Dietro le sbarre

Nel tradizionale concorso natalizio di presepi, sabato 17 gennaio 2015, nella casa circondariale di Rebibbia, le persone detenute hanno vissuto un momento di grande trepidazione perla premiazione dei presepi, realizzati su invito del cappellano don Nicola Cappellaro. Per le persone detenute, il periodo delle feste natalizie diventa un tempo molto delicato, un tempo che non passa mai perché a loro viene a mancare quell’atmosfera tipica fatta di suoni, colori, di incontri tra amici, tra le persone care. Intorno a loro si crea inevitabilmente un vuoto incolmabile fatto di rimpianti, di nostalgia, di sofferenza. Quindi il presepe diventa l’unica occasione favorevole per dar sfogo alla creatività, alla fantasia, ai ricordi, ai sogni, ai momenti belli vissuti insieme ai propri familiari, l’unico collegamento con il mondo esterno, l’unico aggancio con la tradizione del Natale.

“Ero carcerato e siete venuti a visitarmi” (Mt 25,36), è questo il messaggio evangelico che ha ispirato la costruzione di alcuni presepi all’interno della Cappella della casa circondariale di Rebibbia. E’ proprio davanti ai loro presepi, in cui hanno messo cuore e mente, sentimenti ed emozioni, che queste persone ristrette hanno avuto modo di immergersi nella riflessione più vera, più profonda e costruttiva. Nella povera grotta di Betlemme, in cui hanno sentito di raffigurare le loro celle, hanno avuto modo di ripensare alla propria vita, di deporre gli errori commessi e di pregare per la propria e altrui sofferenza. Anche un presepe tra le sbarre può spalancare le coscienze. E questo non vale solo per i detenuti, ma anche per noi persone libere, costringendoci a rimetterci in gioco, ad interrogarci su come gestiamo la nostra libertà e il nostro operato. Siamo noi esenti da errori, siamo noi immuni da colpe? Interrogativi che fanno eco a quelli di Papa Francesco quando, telefonando abitualmente ad alcuni carcerati di Buenos Aires (lo ha raccontato lui stesso nel corso dell’incontro con i cappellani delle carceri italiane) dopo la conversazione con l’uno o l’altro dei suoi amici dietro le sbarre, poggiata la cornetta gli viene alla mente una domanda dolorosa: «Perché lui è lì e non io? Perché lui e non io? Che meriti più di lui ho per non stare lì?». «Fa bene domandarsi: `Perché lui è caduto e non io´? Le debolezze che abbiamo sono le stesse… È un mistero che ci avvicina a loro», ha osservato il Pontefice.

Il carcere è davvero il luogo nel quale si assiste alla massima espressione dell’inventiva, della creatività dell’essere umano, perché con materiale di scarto riciclato per l’uso, con mezzi inesistenti, ridottissimi, quali un cartoncino rigido, un po’ di polistirolo, sottili bastoncini, travicelli di legno, è possibile realizzare delle opere che richiederebbero ben altre attrezzature per poterle costruire, come nel caso specifico dei presepi esposti al giudizio della giuria. Si è visto come la povertà di mezzi non va sempre vista come un condizionamento all’agire, anzi permette di poter sviluppare quelle potenzialità nascoste, soppresse, spesso mai coltivate.

E’ il caso del presepe in cui sei detenuti, per non dimenticare il male che può provocare l’uomo con la sua sete di potere, hanno voluto ricostruire la terra dove molti di loro sono nati e cresciuti. Questo è il loro messaggio. “Tra questi rifiuti tossici per l’uomo, per la terra, il mare, i fiumi e tra questi abusi edilizi che distruggono questo nostro paesaggio famoso per essere il giardino dell’Italia, la nascita del Bambino Gesù è simbolo di speranza. Noi vogliamo dire basta alla terra dei fuochi. Il nostro desiderio è che l’unico fuoco in questa terra sia quello della speranza per un futuro migliore”.

Un altro forte messaggio, non meno significativo, ci viene dalla costruzione di un presepe tradizionale che agli autori ha fatto tornare alla mente (parole loro) “il periodo della fanciullezza quando spensierati e liberi, insieme ai nonni e genitori passavamo dei giorni felici e gioiosi a preparare il presepe”.

Ancora parole loro: “Abbiamo voluto realizzare questo presepe rispettando la tradizione e volutamente lasciarlo più scarno e semplice possibile anche per ricordare che la nascita di nostro Signore non appartiene al mondo consumistico e sfavillante, ma ad ognuno di noi che viviamo un tempo di crisi e di difficoltà economiche. Alla assoluta semplicità del presepe ci ha spinto il richiamo di Papa Francesco a un ritorno all’umiltà, a dare significato ai “vecchi” valori. Quello del Papa – concludono – è un richiamo per chi si sente potente e approfitta del potere per sopraffare i deboli, gli umili, i più emarginati”.

A seguire la premiazione, c’era il Direttore, dott. Stefano Ricca, con i suoi stretti collaboratori, l’equipe degli educatori e i comandanti dell’Istituto. A prescindere dalla classifica, questi nostri fratelli detenuti erano visibilmente commossi e desiderosi di vedere il loro impegno considerato e apprezzato non tanto per la loro capacità artistica davvero lodevole quanto per la volontà di riscatto di persone che stanno espiando una colpa di cui in coscienza si sentono responsabili.

Nell’annunciare i premi assegnati ai tre presepi, il direttore ha avuto parole di grande rispetto per la serietà con cui sono stati presentati dai concorrenti. Nel primo, ha ammirato l’aver saputo coniugare l’evento incarnazione di Gesù con gli episodi di degrado di una terra un tempo ritenuta paradiso campano, oggi trasformato in discariche a cielo aperto, ridotto a contenitori di morti umane. Nel secondo, l’aver messo in relazione la realtà in cui viviamo, priva di quei valori fondanti rappresentati nel Presepe ideato da Frate Francesco con un consumismo sconsiderato che rischia di distruggere l’incanto del Natale. Il direttore ha voluto ricordare anche il lavoro di un ex detenuto, da poco in libertà, che nel tempo precedente il Natale, approfittando dell’attività che svolgeva in carcere, ha saputo realizzare con residui di rame, ormai non più utilizzabili, il Mistero del Natale tanto significativo e prezioso che rimarrà nella cappella del carcere a simboleggiare l’evento del Dio fatto uomo, del Cristo sofferente, anche lui “carcerato” e condannato ad una terribile pena.

Ci auguriamo che anche l’itinerario “Presepi” mantenga la capacità di costruire una rete di incontri, di relazione tra persone, luoghi, storie, culture dove ognuno diventa valore per l’altro e dove tutti insieme si diventi capaci di costruire la bellezza dei luoghi in cui si vive e si condividono esperienze. Con l’impegno e la disponibilità di ciascuno, grazie anche alla spiritualità dei Presepi, speriamo di rendere sempre più fraterne le Festività non solo natalizie, ma anche quelle che appartengono al quotidiano di ciascuno.
Sr Emma Zordan
Referente Suore Carceri USMI Nazionale

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