La Chiesa che è in Italia nel 2006 ha celebrato a Verona il 4° Convegno ecclesiale nazionale «Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo». Il documento preparatorio al Convegno, sulle tracce della Prima Lettera di Pietro, sollecitava la coscienza dei cristiani a rendere ragione della speranza (1Pt 3,15), interrogandosi su “come” la speranza può aiutare a comprendere e vivere le situazioni che maggiormente interpellano l’esistenza contemporanea. Dal mio piccolo osservatorio non ho l’impressione che le comunità ecclesiali – prime destinatarie degli orientamenti del Convegno – abbiano preso sul serio le indicazioni emerse che avrebbero voluto rinnovare l’impegno a sostenere l’itinerario spirituale ed ecclesiale dei singoli battezzati chiamati ad essere “testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”.
Molto positiva, dunque, la scelta di mettere sul tavolo virtuale del nostro sito il tema speranza/disperazione che ha visto un significativo confronto di voci diverse eppure complementari che, attingendo soprattutto all’esperienza della vita, hanno costruito un mosaico interpellante, carico di interrogativi che intercettano il nucleo più intimo di ogni persona umana, ma anche ricco di stimoli. Tenterò di raccoglierli in una sintesi ragionata, valorizzando un piccolo prezioso testo, edito dal Monastero di Bose, che riporta un ritiro predicato nel 1993 da Luciano Manicardi, vice priore della comunità monastica: un testo in cui si tratta di speranza e disperazione e che non è per nulla datato, anzi sembra anticipare molti degli spunti presenti nei contributi, organizzandoli in una riflessione attuale e convincente (L. Manicardi, La speranza del cristiano, Edizioni Qiqajon – Monastero di Bose, Magnano 1995).
1. Fede – Speranza – Carità
Un primo essenziale punto di riferimento è la struttura trinitaria della vita teologale: fede, speranza e carità costituiscono un’unità nella diversità, ci sono state donate “insieme” con il battesimo. Non ci è dato, dunque, di separarle. Molte riflessioni hanno evocato il bel testo di Péguy sulla speranza raffigurata come una bambina piccola, aggrappata alle mani delle due sorelle grandi, la fede e la carità, una bambina “da nulla”, persa nelle gonne della sue sorelle. «E in realtà è lei che fa camminare le due altre. E che le tira».
Ma la speranza ha bisogno della fede, perché non illumina qualcosa che c’è, ma il “non-ancora” che Cristo, con la sua morte e risurrezione, rende possibile, permettendoci anche di compierlo. Si tratta di distinguere – come ha mostrato Gabriel Marcel in un suo libro (Homo viator. Prolegomeni di una metafisica della speranza) – tra «sperare che» e «sperare in» perché la speranza non verte sul mondo o sulle nostre realtà personali, comunitarie, sociali che vorremmo cambiare e far diventare “nuove” secondo i nostri desideri e progetti, ma su Dio: si spera in quel Dio che fa nuove tutte le cose. Non può essere infatti la storia a darci motivi di speranza, ma piuttosto è la speranza a darci le ragioni per vivere dentro a questa storia. È la risurrezione di Cristo a renderci certi che la vittoria sulla morte fonda la nostra speranza, ma la fonda su Dio e sulla sua azione; in questo senso la tradizione ci ricorda che la speranza è una virtù teologale in grado di generare atteggiamenti nuovi e sorprendenti nei cristiani.
Oggi, nell’attuale situazione di crisi e disagio in ogni campo, la nostra speranza rispetto al futuro di Dio rischia di essere “mezza morta” – così affermava una teologa spagnola nel Congresso internazionale della vita religiosa nel 2004 – e noi scendiamo a patti con una “eresia emozionale” che in questo momento è molto più pericolosa di qualsiasi altra eresia: Dio non potrebbe più fare nulla in questo mondo, in questa Chiesa, in questo Corpo apostolico. Come se non ci fosse ormai da aspettarsi nessuna novità da lui. Non lo diciamo in questi termini, ma lo sentiamo, e questo sentimento in modo sottile ci entra dentro, e porta via il conforto e la speranza. Ora, quando entra in crisi la speranza, iniziano ad agonizzare l’amore e la fede. Non dobbiamo cedere di fronte alla paura né lasciarci paralizzare dallo scoraggiamento, ma aggrapparci alla grazia e alla misericordia di Dio che spezza le catene che possono immobilizzarci e riapre il cielo, squarciando un nuovo orizzonte nel tempo che viviamo. Potremo allora credere che … “proprio perché le cose si sono aggravate tanto, è permessa la speranza”. Ma l’esperienza della vita ci dice che non è così facile continuare a sperare quando tutto intorno – e forse anche dentro di noi – si presenta precario e fallimentare e sembra di camminare su sabbie mobili. Così, quasi senza accorgercene, cominciamo a prendere distanza dalla speranza: di qui alla disperazione il passaggio può essere molto rapido.
2. Dalle speranze alla Speranza,
attraversando la “grande tentazione” della disperazione
Speranza e disperazione appaiono realtà sfumate, dai contorni non così netti, al punto che possono arrivare a toccarsi, come emerge anche da molti contributi. E, forse, la condizione di verità e autenticità a cui la disperazione riporta l’uomo è essenziale per la costruzione di una speranza non illusoria né fittizia. La vita insegna che molte volte bisogna superare la paura di passare sotto le “forche caudine” della disperazione perché si compia il passaggio dalle speranze alla speranza. Può succedere infatti di cominciare a prendere distanza dalla speranza di fronte alla delusione del non-compimento di un nostro desiderio molto forte, di una speranza coltivata a lungo … E non siamo capaci di comportarci come suggerisce Martin Luter King, nel testo citato in un contributo: «Dobbiamo accettare la delusione che è limitata, ma non dobbiamo mai perdere l’infinita speranza».
Se è profondamente vero che la forza del desiderio è positiva, apre alla fiducia e a operare in termini di futuro, la speranza, insieme al desiderare, ha bisogno della fede: la speranza non è quindi un problema di conoscenza ma di apertura del cuore e di fiducia in Dio.
La speranza cristiana, in definitiva, non è senza discernimento e richiede di non confondere le speranze con la speranza, virtù teologale. Una speranza senza Dio è quasi sempre una pura illusione che, prima o poi, finisce in delusione. E sempre più breve è il passo verso la disperazione.
Eppure Thomas Mann asserisce di ritenere più onesta e più morale la disperazione rispetto all’ottimismo rivoluzionario o al fideismo parolaio: «L’umanità nello stato di disperazione è più vicina a salvarsi che in altri stati». La Scrittura stessa ci presenta spesso situazioni di disperazione: situazioni di malattia, di angoscia in cui il credente si trova abbandonato da Dio e dagli uomini, dai suoi stessi familiari. Si trova nella disperazione eppure continua a gridare a Dio, a rivolgersi a lui come al «suo Dio», mostrando così che gridare a Dio la propria disperazione è la forma estrema della speranza stessa. Non è un caso che la Scrittura conosca l’affermazione della speranza come paradosso: «sperare contra spem». È l’esempio di Abramo, il padre dei credenti, che incarna questo paradosso: «Abramo ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli …» (Rm 4,18). Forse, potremmo dire, si tratta di «sperare in desperatione».
Leggiamo ancora sul nostro “tavolo virtuale”: «La disperazione è avere sotto gli occhi percorsi, orari e soldi per prendere il treno più veloce; ma non partire nemmeno, sapendo che non ti aspetta nessuno … Ma è quando tutto inizia a diventare nero e la speranza cede lentamente il posto alla disperazione che ti potresti accorgere di non esser solo …».
Non si può custodire e alimentare la speranza in solitudine, tanto meno uscire dalla disperazione. Abbiamo tutti bisogno di Gesù, il Buon Samaritano, che ci soccorra nelle nostre cadute, ci strappi dall’orlo del baratro della disperazione e ci rimetta “in piedi”, liberi e forti, come figli nel Figlio. Ma dobbiamo anche farci samaritani, pur piccoli e fragili, prendendoci cura gli uni degli altri, per custodire e rafforzare la speranza che ci inabita insieme alla fede e alla carità, perché la speranza è sempre centrata su un noi, non su un ego, ma su una relazione viva tra un io e un tu. Abbiamo bisogno di ritornare, dandoci la mano come le tre virtù-sorelle, nei “luoghi” puntualmente messi a fuoco in un contributo, luoghi che occorre riprendere a frequentare con maggiore assiduità per allenarci nell’apprendimento della speranza: la preghiera, l’affidamento, la cura verso gli altri, la fiducia in Colui che mai ci delude (Cf Rm 5,5) perché ha vissuto in prima persona ogni sofferenza.
Papa Francesco, più volte citato nei contributi, nell’omelia della S. Messa per l’inizio del ministero petrino come vescovo di Roma (19 marzo 2013) ci ha esortati a custodirci l’un l’altro, con tenerezza, per essere testimoni di speranza: «Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio. Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!».
Ma perché la stella risplenda anche nelle notti fonde del nostro tempo, che pare sempre più stretto nel cerchio chiuso della disperazione, tutti e ciascuno siamo chiamati in causa, perché, «adorando il Signore, Cristo, nei nostri cuori, siamo pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi» (cfr 1Pt 3,15).
suor Azia Ciairano
azia@missionariemortara.it
Responsabile Ufficio Missioni
Usmi Nazionale
Vedi anche:
Commenti recenti