PostHeaderIcon Le mie avventure

 

Vengo da una piccola nazione del corno d’Africa, che si chiama ERITREA. Dopo trent’anni di guerriglia, nel 1993 abbiamo conquistato l’indipendenza dall’Etiopia. La Popolazione conta 4 milioni di abitanti. Siamo metà cristiani e metà musulmani .

Nel 1981, sono venuta in Italia come suora di voti temporanei, per prepararmi ai voti perpetui e per la missione ad gentes. All’inizio del 1983 sono stata  mandata in missione nel Sud del Sudan dove ho lavorato per dieci anni. E poi sono andata in Uganda con le suore Sud Sudanesi che aiutavo nella formazione per tre anni. Sono stata trasferita poi in Kenia e vi sono rimasta 7 anni. Negli ultimi dieci anni sono ritornata al mio paese di origine e ho lavorato come maestra delle novizie.

Nella mia esperienza missionaria ho lavorato nella pastorale giovanile, nella preparazione delle coppie al sacramento del matrimonio, nell’insegnamento della vita cristiana nelle scuole medie e superiori.

 

 Nel 1990-1991 la mia congregazione mi ha preparato per lavorare nella formazione per una congregazione locale del Sud Sudan, che si chiama Missionary Sisters of the Blessed Virgin Mary. Per quattro anni ho lavorato nella formazione delle novizie di questa congregazione. Finito questo, mi è stato chiesto di lavorare nella  formazione iniziale della mia congregazione per undici anni, tra postulandato e noviziato.

La mia congregazione è specificamente missionaria. Lasciamo il paese d’origine per il servizio dell’evangelizzazione, specialmente tra i poveri e abbandonati, dove il vangelo non è ancora conosciuto.

Sento in me il privilegio e orgoglio per la mia esperienza di missione, specialmente per aver lavorato in Sud Sudan, terra dove il mio fondatore, San Daniele Comboni ha lavorato e ha dato la sua vita. ‘Africa o morte’ era il suo motto sin da giovane. E quando fu sul letto della sua morte disse:  ‘Io muoio ma l’opera non morirà’. L’opera continua attraverso di me e delle mie sorelle.

Il Sud Sudan ha avuto l’indipendenza solo l’anno scorso. La guerriglia per l’indipendenza ha incominciato nel 1983, l’anno che io sono andata in missione. Quindi, io posso dire che ho visto solo tanta sofferenza, povertà, miseria e morte. Quel che mi ha segnato specialmente è stato, tra gli anni 1988-1990, lasciare la missione di Rejaf (la mia prima missione) ed entrare in Juba unendoci per motivi di sicurezza alle altre  sorelle che lavoravano lì. Dopo un po’ di tempo che eravamo lì, sono iniziati i bombardamenti  aerei e i combattimenti nella cita’ e nei dintorni. Per questo motivo tutti gli ONG ed alcuni missionari sono scappati dal Paese. Anche noi siamo state incoraggiate dall’ufficio delle Nazione Unite a lasciare il Paese che era in pericolo.

Io, per essere sincera  sentivo tanta paura e spavento specialmente quando le bombe ci cadevano vicino. Quasi volevo anch’io scappare; però in quel momento ero  consigliera del consiglio provinciale, e dopo un serio discernimento ho deciso di rimanere nella missione. E posso dire che il Signore non mi ha solo protetto dalle bombe, ma anche mi ha donato una pace e una gioia grande, che fino ad oggi mi è di sostegno e fiducia.  La gente e tutti i capi della chiesa locale hanno apprezzato la nostra decisione di rimanere con loro e ci hanno tanto incoraggiato e aiutate in tutti i modi. Così anche i nostri superiori maggiori, i missionari che sono usciti fuori dal paese, alcuni degli ONG da dove erano ci mandavano tanti incoraggiamenti. Quindi io posso dire che quello è stato il momento più bello e significativo della mia vita fino ad oggi. C’è più gioia nel dare che ricevere . È dando ( sacrificando)che ci arricchiamo con una gioia grande  e pace interiore.

Sento che la missione è dare la propria vita, ma è anche una ricchezza. Aprendoci agli altri scopriamo, impariamo e riceviamo tante cose belle, come amicizia, saggezza, amore, fede …  Si diventa membri di una grande famiglia, si superano tante barriere culturali, sociali e religiose.  Io sento che la missione mi ha formato e trasformato aiutandomi ad essere più aperta,più accogliente, più rispettosa …

Ringrazio il mio Istituto di questa esperienza missionaria, che mi ha tanto aiutato e arricchito nel mio lavoro di formazione. Ricordo con tanto gratitudine e amore la gente del Sud Sudan, Uganda e Kenya, specialmente le persone che il Signore ha messo nel mio cammino di formatrice, postulanti e novizie che venivano da vari Paesi di Africa, con i quali ho avuto contatto personale di fiducia e di crescita. Ascoltandoli ho ricevuto molto e mi sento arricchita.

All’interno del mio Istituto mi sento una grande responsabilità e impegno per essere donne significative e autentiche nella Chiesa e nel mondo, non tanto col nostro fare ma con il nostro essere. Sento che dobbiamo testimoniare specialmente con il nostro relazionare tra di noi, nelle nostre comunità con amore, aprendoci e accogliendoci  l’un l’altra.    

SR DAHAB KIDANEMARIAM, SUORA MISSIONARIA COMBONIANA

dahabkm@gmail.com

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PostHeaderIcon Missionaria in virtù del battesimo

La storia della mia vocazione inizia mentre frequentavo il liceo scientifico nel mio Paese, la Repubblica Democratica del Congo. La scuola era

gestita da una Congregazione di suore spagnole.

In me c’era l’inclinazione verso la vita consacrata e furono proprio le suore della scuola che frequentavo ad aiutarmi nel discernimento, finché sono arrivata alla scelta definitiva. Sognavo di entrare in una Congregazione missionaria e, per grazia di Dio, così è avvenuto. La mia, però, è l’esperienza di una suora ‘straniera’ missionaria in Italia.

Sono giunta in Italia nel 1989 per il periodo della mia formazione iniziale. Nel 1992 ho cominciato il mio apostolato in Italia. Oggi, lo dico con fermezza, mi sento realizzata non per quello che faccio, ma per quello che sono: una donna consacrata totalmente a Dio, capace di amare, donare e donarmi liberamente, vivendo la mia femminilità come offerta di tutta me stessa agli altri, secondo la mistica africana, fondata sul valore della fecondità spirituale.

Sono grata al Signore per il dono della mia duplice vocazione: la chiamata alla vita cristiana mediante il battesimo e alla vita consacrata, come missionaria in Italia.

La mia esperienza missionaria si allarga a macchia d’olio, di giorno in giorno, servendo il Signore nei piccoli. Il mio apostolato mi dà gioia perché posso rendere visibile e leggibile la mia maternità.

I bambini del sud del mondo muoiono di fame e di sete, quelli occidentali, invece, muoiono interiormente per la mancanza di valori. In un mondo lacerato da tanti mali i valori importanti per la vita vengono messi all’indice. Urge il richiamo a tornare alle origini, alle radici della nostra fede.

Questa è la missione che interpella tutta la mia persona. Attraverso gli incontri con i bambini e i loro genitori cerco di comunicare i veri valori su cui la vita viene fondata. Cerco di trasmettere a mia volta quello che ho ricevuto, facendo riferimento al carisma delle Suore Agostiniane Serve di Gesù e Maria, che è quello di configurarsi a Cristo, Servo del Padre.

Voglio concludere la mia testimonianza con una frase del nostro S. Padre Agostino: “Cercando te, Dio mio, io cerco la felicità della mia vita”. Solo nel possedere Dio si raggiunge la vera felicità.

Sr Dorotea Mumba Kalokoni

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PostHeaderIcon Marta: religiosa e insegnante

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PostHeaderIcon Testimonianza di Sr. Valentina

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PostHeaderIcon LAVORARE TRA LE PERSONE, CON LE PERSONE

 

La Madonna Pellegrina nel Carcere “Mammagialla” di Viterbo

Il carcere è il luogo straordinario per conoscere l’uomo, nel suo mistero di bene e di male. E’ un ambiente che non offre grandi risultati ma che riempie di senso il servizio e il ministero di chi vi opera. E questo lo abbiamo verificato ancora una volta il 28 maggio scorso nell’Istituto di pena di Viterbo “Mammagialla”, dove è entrata per la prima volta la Madonnapellegrina. Accompagnata dal vescovo, mons. Lino Fumagalli, dal cappellano padre Antonio Bagnulo e dall’immancabile Suor Rita Del Grosso, la statuetta mariana ha varcato le imponenti mura dell’istituto di pena ed è stata accolta e portata in spalla fino alla cappella del carcere, dove lo stesso presule ha presieduto la santa messa. “Sono venuto qui per un atto di devozione nei confronti della Madonna” ha sottolineato nel corso dell’omelia mons. Fumagalli. “Tutti abbiamo bisogno di sentire vicino la mamma e in Maria troviamo una mamma che si prende cura di noi” ha continuato. Poi, rivolgendosi agli ospiti ha detto: “Fate sempre quello che Gesù vi dirà, stringete amicizia con lui”. Riprendendo le parole di Papa Francesco, pronunciate in occasione della visita del pontefice a Casal Del Marmo, ha invitato i detenuti a non perdere la speranza. “Sperare non solo di uscire presto da qui, ma anche di vivere questa esperienza pienamente, perché la vita ha senso anche in un istituto di pena. La si può accettare con serenità stringendo rapporti di amicizia con i compagni oppure dandosi da fare come e quanto è possibile”.

Oltre un centinaio gli ospiti hanno voluto pregare ai piedi della Madonna a conclusione del mese mariano. Tra loro anche c’è stato chi per la prima volta si è avvicinato al Signore facendo la Prima Comunione e chi, invece, ha voluto partecipare ugualmente nonostante di fede ortodossa. Nella cappella, infatti, c’erano fedeli georgiani, romeni, russi ed ucraini. La liturgia è stata animata dal coro Musica Insieme, diretto da Ida Scanu. Al termine della messa, i detenuti sono rimasti in chiesa per la recita del Santo Rosario.

“Il nostro è un istituto complesso che ospita oltre 700 detenuti appartenenti a circuiti diversi” ha detto la direttrice, Teresa Mascolo. “A fronte delle difficoltà economiche e della carenza di risorse umane, cerchiamo di puntare sui rapporti personali. Non solo con le persone ristrette, ma anche con gli operatori. Il nostro Istituto, purtroppo, sale alla ribalta delle cronache solo quando accadono episodi negativi. Oggi non è così, e ne sono molto fiera. Torno in ufficio con il cuore rallegrato”.

Padre Bagnulo, il cappellano, presta servizio a Viterbo dal 2000 e in tredici anni ha visto raddoppiare la struttura. “Quello di oggi è stato un evento partecipato che ha toccato i cuori dei detenuti. Coltivare la dimensione religiosa in carcere ha un valore profondamente educativo per i ristretti. Stringere un rapporto con il soprannaturale, li aiuta a far riscopre un futuro diverso da quello che li ha portati qui”.

Ma tra il recupero del condannato e la sicurezza dei cittadini, può esserci sinergia o solo contrapposizione? “Non dimenticando quello che è il nostro compito principale, ovvero quello della rieducazione, ritengo che non possiamo svolgere questo lavoro se non credessimo in questo principio, peraltro costituzionalmente riconosciuto. Garantire la sicurezza negli istituti di pena, indirettamente garantisce la sicurezza anche del cittadino fuori da qui” ha evidenziatola Direttrice, aggiungendo che “E’ necessario concentrarsi sulla persona e non sul reato commesso. Sono convinta che curare la relazione con le persone ristrette possa essere una formula di successo per migliorare le condizione difficili soprattutto negli istituti caratterizzati da una grande sovraffollamento. Lavorare tra le persone, con le persone. Siano esse operatori o detenuti. Questo è il nostro motto”.

Davide Dionisi
Giornalista della Radio Vaticana

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PostHeaderIcon Testimonianza da S. Agnello di Sorrento – M. Lidia Vicard

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PostHeaderIcon Testimonianza da S. Agnello di Sorrento – Sr. M. Carmela Tornatore

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PostHeaderIcon Come un’isola felice

 

In questi anni ho svolto il mio servizio in diverse città dell’Italia. L’anno scorso ho avuto la gioia e il dono di trascorrere tre mesi nelle Filippine, dove abbiamo una missione da circa quattro anni.

Appena scesa dall’aeroporto a Manila ho capito subito che mi trovavo in un altro mondo!

La notte trascorsa a Manila, in attesa dell’altro volo mi ha permesso di prepararmi con calma ad entrare in una realtà che la nostra mente può immaginare, ma vederla è un’altra cosa.

Arrivo a Dumaguete dopo due giorni di viaggio e trovo le mie sorelle ad accogliermi. Tutto intorno mi sembra strano, per strada non ci sono semafori, poche macchine e tanti pedicap  (dei motocicli con a fianco il posto per i passeggeri), la ricca vegetazione che circonda la città, frutta e fiori ovunque! Poi arrivo nella nostra nuova casa, dono della Provvidenza, tutto è nuovo e genera in me grande meraviglia!

Dopo i primi giorni di assestamento comincio a conoscere la realtà che mi circonda e rimango stupita in modo particolare dai forti contrasti tra povertà e ricchezza.

Se penso alla mia esperienza a Dumaguete mi vengono in mente tre immagini: il pedicap, le palme e il volto dei bimbi.

Pedicap:
La città è piena di questi motocicli che creano un grande traffico eppure non si percepisce il caos, tutto sembra tranquillo. Si percepisce invece calma e pazienza: una caratteristica che ho colto nel popolo filippino.

Le palme:
Il paesaggio che circonda la città è ricco di palme. Quando c’è stato il tifone, mi ha colpito il fatto che tante piante sono cadute e si sono spezzate, mentre le palme sono rimaste intatte, alte, belle!… Non si sono scomposte perché sono piante che si lasciano portare dal vento. Il popolo filippino assomiglia un po’ a queste palme: le vicende tristi, la povertà non li fanno scoraggiare, continuano ad avere fede e a sorridere alla vita. Amano tanto fare feste, danzare, cantare …

Il volto dei bambini:
la prima volta che arrivo in Cattedrale mi si avvicinano subito tanti bambini sorridenti che mi prendono la mano. Sono stupita, non capisco. La suora accanto a me mi dice di non preoccuparmi perché è il loro modo di salutare… Un gesto bello che mi ha commosso: prendono la mano e l’appoggiano sulla loro fronte per avere la benedizione!

Il sorriso dei bambini, si è stampato nel mio cuore. Sono stati loro una benedizione per me!

Ho potuto sperimentare questo ogni volta che sono andata con Sr. Maria a “Rifugio di Speranza” (Landong sa paglaum ) il centro diurno gestito da noi che accoglie bambini, ragazzi e famiglie che  vivono per strada.

All’inizio mi sembrava di non capire nulla, le sensazioni che invadevano il mio cuore erano tante. Quando  arrivavano i bambini sporchi e affamati, mi venivano incontro per abbracciarmi, sempre con il sorriso e la voglia di giocare. La mia ignoranza della lingua non è stato un ostacolo, i rapporti con i bambini sono stati immediati. È stato bellissimo giocare, riuscivano a divertirsi con poco, ridevamo  quando mi chiedevano il nome e facevano fatica a capirlo ma tentavano d’impararlo, storpiandolo in tutti i modi.

Mi è sembrato questo proprio un luogo di fede e di speranza, le persone che arrivano qui, oltre che  cibo, doccia, vestiti, possono trovare accoglienza, attenzione, famiglia.

Non so ancora con chiarezza dove il Signore mi porterà in futuro, ma sento che il mio cuore si è allargato e la mia vita non può essere più come prima. Grazie a tutti, in particolare alle mie sorelle che in questi anni stanno dando la vita in questa nuova missione. God bless you!

Sr Gabriella D’Agostino

srgabry.dag@gmail.com

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PostHeaderIcon Sr. Gabriella incontra il popolo Rom

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PostHeaderIcon Dans le malade j’ai rencontré le visage du Christ

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