Nella verità di una vita ‘insieme’ limiti e debolezze di ciascuno vengono alla luce -lo si voglia o no- e chiedono di essere riconosciuti in sé e accettati. D’altra parte ci si può solo illudere di conoscere qualcuno se non lo si ama… Lo si può misurare, analizzare, criticare, vederne la corteccia, ma il fondo del suo mistero resterà precluso…
Racconto di una gioia possibile
Diceva il vero, il giornalista polacco Kapuscinski: “L’incontro con gli altri non è qualcosa di semplice e di automatico; richiede invece una volontà e uno sforzo che non tutti sono disposti ad affrontare”. Altrettanto vero è che il coraggio di uscire dai propri schemi mentali non costituisce oggi un bagaglio comune a molti. Nel mondo della fretta e della distrazione, sembra anzi non esserci più spazio per sguardi capaci di aspettare e di accogliere; così, mentre le orecchie rimangono sorde, i cuori sempre più spesso si librano unicamente sulle vette dell’ego.
Eppure ogni essere vivente respira amore insieme all’aria. E non potrebbe essere altrimenti perché ‘Tu sei amato’ è il fatto da cui tutto ha inizio. Il messaggio sicuro di Cristo – ‘come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi’ (cf Gv 15) – è al centro di ogni vita: unica ‘radice’ di luce per trovare e dare un senso di verità stabile a ogni azione e sentimento. Mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20): lo sperimenta ogni persona che viene alla fede scoprendo d’essere un prodigio agli occhi di Chi lo ama semplicemente perché lo ha fatto. Diversamente la creatura, come Adamo, fugge lontano e si nasconde (Sal 139). Ma quando quel respiro d’amore cessa, nessuno vive davvero. Perciò ”rimanete nel mio amore”… è l’esortazione che viene dalla Vita. E i discepoli di oggi, impacciati e confusi come quelli della prima ora, sono ancora chiamati a fidarsi della forza del seme, che cresce sottoterra nell’inevidenza e nel silenzio; a raccogliere di nuovo ogni giorno la prima parola che il Maestro ha consegnato ai discepoli e alle folle: “Beati!”. E con questo tesoro – pur custodito nei vasi di creta che siamo – fare l’esperienza che “tutto converge verso un traguardo, una meta dolce e amica: Vi ho detto queste cose perché la vostra gioia sia piena” (E. Ronchi). La vita quotidiana può allora diventare racconto di una gioia possibile e testimonianza di una vita riconciliata e felice.
Non viene da sé…
“O la vita religiosa è un apprendistato alla relazione e all’affetto verso l’altro, oppure non si arriva a vivere una vita comune autenticamente cristiana” (E. Bianchi). Esercitarsi a questo nella dinamica di una vita comunitaria e abituarsi all’incontro con l’altro, all’uso della misericordia, della pazienza, del perdono… richiede una ‘scuola’ che è ascesi quotidiana. Certo non basta condividere i pasti, gli orari, i locali, le preghiere per riuscire a fare vita comune. Occorre imparare a dialogare con ‘la differenza’ dell’altro e ad amarla. Ma questa è cosa difficile, non viene da sé. Occorre far posto all’altro nel proprio pensare, nella preghiera, nel dialogo con Dio… Un adagio patristico recita: “Chi conosce i propri peccati e non giudica il fratello è più grande di chi risuscita i morti!”. In realtà solo ‘insieme’ e ‘reciprocamente’ – come chiede ripetutamente il Vangelo (cf Gv 13,35) – la comunità può essere edificata come costruzione comune. Nel cammino rimane vero che “finché non ho sperimentato l’altro come un peso da portare, io non sono suo fratello” (Bonhoeffer). Ma se assumo ognuno come limite posso anche arrivare a sperimentarlo come dono, a vederlo trasfigurato. Se la via è ‘insieme’ e ‘reciprocamente’, occorre però il lento scorrere degli anni per arrivare a farne la struttura della propria verità; per riuscire a vivere la comunità come il luogo in cui, con le proprie fragilità e virtù, ci si rende pienamente disponibili ad amare e a lasciarsi amare, fino a con-vivere e a con-morire (cf. 2Cor 7,3), nella certezza di essere amati da Dio, non nonostante ma nei propri precisi limiti.
La vita comune in realtà è epifania del negativo che c’è in ognuno e che normalmente si tende a nascondere. Lo riconosce E. Bianchi. E chiunque ne fa un’esperienza anche minima sa bene che la vita insieme è data non dalla somma delle forze di ciascuno, ma dalla condivisione delle debolezze e delle fragilità di ognuno. È proprio la debolezza – svelata al fratello e vissuta senza amarezza e senza incolpare gli altri – che costituisce l’ossatura della koinonía nella quale si manifesta pienamente la forza di Dio. Se ne deduce che non c’è possibilità di reggere un rapporto interpersonale e di vivere in modo equilibrato le relazioni, senza entrare nella vita interiore e nell’ascolto della solitudine e del silenzio.
… ma funziona davvero!
Funziona perché nella vita comune ci sono grandi maestri che con il loro ‘magistero’ permettono di toccare con mano barriere e paure che abitano il cuore. Ognuno lo può essere per l’altro, innanzi tutto i vecchi, i malati nel corpo e nella psiche; e l’antipatico, l’ostile, chi mette il bastone tra le ruote…“Credo che le nostre comunità religiose – esortava C. M. Martini – debbano abbondantemente esaminarsi sulla vita fraterna per capire come i membri fra loro si accettano, si amano, valorizzano i reciproci doni”… E lascia ad essi una cascata di domande: Sono davvero luminosi della luce di Cristo? C’è sempre umanità splendente e calda fra loro? In loro? In … me?
Facile indovinare che le risposte risulteranno sempre lacunose e mancanti. Eppure camminare nella certezza che il messaggio della carità è capace di trasformare tutte le situazioni umane riempie di gioia e di entusiasmo. Forte è infatti il senso di pace e di pienezza che si prova nell’uscire dal monologo per imparare ad ascoltare; nello smettere di ritenersi detentori della verità e centro del mondo; nel riuscire a moderare chi tende sempre a fare i comizi, e nell’incitare chi invece tende a scantonare e a nascondersi; nel saper tacere quelle sensazioni soggettive che non comunicano realmente ma chiedono solo complicità… Nell’uscire, insomma, da tutti quei mali che normalmente il vivere insieme fa emergere. Ed è gioia in ogni momento il rendere grazie per la concreta comunità che si può vivere e per la comunione sempre limitata e spesso contraddetta…
Al Padre di tutti stanno molto a cuore gli uomini doloranti, infelici, e ‘perduti’… Da chi possono capire che vivere nell’ascolto della Parola è fonte di gioia e di fraternità vera? Da chi se non da “coloro che amano tanto il mondo da averlo lasciato per renderlo più ricco e conforme all’utopia di Dio”? (F. Scalia).
Luciagnese Cedrone
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