidenza sin dal mattino, quando le suore Scalabriniane hanno presentato al pubblico, un piccolo omaggio per i gruppi dello spettacolo: un sacchetto, creato con stoffe africane, contenente dei semi da piantare e un pensiero sull’importanza di saper accogliere. Tanti altri sacchetti sono stati regalati a tutti i passanti ed è stato un modo per condividere la gioia di quest’anno di grazia che la Congregazione sta vivendo in occasione della  Beatificazione di Madre Assunta Marchetti.

Una festa meravigliosa… non solo un’occasione per incontrare amici di vecchia data ma anche scoprirne di nuovi.

Volontari della parrocchia del SS. Redentore dove è nata la Festa dei Popoli Stand suore ScalabrinianeSi respira fraternità, gioia, voglia di conoscere “l’altro diverso da me”; una giornata “piena”, che  riempie il cuore e che fa sperare in un futuro migliore. Allo stesso tempo è  un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica a tematiche migratorie importanti come: l’accoglienza dell’altro, la conoscenza delle difficili condizioni di vita di molti migranti che arrivano nel nostro Paese, “rompere” il pregiudizio, parlare e non tacere di fronte alle ingiustizie e tanto altro ancora…

affinché lo spirito della Festa non duri solo un giorno.

Suore Missionarie Scalabriniane

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Siate gioia!

imagesLa vita consacrata sta sperimentando un momento di visibilità anche per l’incontro che il papa ha vissuto con i consacrati e le consacrate della diocesi di Roma, sabato 16 maggio 2015.  

Alcune presenti raccontano…
Anno della Vita Consacrata, anno di riflessione, di preghiera e di gioia. Non poteva mancare l’incontro con chi ci è Pastore e ci dimostra l’Amore del Padre qui sulla terra: Papa Francesco.

Sul palcoscenico dell’aula Paolo Vi, da dove si protende l’abbraccio del Cristo Risorto, dopo l’introduzione data dal Cardinale Agostino Vallini e dal Vicario Episcopale per la Vita religiosa in Roma, P. Agostino Montan, sfilano tante giovani sorelle, provenienti dalle diverse nazionalità, ma unite dallo stesso ideale della “conquista del loro cuore” da parte di Cristo Gesù: “Anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo” (Ef 3,12). Una festa di colori promana dalle vesti leggere, tipiche dei vari continenti e canti gioiosi e sereni insieme, salgono al cielo come una preghiera di lode che si unisce a quella del corpo con la danza. Sono sorelle africane, afro-americane, latino-americane, asiatiche, cinesi e italiane. Gli applausi sono tanti ed esprimono il coinvolgimento dell’animo di ogni partecipante al grande incontro con Papa Francesco. I canti, le danze si alternano con racconti di esperienze di vita nel mondo delle famiglie, dei giovani volontari, dei poveri, delle famiglie nel bisogno, dell’arte sacra evangelizzante.

20150516_114325Di scatto tutta l’Assemblea si mette in piedi, batte le mani, canta a Cristo vivente fra noi: è l’ingresso di Papa Francesco che tutti saluta con il suo sguardo paterno, penetrante e sorridente. Si ferma davanti a una sorella di 97 anni che sprizza dagli occhi tutta la gioia e la passione di una vita donata.

Papa Francesco sale sul palcoscenico e si siede in atto di ascoltare…Una sorella, monaca agostiniana, appartenente al monastero dei Quattro Santi Coronati, parla della sua esperienza di preghiera di intercessione, della contemplazione di tutto quanto Dio ci ha donato, comprese le sorelle che vivono nella stessa comunità e i fratelli che si accostano al monastero per ricevere una parola di luce e di conforto. E’ contemplazione anche quella che si ferma sul rumore della strada ove passano fratelli che si recano al lavoro, al divertimento, fratelli che talora hanno il cuore pieno di dolore. La sorella pone una domanda:”Come vivere la comunione con la Chiesa Locale pur vivendo in un monastero?”

La risposta del Papa non si fa attendere: la vita fraterna, talora difficile anche nel monastero, è contributo alla Chiesa. Il Papa raccomanda molto che anche nel monastero si conosca la vita, talora molto difficile del mondo, attraverso il telegiornale, il giornale, l’apertura ai poveri da sostenere con il cibo e il sorriso. Il sorriso di una monaca fa meglio di un pezzo di pane. Il Papa passa quindi all’impegno di essere sostenitrici dei Sacerdoti, dei Vescovi, mediante la preghiera, il consiglio spirituale…e il sacerdote torna felice al suo servizio.

Una consacrata secolare porta la sua esperienza di condivisione di vita con una giovane signora incinta e povera, molto povera. Da lei impara come saper vivere insieme nell’indigenza anche della strada, ma anche nello scoprire un luogo di sostegno in una casa famiglia, dove poi diventano collaboratrici per altre donne in difficoltà.

Papa Francesco si è compiaciuto per questa esperienza di donna della strada, che condivide tutte le sue energie, spende la sua vita in favore dei poveri, sa amare fino al punto di diventare poi una consacrata, alla quale nulla appartiene se non l’amore.

Un giovane Parroco scalabriniano porta la sua esperienza di vita di festa fra gente appartenente a popoli diversi. La gioia, la festa uniscono i cuori, tanto tanto da non riconoscersi più diversi, ma tutti uniti, nella stima reciproca, nella solidarietà operante. Papa Francesco loda questo religioso, ha visto il suo operato visitando la parrocchia da lui guidata e conferma l’importanza di questa” festa dei popoli” che si celebrerà l’indomani. Una comunità senza festa è spenta e cammina difficilmente anche nella fede. La gioia non sia mai banale, ma esprima intesa di cuori, non manchi il “chiasso” di tale gioia.

Un altro religioso Francescano porta la sua esperienza del carcere di Casal del Marmo, il carcere minorile, dove Papa Francesco ha celebrato anche il giovedì santo con la lavanda dei piedi dei giovani detenuti proprio assieme a questo sacerdote. Questi era stato inviato a Casal del Marmo per una breve supplenza, ma a lui non piaceva tale missione. Poi la voce paterna e decisa del Superiore Maggiore: “Il Signore ti vuole lì”. Sono passati 45 anni dal sì faticoso a quell’obbedienza e tutto ha cambiato volto. Il religioso francescano si sente padre di tanti giovani in difficoltà e che, forse, non hanno mai avuto la gioia di sentirsi in una famiglia. La famiglia ora c’è ed è calda, divertente, operosa, ricca di relazioni buone.

La domanda posta dal Religioso si riferisce non tanto al suo compito, quanto al posto che la religiosa può avere nella Chiesa.

Papa Francesco si sofferma dapprima su quell’”obbedienza” adagio adagio accolta e che ha prodotto il miracolo. Impariamo da Gesù in Fil 2 come Egli sia stato obbediente al progetto del Padre fino alla morte di croce.

Quindi passa al ruolo della donna nella Chiesa e ricorda che la Chiesa è femminile e la donna prende in essa il ruolo di Maria-Madre. Papa Francesco parla così a lungo circa il compito grande della maternità della donna, ella è Sposa ed è madre. C’è chi la  vuole all’interno di un Dicastero, potrebbe anche essere cosa buona, ma non è l’essenziale per la vita della religiosa, è solo una funzione. La donna sia soprattutto madre amorosa, attenta. Un discorso portato avanti da uomini ha una sua conclusione, quello portato avanti da donne ne ha un altro e forse molto più ricco di intuizioni.

Il Papa, alla fine, raccomanda a tutti di tenere come regola della propria vita”le Beatitudini” e il discorso finale di Matteo 25: saremo giudicati solo sull’amore concreto e l’amore della donna è concreto e non il risultato di  idee che non sono attente alla persona nella sua particolare situazione.Canti, applausi, “evviva” chiudono la mattinata che si è fatta pomeriggio e il Papa ne chiede scusa prima della benedizione e della preghiera conclusiva a Maria.
Sr Giampaola Periotto scm

Festa, gioia, sorriso, amore: il papa ha incentrato la sua udienza ai consacrati di Roma in queste parole. Perché la vita consacrata è la festa di Dio che viene a visitare il suo popolo. Perché Dare-da-mangiare-a-coloro-che-vengono-a-chiederlo--500x354la vita consacrata, in tutte le sue espressioni, porta la gioia al mondo, nella profezia di una vita interamente donata a Dio e ai fratelli. Perché il sorriso dei consacrati, come ha detto papa Francesco, ha il potere di rinnovare gli uomini e le donne di ogni tempo, in quanto frutto del loro amore, paterno e materno, tenero e forte, che, nel silenzio, nella fatica del quotidiano, nello zelo e nella pace, si apre all’accoglienza di ogni bisogno umano. Questo e molto altro ancora è stata l’udienza di oggi col papa, il vescovo di Roma che ha incontrato il popolo di circa trentamila consacrati che vivono e operano nella Diocesi.

Ha pregato con noi, ci ha ascoltato, nello spazio dedicato a quattro testimonianze, rispondendo alle domande che, di volta in volta, venivano poste e che introducevano la sua parola su diverse tematiche. Papa Francesco, con la franchezza che lo contraddistingue, ma soprattutto con la forza della sua esperienza di religioso, ha fatto festa con noi, con molta gioia, ringraziando per la nostra vita e raccomandandoci di essere persone che pregano, che crescono nella formazione umana e spirituale, nel discernimento e nella sapienza, per essere vicini all’umanità, specialmente quella smarrita e confusa che, da sempre, ha cercato nei conventi un luogo di incontro e di rinascita spirituale. Alle donne consacrate ha chiesto, in particolare, di essere madri, come icone della Chiesa e di Maria, Vergine e Madre.

E ha chiesto di essere spose di Cristo, testimoniando la fecondità spirituale della loro vocazione, nella memoria continua del dono ricevuto. Poi, rifacendosi alla Parola di Dio, ha mostrato le Beatitudini, definite la “prima enciclica del mondo”, come programma di amore concreto per la vita consacrata, insieme al capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Perché è nell’amore per i fratelli che si dimostra concretamente l’amore per Dio. Ecco perché il papa ha fatto i complimenti ad una suora di novantasette anni presente in sala: è l’esempio di perseveranza nell’amore donato. Festa per gli occhi e per il cuore di tutti. Proprio come devono essere i consacrati per papa Francesco: uomini e donne obbedienti, come Cristo, fedeli nel servizio e gioiosi nella fraternità, vincendo ogni tentazione di mondanità o di mormorazione, per portare al mondo la profezia del vangelo.
Suor Daniela Del Gaudio asc

La seconda domanda è stata cominciata con una preghiera come una forte testimonianza dicendo che “Dio mi ha dato da mangiare, quando avevo fame, Dio mi ha dato da bere quando avevo sete”. Il Signore ha dato tutto quello che lei ha bisogno. L’amore di Dio è concreto. La seconda risposta di Papa si sofferma sulla “maternità della donna consacrata. Le suore sono l’icona della Chiesa e della Madonna.
Tante volte dimentichiamo questo e dimentichiamo questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Chiesa, questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Madonna.  Il papa diceva una suora non sa di sorridere e manca qualcosa. Le suore devono dare il sorriso più di materia.
Sulla strada posso annunciare il Vangelo con il sorriso. Questo incontro era come una festa gioiosa e anche un momento della preghiera della vocazione.
Con questa udienza ho avuto una occasione di rinnovare la mia vocazione della vita consacrata.
Sr Susana, fsp coreana

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L’Oasi che intreccia il visibile all’invisibile

1L’Oasi Divin Maestro è una Casa di preghiera inserita nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi a 950 mt di altezza, le Pie Discepole del Divin masetro che la abitano e la animano sono presenti a Camaldoli già dal 1970.
Da qualche anno la comunità si è posta in ascolto e si è aperta alle urgenze e alle povertà delle persone che frequentano la Casa e che in sintesi possono riassumersi in una grande sete di senso, di Parola di Dio, di vita spirituale, liturgica e fraterna.

La Casa è sempre stata orientata per corsi di Esercizi spirituali e per periodi di riposo silenzioso, ultimamente, ancora prima che il Papa chiedesse ai religiosi di uscire, come comunità ci siamo messe in cammino per inserirci nella pastorale della nostra Diocesi (Arezzo-Cortona-Sansepolcro). E di recente si è creato un2 interessante scambio tra le Parrocchie e la nostra struttura di accoglienza. A volte la mettiamo a disposizione per accogliere i gruppi, guidando noi stesse giornate di formazione o di ritiro per catechisti, bambini, giovani e adulti, altre volte siamo noi a scendere dal monte per farci prossimo e fare un pezzetto di strada con loro, pregando insieme o cercando di ascoltare le loro domande o suscitandole se non ci sono.
Da qui è nata la necessità di pensare una programmazione che rispondesse maggiormente alle periferie esistenziali di oggi con lo specifico della nostra missione di Pie Discepole del D. M., donne consacrate chiamate a seguire e servire la persona di Gesù presente oggi nell’Eucaristia, nel Sacerdozio, nella Liturgia e in ogni persona, desiderose di condividere in semplicità il dono che abbiamo ricevuto e orientando anche le varie iniziative della casa. La comunità così ha maturato la scelta di condividere la propria spiritualità e preghiera comunitaria come le lodi, l’Eucaristia, i Vespri, l’Adorazione Eucaristica, la Lectio Divina proponendo dei Weekend nei tempi forti dell’Avvento e della Quaresima in particolare il Triduo Pasquale centro di tutto l’Anno Liturgico.

 3In risposta alla nostra specifica missione nella Chiesa, alle richieste delle persone e mettendoci in sintonia al cammino della Chiesa, oltre ai classici corsi di Esercizi Spirituali abbiamo programmato settimane o weekend di formazione  strutturate come laboratori, tra le quali quella dell’arte floreale a servizio della liturgia, corsi di cetra, d’iconografia in genere programmati come Esercizi spirituali vissuti in laboratorio con giornate ritmate dalla preghiera, dal silenzio e dall’ascolto della Parola, dove la meditazione si fa corpo e visibilità o in bouquet o in un brano musicale o nella scrittura di un’icona.
Ci siamo accorte che chi aderisce alle proposte lo fa per cercare delle strategie di vita per uscire da tante domande, inquietudini che emergono dalla stessa quotidianità.
La nostra comunità intende portare avanti lo spirito Paolino che è proprio del nostro carisma e che viaggia verso la conoscenza delle persone, delle diverse realtà per ricercare insieme la Vita come un Bene comune, visibile nella dignità e nella pace, nella creatività e nell’Amore.

4Le iniziative che proponiamo sono tante, favorendo in particolare i Presbiteri a ritagliarsi dei periodi di silenzio e riflessione, ma altrettante sono le richieste di persone o gruppi che desiderano essere aiutati a riflettere, a pregare e incontrare Dio.
In quest’Oasi ogni Samaritana/o al pozzo può incontrare uno Sconosciuto che non solo gli dona un bicchiere d’acqua per la sua sete, ma la/o aiuta a trovare il pozzo che è dentro di sé, la sorgente di acqua viva, l’acqua dello Spirito e della Verità. Sì, il Signore cerca tali adoratori in Spirito e Verità. L’adorazione non è in nessun monte: Garizim, Gerusalemme, Montanino ma dentro di noi, è lì che Dio vuole abitare per realizzare il suo Regno di Amore e di pace. In questo senso il monte è un semplice strumento come il secchio per attingere l’acqua della Vita. Così l’Oasi Divin Maestro è lo spazio privilegiato per ritrovare l’unità con se stessi, con il prossimo, con il creato e con Dio.
Sr. Myriam Manca
Pia Discepola del Divin Maestro

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Assemblea Nazionale

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Un vangelo vivente…

“Pensiamo alla forza e al coraggio delle sorelle, a quelle  che vivono in situazioni socio-politiche pericolose, a quelle che nella malattia e anzianità si donano senza riserve e fanno della Racc 24.02.15loro vita un vangelo vivente”  (Sr Anna Maria Parenzan, Sup. Generale FSP).

Mi chiamo Sr Nicoletta Rossi, ho 51 anni, appartengo alla Congregazione delle Figlie di San Paolo, ho la gioia in questo momento di vivere nella comunità di Alba (CN), in Casa Madre, sono responsabile del nostro reparto di infermeria.
La frase che ho riportato sopra è della nostra Superiora Generale e contiene l’esperienza che ho vissuto e sto vivendo nel mio apostolato di infermiera accanto alle mie consorelle anziane e malate, che in ogni situazione dell’esistenza, nella gioia e nel dolore “fanno della loro vita un vangelo vivente”.

Dire che entrando nelle Figlie di San Paolo non avrei mai pensato di svolgere questo apostolato credo sia abbastanza scontato… ma quando mi è stata chiesta questa obbedienza, dopo due anni di professione temporanea, ho detto il mio “si”!
Il contatto quotidiano con sorelle che soffrono e che offrono la fatica di accogliere il venir meno delle forze e che muoiono, mi ha aiutata a crescere nella mia vita consacrata, a scegliere ciò che è essenziale, a discernere se vivo la mia giornata nella gratuità o se cerco me stessa.
Ho sperimentato che, in chi svolge questa missione, si può insinuare una tentazione: pensare che si possono risolvere tutti i problemi con medicine, esami e cose del genere e quando invece vieni spesso a contatto con la morte, pensi di non aver fatto abbastanza… ed è qui invece che ho avvertito il passaggio di Dio.

Stare accanto alle mie sorelle anche durante l’agonia e la morte mi ha insegnato che quel letto è un luogo santo in cui mi viene chiesto di ‘togliermi i sandali’ perché è il momento più importante della nostra vita, dove ci viene chiesto di dare compimento alla Professione Religiosa, ecco: tutto dono, offro e consacro.
In questi 25 anni il servizio alle mie sorelle, ha subito un’evoluzione e un cambiamento anche per la tipologia delle malattie da cui sono affette, prima c’era una prevalenza di persone con malattie, come Ictus o Parkinson, oggi con l’avanzare dell’età sono più presenti patologie come la Demenza Senile e l’Alzheimer.
Questo cambia il tipo di assistenza e anche l’impatto su chi assiste, vivo sulla mia pelle che stare accanto a persone, ancora relativamente giovani a volte e che hanno disturbi comportamentali, con cui non è possibile fare un discorso sensato, che camminano continuamente, e che la malattia può rendere aggressive, è complesso e difficile da gestire, sia a livello fisico, ma soprattutto psicologico.
Ma è proprio con loro che ho fatto esperienza di quanto è importante saper comunicare, con gesti di vicinanza, con un certo tono di voce, dimostrando affetto e interesse per loro. Tutto questo vale per ogni persona, per tutti, ma nel tempo in cui sperimentiamo la nostra fragilità e il venir meno del nostro corpo e della nostra mente, sentire la presenza e l’affetto di chi ti è accanto diviene come un balsamo che lenisce le ferite e che opera più del farmaco.

Tutto questo, nella fatica e nei momenti difficili che ho vissuto, è la modalità con cui sono apostola che annuncia il Vangelo della consolazione e della gioia, in un luogo dove molte si sentono ai margini della comunità e della Congregazione, perché non più a contatto diretto della gente, nelle librerie o nelle missioni all’estero.
Il passaggio, per motivi di salute o di avanzamento dell’età, da una comunità “normale” ad un ambiente come l’infermeria, per alcune sorelle è difficile e ci vuole del tempo per accogliere la realtà.
Sono convinta più che mai che è importante durante la prima formazione e anche dopo aiutarci ad essere persone equilibrate, che non si identificano con ciò che fanno, con il ruolo che hanno, per saper vivere poi ogni situazione della vita con un sano distacco, affidate solo al Signore.

Un altro aspetto che avverto importante per la mia vita consacrata è la collaborazione, nell’impegno che mi è chiesto, con i dipendenti che aiutano nella gestione del reparto, donne che provengono da diverse nazioni e di diverse religioni, una sfida e una ricchezza di interculturalità, ma anche una responsabilità: testimoniare con la vita, la mia, la nostra appartenenza a Cristo, dire con gesti e parole in Chi credo e in Chi pongo la mia speranza.
C’è un passaggio dell’Enciclica di Papa Francesco Evangelii Gaudium che ha illuminato gli occhi del mio cuore e confermato nella missione che il Signore mi ha donato:
“…Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri … e conosciamo la forza della tenerezza… Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro nell’animo… quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri” (EG 270.273).

In questo anno 2015 ricorre per noi Figlie di San Paolo, l’Anno Centenario di Fondazione, essere qui ad Alba in Casa Madre significa per me, per noi, far memoria delle abbondanti ricchezze che il Signore ha elargito alla Congregazione e ripartire dalle radici, da quella fede e disponibilità alla chiamata del Signore del nostro Fondatore, Beato Don Giacomo Alberione e Cofondatrice Venerabile Sr. Tecla Merlo.
E allora l’impegno di questo tempo sarà quello di ravvivare la passione missionaria con un’intensa preghiera apostolica che porti Dio al mondo, consapevole che ‘io sono una missione sempre’. In qualunque luogo, apostolato viva, soffra e preghi mi è donato di essere Apostola del Vangelo, sapendo che “Da me nulla posso,ma con Dio posso tutto”

                                                                 Sr. Nicoletta Rossi 
                                                                Figlie di San Paolo
                                                                C.so Piave, 71 12051 Alba (CN)

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Insieme è bello!

Il 3 marzo 2015, le Religiose Volontarie in Carcere della Regione Lazio si incontrano, presso le Suore Orsoline di San Carlo, in via Livorno n 50, con l’obiettivo di tessere una bella rete di conoscenza, di collaborazione e di sostegno, soprattutto di riflessione e verifica insieme. A presiedere l’incontro è stata la nuova eletta referente regionale, Sr Paola Vizzotto, imagedelle  Missionarie dell’Immacolata, P.I.M.E., in sostituzione di Sr Fabiola, che per molti anni si è adoperata con diverse iniziative a tenere insieme le Suore con entusiasmo e creatività, sempre pronta ad offrirsi e a donare il meglio di sé. Questo anche grazie all’intuizione dell’Ispettorato Generale dei Cappellani, se anche noi Religiose volontarie possiamo operare, non più come singole o come Istituto, ma appartenenti, come “corpo”, al grande corpo della Chiesa, alla missione di Gesù verso i suoi prediletti e abbandonati.

Ad aiutarci nella riflessione è stata Sr Elisabetta Flick, suora ausiliatrice del Purgatorio che collabora alla UISG (Unione internazionale delle Superiore Generali) per la rete internazionale contro la Tratta degli esseri umani “Talithà kum” e per il progetto “Immigrazione in Sicilia”.  Il tema Da un “fare delle cose”, all’essere persone autentiche, per incontrare l’altro secondo il Vangelo, trattato con competenza, professionalità e convinzione, ha toccato e infiammato il cuore di tutte. Ognuna si è sentita interpellata e chiamata a rivisitare la propria esperienza e il proprio modo di agire.

Sr Elisabetta ha esordito ricordando come il primo impatto con il carcere sempre provoca domande del tipo “Che cosa posso fare?”. La tentazione prima è di darsi da fare per trovare delle soluzioni, dare risposte, farsi agenti di cambiamento, tentare di risolvere i problemi, rischiando il protagonismo in prima persona. La condivisione dell’esperienza col tempo ha mostrato invece la necessità del passaggio progressivo dal “fare” all’ “essere”. Oggi avvertiamo – dice Sr Elisabetta – come, all’interno del carcere, si riveli molto più importante, per una religiosa, “essere” una presenza, più che “fare delle cose”. Il Signore ci chiede di andare incontro all’altro, semplicemente per incontrarlo, ascoltarlo, consolarlo, senza giudicare, senza volerlo salvare, semplicemente amandolo così com’è, senza pretendere di cambiarlo. Il Signore ci chiede non tanto di fare qualcosa per il detenuto, ma di essergli accanto portando insieme la croce. Essere presenti senza chiederci troppi perché, entrando in punta di piedi, con molta umiltà sulla terra sacra dell’altro. Gesù ce ne ha dato l’esempio: Io sto alla porta e busso, se qualcuno mi apre la porta, io verrò da lui. Entrare nel mondo dell’altro non per catechizzare, non per redimere, non per cambiargli la testa, semplicemente per dirgli, con la sola presenza, che Dio lo ama, gratuitamente, senza chiedergli nulla in cambio. A noi è chiesto soltanto di essere uno strumento nelle sue mani; il resto lo fa lui.

La tentazione però di “fare delle cose”, di rispondere alle aspettative, di essere in un certo senso protagoniste, di essere riconosciute e magari anche ringraziate, è sempre dietro la porta – continua Sr Elisabetta – ed ogni volta che entriamo nel carcere, ci portiamo dentro la domanda: “cosa cerchi venendo qui?”. “Sei disposta a perdere le tue sicurezze, il tuo bisogno di giudicare? a lasciar da parte il bisogno di essere riconosciuta e stimata? E uscendo ci interroghiamo: come gestire le frustrazioni, la rabbia di fronte all’ingiustizia, il sentimento d’impotenza che il più delle volte ci pervade accompagnato talvolta dall’impressione d’inutilità e di non senso?

Sr Elisabetta, volgendo uno sguardo preciso alle Suore in ascolto e quasi a volere una risposta, chiede quante volte nei lunghi anni di servizio abbiamo provato questi sentimenti e queste emozioni, quante volte ci siamo poste queste domande. Solo a poco a poco abbiamo scoperto il mondo carcerario dal di dentro: gli agenti di custodia, carichi di fatiche, di problemi, alcuni pieni di umanità, altri induriti e intolleranti; i volontari e le loro dinamiche, qualche volta di servizio, qualche volta di potere…

Quante omissioni! Due passaggi del Vangelo ci motivano e ci sostengono: “Lo spirito del Signore è su di me, mi ha mandato ad annunciare la Buona Novella ai poveri, la libertà ai prigionieri… ero carcerato e mi avete visitato…”. Sinceramente non è sempre facile riconoscere il Cristo nella persona che ti sta davanti!

E’ convinta Sr Elisabetta che è in ciascuna religiosa che opera nel carcere c’è un forte desiderio di incontrare l’altro nella sua realtà, cercando di seguire l’esempio di Gesù, il suo modo di andare incontro all’altro lasciandolo libero di fare le sue scelte ed anche di rifiutare la sua proposta; non giudicando, ma semplicemente accogliendo ed amando, aiutandolo a fare verità. Gesù cercava nell’altro la fede, percepiva quando nell’altro c’era fede autentica, e quando questa era presente, poteva dire “La tua fede ti ha salvato”, non “Io ti ho salvato”.  Oppure “Va e ti sia fatto secondo la tua fede”. E ancora “Donna, davvero grande è la tua fede”.

Ecco l’invito rivolto dalla relatrice a tutte a fare come il Maestro: “Se lasciamo penetrare in noi le parole di Gesù, esse in qualche modo ci cambiano, modificando l’immagine che avevamo di noi, e spesso anche l’immagine che avevamo di Dio. Le parole di Gesù non rispondono alla domanda “che cosa devo fare”, ma alla domanda “chi sono io” e la risposta a questa domanda ci aiuta ad operare un cambiamento nella nostra esperienza di vita, ci porta su un differente livello del nostro pensare e sentire. E’ importante nel nostro servizio aiutarci scambievolmente, sostenerci, lasciarci interpellare dalla Parola, per essere, per l’altro che ci incontra, segno della presenza e della tenerezza di Dio.

La riflessione che ne è seguita su che cosa cerchiamo e cosa siamo disposte a perdere entrando in carcere, ha fatto nascere in noi tutte il desiderio di meglio rispondere e vivere il nostro ministero in carcere.

Esserci incontrate a riflettere insieme è stata un’occasione per imparare le une dalle altre dalle esperienze che ha forgiato ciascuna dopo tanti anni di servizio e di presenza, di ascolto, di incontro di accoglienza della sofferenza e della miseria altrui. E’ stato un incontro denso, che ha avuto un’eco profonda in ciascuna di noi, ricco di umanità e di fede, di ricerca comune di quei valori di fondo che ardentemente desideriamo testimoniare con la nostra presenza nelle carceri.

Grazie a Sr Elisabetta per il suo prezioso contributo e anche un grazie sentito all’ispettore dei cappellani in Italia, don Virgilio Balducchi e a don Michele Chioda, suo collaboratore, per il sostegno e l’accompagnamento in tutto il cammino dentro il mondo carcerario. Un grazie non meno sentito va alle Suore Orsoline di San Carlo per la squisita ospitalità che si è conclusa con una generosa e fraterna agape.

Sr Emma Zordan

Referente carceri – USMI nazionale

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Esperienze nuove

Sono Suor Pierfranca, al secolo Bianca Balbo, nata a  Urbana Padova. Appartengo all’Istituto delle Suore Dimesse Figlie di Maria Immacolata, una Congregazione Religiosa fondata nel Fierfranca11579 dal francescano padre Antonio Pagani e dalle co-fondatrici Deianira Valmarana in Vicenza e madre Maria Alberghetti in Padova. Il carisma della mia famiglia religiosa è fondato sulla “CONFORMITA’ A GESU’ CROCIFISSO, MORTO E RISORTO”. Le attività apostolico-pastorali, ben sottolineate sin dall’inizio dal Fondatore sono: l’istruzione educativa, la catechesi e le opere di carità verso i più bisognosi. Attualmente la Famiglia conta 350 membri, presenti in quattro continenti.

Da poco ho celebrato il mio 50° di Professione Religiosa. Per la circostanza, ho avuto la gioia di incontrare personalmente Papa Francesco. Come consacrata ho trascorso ventitré anni a Milano, nella parrocchia di Cristo Re, tenuta dai Sacerdoti del Sacro Cuore, conosciuti meglio come “Dehoniani”. Una meravigliosa comunità dove si cercava giorno per giorno, di testimoniare e di vivere in pienezza il Vangelo. Vivevamo nello stesso stabile, perciò si pregava  insieme e insieme si programmavano le attività pastorali. Alla domenica si pranzava fraternamente e gioiosamente intorno alla stessa tavola. Per me è stata una esperienza che non potrò mai dimenticare, perché mi ha fatto crescere e maturare come donna e come consacrata. Quante volte mi veniva spontaneo pregare con le parole del salmo 132: “Com’è bello, come è dolce che i fratelli vivano insieme”. Nel 2012, i miei Superiori mi hanno chiesto la disponibilità di lasciare Milano per Roma. Sinceramente l’adesione mi è costata notti insonni, anche perché mi veniva affidata una missione a cui non avevo mai pensato: responsabile di una Comunità Internazionale, con il compito specifico di aiutare e di seguire le giovani sorelle che studiano nelle varie Università Pontificie. I primi due anni pure io ho studiato Teologia della Vita Consacrata al Claretianum. Da quest’anno seguo, come formatrice, una giovane novizia italiana, Nicole, insieme frequentiamo la scuola per Novizie, nella sede nazionale dell’USMI, dove io presto servizio due giorni alla settimana. Sto facendo esperienze nuove, molto arricchenti; di tutto ringrazio il Signore.

suor pierfrancaCinquant’anni di vita religiosa a qualcuno possono sembrare un’eternità, ma non per me, perché il tempo mi vola via e mi sembra quasi impossibile di essere arrivata a settant’anni suonati in così breve tempo. Spesso mi soffermo sulla frase biblica: “Ai tuoi occhi mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno nella veglia di notte” (Sal 89). Quello che più mi meraviglia è constatare che nonostante i miei limiti, le mie povertà, il Signore mi offre in continuazione il suo amore di Padre infinitamente buono. Dal mio cuore sgorga spesso con gioia e gratitudine il mio “Grazie Signore di tutti i doni che mi fai”. Riflettendo sulla mia vita, guardo il passato con cuore gioioso e penso che ho sì una storia da raccontare, ma anche una storia da costruire, come ha affermato Papa Giovanni Paolo II nella sua Lettera Apostolica “Vita Consecrata”. Signore fa che dove c’è un consacrato o una consacrata ci sia sempre la gioia, come ci augura Papa Francesco, questo è l’augurio che faccio a me stessa e ad ogni persona consacrata.

         sr Pierfranca Balbo
Suore Dimesse Figlie di Maria Immacolata

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Sono felice!

“La vita è missione”, sono convinta del suo significato da quando frequentavo la scuola media. Avevo 16 anni quando ho sentito l’attrazione a una vita di servizio, una vita spesa per gli 1altri. Partecipavo attivamente alla vita della parrocchia, tuttavia non comprendevo ancora che il Signore mi chiamava a seguirlo. Stavo cercando, senza saperlo, il profondo significato della vita e Dio ha dato la risposta alla mia ricerca attraverso la presenza di una Suora delle Figlie di San Giuseppe durante l`incontro di pastorale vocazionale  nella mia scuola.

Ho deciso di entrare come aspirante anche se all’inizio i miei genitori non concordavano con la mia decisione. Il mio desiderio di seguire il Signore cresceva intensamente mentre imparavo a conoscerlo sempre un po` di più attraverso la formazione che ricevevo dalle Suore: imparavo ad apprezzare la bellezza di crescere insieme nell’aspetto umano e cristiano della vita, di essere vicino a chi é nel bisogno anche attraverso un semplice gesto di amore. Ho approfondito l’importanza dei Sacramenti, della vita di preghiera e di una vita donata agli altri nel servizio  gratuito.

Finalmente, il mio desiderio di seguire il Signore più da vicino è stato realizzato quando ho fatto la mia prima professione con i voti di castità, povertà, obbedienza e nel mio cuore c`era gioia e fermezza: è per sempre!

Dopo i voti perpetui l`obbedienza mi ha chiamata a Venezia: “città dove è nata la  Congregazione delle Figlie di san Giuseppe”. Qui ho conosciuto le radici della mia Famiglia religiosa, del mio Padre Fondatore (il Venerabile P. Luigi Caburlotto che presto sarà beatificato), e un`esperienza di vita comunitaria con sorelle di una cultura diversa. Da questa esperienza si è arricchita e maturata la mia appartenenza alla Famiglia religiosa. Ho capito di più quanto importante è il nostro carisma – educare – in un mondo dove i valori di riferimento cambiano continuamente.

Sono felice di essere parte e partecipe della delicata missione di Gesù Cristo nel dedicarmi alla formazione di giovani donne che hanno scelto di seguirlo più da vicino nella vita religiosa, secondo il carisma lasciatoci dal mio Fondatore il Ven. P. Luigi Caburlotto. Sono molto grata al Signore per la possibilità di servire la Madre Chiesa attraverso il carisma dell` educazione.

Veramente, la vita stessa è una missione da condividere con gli altri!

Sr. Maria Iloisa A. Cabantog

Figlie di San Giuseppe

Filippine

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COME FIORE DI NARDO…

Passando per le strade dove vendono fiori mi è sempre difficile resistere alla tentazione di comperare alcune “tuberose” che in castillano si chiamano “nardo”, perché il costo di un gambo nardocosta come due panini e…allora non si può. Il nome mi ricorda le “pie donne” che di mattina presto vanno al sepolcro con profumo di “nardo” per pulire il corpo di Gesù e ancora non sanno di essere loro stesse aroma del Risorto.

Questa mattina però entrando in cappella e sentendo il profumo di questo bel fiore mi sono fermata a pensare se il mio servizio apostolico è presenza di “nardo” per coloro che incontro, se i miei gesti accompagnati dalle parole sono gesti di resurrezione e di speranza per gli altri e non ho trovato conferme. La domanda mi ha accompagnata lungo il mio camminare per le strade di Cochabamba, affollata e rumorosa. A volte questa grande città nemmeno si accorge di aver bisogno di esser profumata, di essere visitata da gesti di speranza e di resurrezione, nella disponibilità ad entrare nei sepolcri quotidiani, a sporcarsi le mani, toccando ferite e cicatrici dei fratelli più deboli.
Il cuore mi si è illuminato quando ho riconosciuto, accovacciata ed  appoggiata ad un muro, doña Marcelina con un bambino di 5 anni accanto. Immediato, allora, il ricordo di quel lontano pomeriggio del 2009, quando, entrata in un salone mentre un gruppo di mamme vedeva un documentario che mostrava gli effetti dell’aborto, vi era anche lei, Doña Marcelina.
Ella quella mattinata aveva già anticipato una parte della somma necessaria per un aborto ad una signora che si dichiarava sua amica e che l’avrebbe accompagnata ad abortire in una clinica.
Il documentario le aprì gli occhi sul male che avrebbe fatto a suo figlio (il quarto) e su come si sarebbe sentita dopo.
Quel pomeriggio chiese aiuto a me capitata provvidenzialmente in quel salone forse solo per lei e, pur perdendo i soldi anticipati non abortì ed oggi era lì, davanti a me, accompagnata dal suo piccolo Daniel!
Il profumo di nardo odorato in chiesa mi si è ripresentato con una scia di positiva conferma all’interrogativo che avevo ancora in cuore. Ho detto: grazie, Signore, sono stata profumo di nardo per Marcelina e Daniel.
E proprio come un profumo, altri ricordi, altre storie, altre esistenze si sono fatti strada dentro di me.
Un inizio di giornata all’insegna dell’incontro con una giovane che si era illusa di aver trovato “l’uomo” della sua vita. Mi raccontò del suo comunicargli di essere incinta e di scoprire, così, di non essergli più gradita e che lui non aveva alcuna intenzione di avere un figlio con lei.

Le parole, a volte, risultano inefficaci: meglio tacere e lasciare che l’altro percepisca l’affetto, la stima e la confidenza, meglio un silenzio accogliente e paziente che accompagni l’interlocutore a trovare da sé le risposte giuste. Una gravidanza non programmata, non desiderata e non accolta porta con sé tante domande e quella giovane necessitava di sapersi accettata e di accettare quanto viveva. Così è stato, nel silenzio.
È stato molto bello, dopo un po’ di giorni, sentire pronunciare il mio nome da una giovane dal marciapiede. Immediato far fermare la macchina e scendere per abbracciarla; il suo viso era disteso, sereno e luminoso e questo primo indizio mi ha fatta sentir bene anche se ancora non avevo elementi per sapere la decisione presa dalla giovane.
Nell’abbraccio il suo: “Sono ‘incinta’ è stato un regalo. E le parole si sono fatte garanzia comunitaria di accompagnamento, di ricordo, di preghiera per la nuova vita.
Nasce in me la consapevolezza che il “nardo” di Maria che va al sepolcro sia stato usato anche qui, con questa giovane mamma, anche se in maniera diversa, attraverso le mie parole ed i miei gesti.
Essere “nardo”. Anche per la Signora Elsa che nello scorso dicembre è stata operata di tumore e che deve affrontare la radioterapia con la preoccupazione di dover lasciare le figlie di 13 e 7 anni e con l’angoscia di dover affrontare la spesa della cura se non riesce a ottenere assistenza medica gratuita dal direttore della “Cassa malattie”.                                                                             foto Bruna hermanaSarò capace di credere che il “nardo “ della Provvidenza non delude e non lascia senza risposta i suoi figli? Sarò capace di continuare a credere che camminare accanto a chi ha bisogno, condividerne la speranza è profumo di nardo per la vita di tante persone? E’ aroma d’ anticipo di resurrezioni  perché tanti possano amare e si sentano amati?

Oggi 21 gennaio ricordo il mio arrivo in Bolivia nell’anno 2003 e la domanda suscitata in chiesa dal fiore che tanto mi piace accompagna l’anniversario; in tutti questi anni ben ricordo quante persone conosciute hanno riempito le mie mani di “nardo” perché potessi esserne scia odorosa e potessi offrirne l’aroma.
GRAZIE a quanti da diverse parti del mondo mi hanno aiutata.
GRAZIE perché in tantissimi continuate a permettere che possa acquistare il “nardo” giusto per migliorare la vita di tanti nostri fratelli.

Sr Bruna Pierobon

Suore Rosarie

Cochabamba 21 gennaio 2015

 

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Fatica e sogno formativo

La Vita Consacrata oggi è chiamata ad affrontare diverse sfide, una di queste è la formazione. Quest’area è sempre stata presa in considerazione, vista la sua importanza per la vita sr Rosalbareligiosa, ma oggi richiede che i formatori abbiano una maggiore attenzione e una buona preparazione per aiutare i giovani che provengono da una realtà sempre più complessa, disorientata e frammentata.

Sappiamo che lo scopo della formazione, iniziale e permanente, è di arrivare ad assumere i sentimenti e gli atteggiamenti di Cristo. L’azione educativa deve mirare esplicitamente ad un’autentica trasformazione del cuore perché esso impari ad amare alla maniera di Cristo.

È necessario quindi che la formazione miri alla crescita integrale della persona, ponendo l’attenzione nelle diverse aree: culturale, spirituale, umana e carismatica.

Come formatrice ritengo che uno degli aspetti su cui puntare l’attenzione all’inizio della formazione è quello di creare “alleanza” con il giovane, facendo in modo che si senta amato, accolto, accettato, valorizzato nel suo essere. Non è scontato che abbia fatto questa esperienza in famiglia, tra i parenti, gli amici. Il percorso, lungo e lento, di fede e di formazione lo porta a comprendere che è una persona degna di stima, di amore, di rispetto, di benevolenza, che Dio l’ha pensato e voluto da sempre, che Lui ha un disegno d’amore e che “sogna” insieme a lui, ma è fondamentale che in lui ci sia il passaggio dal capire al sentire. Nel momento in cui la persona comincia a sentirsi amata da Dio così com’è, a fare esperienza del suo amore che è fedele, eterno, misericordioso che va aldilà di ogni povertà, peccato e debolezza la sua vita assume un nuovo significato, un nuovo senso.

Un altro aspetto su cui porre l’attenzione è quello di aiutare il giovane a rileggere il proprio vissuto, la propria storia a partire dall’esperienza familiare, per capire quali sono oggi le conseguenze che questa porta a vivere per una reale conoscenza di sé, nella verità. L’azione educativa deve aiutare il formando a rileggere i fatti concreti della vita, a conoscere le proprie emozioni, i propri sentimenti e bisogni, a saper dare il nome a quello che vive, verificando se è in linea con il Vangelo. È importante quindi che il giovane impari a mettere in rapporto tutto quello che vive, sente e prova con i valori evangelici.Attraverso questo processo il giovane è aiutato a scoprire le aree di forza, le risorse, i punti deboli, le immaturità … per arrivare ad un processo di integrazione.

Il cammino di fede lo porta a riconoscere il passaggio di Dio nella propria vita sia nei momenti gioiosi che in quelli difficili. Impara, nella difficoltà, a chiedersi cosa gli dice Dio, com’è presente in quello che sta vivendo, e inoltre cosa rivela e cosa dice di sé quello che prova e sperimenta. Impara piano piano a fidarsi e ad abbandonarsi in Dio, a credere che egli è fedele e che non gli farà mancare il suo aiuto e la sua grazia per vivere la vocazione a cui l’ha chiamato! In questo percorso la preghiera è uno dei mezzi fondamentali. Comincia a comprendere che la preghiera non è altro che una relazione d’amore con Dio, un rapporto di intimità con Lui; impara ad ascoltare la sua Parola, a custodirla nel cuore, come Maria, e a metterla in pratica nel concreto del suo quotidiano.
Il percorso formativo deve portare la persona ad essere libera di consegnarsi ogni giorno a Dio per i fratelli, rinnovando il proprio SI quotidiano.
In questo servizio, delicato e impegnativo, il formatore diventa compagno di viaggio del giovane, lo ascolta, lo sostiene con la preghiera, lo incoraggia. È consapevole di essere uno strumento fragile e povero, di cui Dio si serve perché sa che solo Lui è il vero e unico Formatore.

Queste linee di formazione sono state e sono la mia ‘fatica e il mio sogno formativo’ da quando l’obbedienza mi ha chiesto questo ‘ministero’ all’interno del mio Istituto.

Sr Rosalba Ranieli
Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret

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