“Al principio, è la relazione… Dunque, noi, e non semplicemente io, partecipanti e non semplicemente osservanti” (Luce Irigaray). Nel possibile dramma assurdo della solitudine, ogni essere umano ha un bisogno struggente dell’altro; nessuno può vivere estraneo all’altro. Ed ecco l’imprescindibilità dell’ascolto, esercizio difficile, ma positivo nella sua soggettività e nella passività. Fa bene a chi parla e si sente ascoltato perché può sapersi compreso e accolto; fa bene a chi ascolta, perché si ritrova illuminato su verità non ancora pienamente capite o assorbite o su eventi non ancora conosciuti. Le parole, le idee ascoltate possono segnalare il passaggio dalla nebulosità alla luce.
Soltanto la relazione, che ha come fattore insostituibile l’ascolto benevolo e razionale, può far cambiare gli scarsi valori personali o gli errori dell’isolamento in stupende e appaganti possibilità d’amore. L’ascolto, infatti, che non è dipendenza, non sminuisce affatto l’irriducibile differenza; facilita il divenire umano, aiuta a custodire e arricchire la propria identità. In sintesi favorisce quel difficile passaggio dall’io al noi che ci rende tutti e tutte più umani/e perché più solidali, maggiormente partecipi, più coinvolti/e e coinvolgenti. È il passaggio dall’io al noi che ha le sue esigenze. “L’uomo si realizza come unità, ma unità dialogica” (M.I. Rupnik).
Stiamo vivendo in una fase storica forte, decisiva, che potrebbe anche essere distruttiva. E non ce lo possiamo permettere. L’unica via è implementare quella relazionalità che sta alla base, come fondamento sicuro, granitico della natura umana. “Non è bene che l’uomo sia solo”, disse a se stesso il Dio Trinità della Genesi. Ma l’altro, l’altra non è lì come una maschera o un manichino. E’ per stabilire una relazione d’amore. E ciò non è possibile senza un vero ascolto, un vero mutuo ‘dirsi’, che va oltre il ‘porgere l’orecchio’. Il benessere universale ha come base della sua ragion d’essere l’ascolto, anche se, nel moltiplicarsi delle possibilità comunicative offerte dai social network, l’ascolto ‘personale’ non è più il ‘primogenito’; soffre la sudditanza alla tecnologia. Sapremo infondervi sempre il calore, la passione, il pathos della relazione de visu?
Biancarosa Magliano
Direttore responsabile
È una cosa che nessuno, da giovane, mi ha insegnato. Mi hanno detto di ascoltare i genitori, il professore, il prete. Ma nessuno mi ha insegnato che in fondo a ognuno, e anche a me, c’è una sorgente interiore. E che se si resta zitti, dopo un po’ se ne sente lo scorrere. Però bisogna stare bene in ascolto, e non lasciarsi distrarre dal rumore di fuori.
Non me lo ha insegnato nessuno. L’ho imparato da me nei lunghi pomeriggi in montagna, da bambina solitaria che ero. E credo che questa silenziosa sorgente mi abbia salvato dal disordine mio, e attorno a me. Dalla mancanza di senso e in certi momenti anche dalla disperazione.
Nelle pagine di Etty Hillesum ho letto: “Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri…”. E ho capito cos’era, la mia sorgente segreta. E il lavoro di ogni sera é dissotterrarla dalla fatica, dalla abitudine, dalla distrazione. E arrivare a quell’acqua, e essere infine in pace
Marina Corradi
Editorialista di Avvenire
Ci sono vari gradi di ascolto: lasciar parlare l’altro, dandogli la possibilità di esprimere fino in fondo ciò che vuole dire, e c’è l’ ascolto muto di chi tace, ma dentro cova durezza di sguardi e di relazioni. Ma c’è anche un ascolto profondo che sperimenta chi vive un’intensa vita spirituale e si pone davanti al suo Signore per lodarlo e adorarlo. E da questo ascolto sgorga l’adesione piena al progetto divino su di lei/lui. «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla», scriveva nel suo Diario Etty Hillesum, che proseguiva: «Certe persone pregano con gli occhi rivolti al cielo: esse cercano Dio fuori di sé. Ce ne sono altre che chinano il capo nascondendolo fra le mani. Credo che cerchino Dio dentro di sé», in ascolto profondo di una voce impercettibile che porta però alla sorgente di tutto il bene. Lì, l’essere trova il suo habitat. Lì, il ben-essere è garantito.
Cristina Beffa
Giornalista professionista
L’ascolto è una qualità relazionale importantissima. Abituare il nostro senso, l’udito, all’ascolto, ci fa sentire bene e in pace con noi stessi e con il nostro contesto. Nelle pratiche orientali l’ascolto mette in contatto con l’essere e calma i vortici della mente. Dall’ascolto deriva uno stato di benessere immediato. L’ascolto di un altro essere umano può essere consolatorio, stimolante, coesivo. Senza capacità di ascoltare non avviene comunicazione. Nella costruzione delle relazioni l’ascolto crea fiducia, diventa collante, consente di fare progetti insieme. L’ascolto apre alla vista interiore. L’ascolto nella preghiera ci apre al trascendente e al rapporto con il divino. Siamo qui e ora, ma siamo anche oltre ed in pace con il creato.
La pratica dell’ascolto migliora i rapporti, costruisce ponti, amicizie, cura le tensioni e lenisce i conflitti. L’ascolto consente il dialogo, in una dinamica di scambio reciproco. Figlio del non ascolto è il grido di Munch, ma anche la guerra e quel dolore roco e terribile che è la chiusura al nostro essere sociali, creature bisognose di interazione, gli uni degli altri.
Daniela Carosio
Director
Sustainable Equity Value Ltd.
“E tu hai ascoltato!?” “Eh sì…come facevo!?”
Ero a un convegno, e stavo raccontando a un’amica di un incontro con una relatrice, la quale, dall’alto della sua posizione, a me giovane e curiosa, stava propugnando una tesi controversa. Sosteneva, la professoressa, che secondo studi recenti i traumi psicologici dei genitori, anche se apparentemente superati o taciuti ai figli, si sarebbero ripercossi sul dna dei discendenti. Io ero rimasta sconvolta e avevo contrastato questa teoria di predestinazione, ma lei, con l’aria di chi sa e per questo compatisce gli ingenui ignoranti, diceva: le cose stanno così.
La mia amica era andata su tutte le furie. “Dovevi mandarla a quel paese! E smettere di ascoltare!”.
In effetti, quella conversazione mi aveva rovinato la giornata, non dovevo stare a sentire quelle falsità new age. In quel momento, realizzai che l’ascolto, caposaldo dell’apertura verso il prossimo e primo passo verso il servizio, quando si trattava dei fatti del mondo era un arma a doppio taglio. Noi giovani dovremmo selezionare chi ascoltare, farci guidare da qualcuno che scremi per noi il buono e il cattivo ascolto, perchè aprire le orecchie a chi non merita può provocare danni. Non dobbiamo ascoltare le sirene che ci instillano sfiducia, disincanto e pessimismo. Senza per questo dimenticarci che l’ascolto è fondamentale, quando si parla dei fatti della nostra vita. Soprattutto oggi, in cui in genere, durante un dialogo, aspettiamo solo il turno di parlare senza davvero con-partecipare all’Altro. “Come stai?” Bene. Ma fare la domanda non significa per forza essere interessati alla risposta. L’ascolto dovrebbe produrre empatia. Ascoltare l’Altro vuol dire essere disposti ad uscire da noi stessi, metterci un attimo da parte per andare in contro al Prossimo. Ascolto è possibile quando ci si mette allo stesso piano, non ci sono professori e ignoranti ma Persone. E nell’ascolto, paradossalmente troviamo (o ritroviamo) il nostro essere, poiché solamente con il confronto e il rispetto dell’Altro possiamo tracciare il contorno del nostro stesso essere. E sarà un ben-essere, poiché ascoltare è un atto di apertura verso il Prossimo. Benessere per chi è ascoltato e per chi ascolta, perché, se siamo cristiani, nel volto dell’Altro riconosciamo il volto di Dio, ma per tutti ascoltare ed essere ascoltati è un fatto che leviga l’orgoglio e permette di stabilire una comunicazione anche là dove c’è il conflitto.
Chiara Turrini
chiara_turrini@email.it
Ben-essere: il trattino, come un campanello d’allarme, mette in guardia dall’attribuire alla parola “benessere”, ormai usurata e logora, un significato riduttivo. Stare bene o stare male (non inganni l’uso del verbo “stare”, perché benessere e malessere sono realtà dinamiche) non deriva tanto da situazioni contingenti, ma anzitutto dalla risposta che diamo alla domanda: “Chi sono io?”. E, come scrive Gabriel Marcel, solo gli altri ci possono rispondere. In fondo è la relazione che ci definisce e l’incontro con un “tu” (Tu) ne è il punto più alto. Oggi siamo persone segnate da tempi ridotti, in situazioni di urgenza, con un tale carico di informazioni da essere descritti come “conversatori minimi”, eppure le parole sembrano prevalere sull’ascolto. E proprio in questo tempo, in cui sbiadisce l’esperienza dell’interiorità, risuona più che mai con potenza l’invito antico: “Shemà”, ascolta. Chi? La Parola, “voce di silenzio sottile” (1 Re 19,12), perché Dio non è un “barlume del nostro orizzonte”: è il nostro oriente, il luogo della nostra origine e “dorme nel più profondo di noi” (G. Thibon). Se vogliamo parlare con la Parola di Dio, e non scadere nella chiacchiera, dobbiamo “ascoltare con l’orecchio di Dio”. Qui ha origine il nostro essere credenti.
Suor Patrizia Graziosi – Suore di San Giuseppe
L’ascolto si fonda sulla creazione di un rapporto positivo, caratterizzato dal fatto che una persona possa sentirsi compresa e, comunque, non giudicata. Ascoltare vuol significare rendersi disponibili a comprendere realmente ciò che l’altro sta dicendo, In questo modo è possibile stabilire rapporti di riconoscimento, rispetto e apprendimento reciproco,creare ben-essere. Per ascoltare gli altri,bisogna ascoltare se stessi, ascoltare le proprie reazioni, per essere consapevoli dei limiti del proprio punto di vista e per accettare il non sapere e la difficoltà di non capire. Da questa modalità di ascolto è escluso il giudizio e la diffidenza. Non vi sono comportamenti ’’giusti o sbagliati’’, ma si cerca di capire l’esperienza dell’altro, il che implica accogliere come importanti, aspetti che siamo abituati a considerare trascurabili o addirittura che prima non abbiamo mai preso in considerazione. Ascoltare è un mezzo per accogliere l’altro in se stessi mentre parlare è un mezzo per esprimere se stessi agli altri.
Adriana Moltedo
Esperta di comunicazione istituzionale
Ascolto/Ben-essere: due “stati” della persona che ne coinvolgono apertamente la dimensione materiale e psico-spirituale. E’ interessante il loro raffronto, la correlazione nella reciproca interdipendenza.
L’ascolto, di sé e degli altri, presuppone quiete fisica e mentale e apertura psicologica e del cuore. Disponibilità. Di conseguenza, tale stato si associa a una condizione di ben-essere; in caso contrario non si darebbe ascolto efficace.
“Star bene”, a sua volta, non è solo una condizione fisica, ma soprattutto psicologica e spirituale. E’ quest’ultima che in gran parte determina la prima.
Dunque il ben-essere conduce e apre all’ascolto e quest’ultimo insieme ne fruisce e lo favorisce in sé e negli altri.
Si pensi ai “Grandi” che “hanno ascoltato” nella storia: Abramo, Maria di Nazaret, Francesco di Assisi, Ignazio di Loyola, Teresa di Calcutta… un ascolto del proprio cuore e delle esigenze del prossimo, scaturito da un ben-essere personale e che altrettanto ben-essere ha generato nella stessa persona e negli altri. Il Modello: Gesù.
Ascolto e ben-essere: un binomio indissolubile, due stati fondamentali di una personalità autenticamente umana.
Suor Anna Monia Alfieri
Presidente Federazione Istituti di Attività Educative
www.fidaelombardia.it
Ciò che viene confusa facilmente è la differenza sostanziale tra il vedere e il guardare, tra il sentire e il saper ascoltare.
I new media hanno sviluppato la capacità visiva sino ad annientarla penalizzando gli altri sensi tra i quali l’udito che viene sottoposto a rumori continui tanto da arrivare ad un’assuefazione.
Saper discernere le varie tipologie di suoni che la natura ci offre è diventata una qualità rara.
Il piacere del silenzio che induce alla riflessione viene confuso con inquietante solitudine.
L’armonia dei sensi deve essere il principale obiettivo per arrivare ad uno stato di benessere.
Oggi, purtroppo, siamo ben lontani da tale traguardo. Il consumismo ci sta distraendo dal rapporto con gli altri nella sua unicità e grandezza. Presi da noi stessi, agiamo senza né guardare, né ascoltare ciò che accade aldilà dei nostri passi che, in questo modo, non ci porteranno lontano.
Roberta De Toma
Pubblicitaria art-director
Ascoltare: voce del verbo star bene. Ecco una sfida che, nel mondo contemporaneo, chiede una continua vigilanza per non cadere in criteri irrazionali di discernimento spirituale.
Ascolto profondo di se stessi nella relazione dialogante con Dio e con la realtà in cui si vive.
Ascolto che nasce dall’incontro autentico con Gesù e la sua Parola. Un Gesù fatto di “carne e ossa , non è un’idea spirituale che va… Lui è vivo. E’ proprio Risorto! (Papa Francesco, omelia 10 settembre ’13).
Ascolto delle sofferenze silenziose e nascoste dei poveri e dei tanti esseri umani, nostri fratelli, che gridano alle nostre sordità. “Non posso riposare tranquillo finché c’è una miseria in questo mondo” (Giovanni Battista Manzella).
Ascolto come rinuncia di ogni presunzione e di ogni volontà di dominio per costruire, nell’umile ricerca del bene comune, la solidarietà e la condivisione, condizioni esclusive di ben-essere.
Pace come sinonimo di ben-essere.
Allora, forse, si potrà declinare il verbo della pace per un’umanità peregrinante e disorientata, che vive in attesa di una totale trasformazione redentiva, nella pienezza dell’incontro con Cristo, nostra unica vera Pace.
Sr Maria Carmela Tornatore
Suora del Getsemani
srcarmela.get@tiscali.it
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