Archive for ottobre, 2010

La Prima casa intercongregazionale per religiose anziane

Vita Consacrata | Posted by usmionline
ott 29 2010

Un gruppo di Congregazioni religiose femminili sta dando vita a una casa per l’accoglienza di suore anziane, a  Roma. La struttura, appartenente alle Ancelle della SS. Trinità di Rovigo, garantirà cure, ma anche la possibilità di vivere secondo la regola del proprio Istituto.

Un’esperienza «profondamente evangelica, perché di vera fratellanza. Le suore sono una presenza preziosa nelle nostre comunità, ma bisogna creare nuove occasioni di incontro e di collaborazione, come questa, abbandonando alcune paure per intraprendere nuove strade». Con queste parole Monsignor Gino Reali, vescovo della diocesi di Porto-Santa Rufina ha salutato la nascita della Casa Intercongregazionale dedicata alle suore anziane.

Si tratta della prima esperienza in Italia, mentre in altri Paesi, ad esempio in Francia, esperienze simili sono state realizzate già da tempo. Al progetto, fortemente voluto dall’USMI e promosso dalla Fondazione Talenti, hanno collaborato una quindicina di Istituti religiosi femminili per affrontare un comune problema: la presenza di numerose sorelle anziane, bisognose di attenzioni e cure specifiche, spesso ancora con buone potenzialità da mettere in campo e soprattutto desiderose di mantenere relazioni vive e ricche continuando a vivere secondo il carisma e la regola dell’Istituto scelto da molti anni.

La Casa Intecongregazionale è a Casalotti, nella zona Nord di Roma, nella diocesi di Porto-Santa Rufina. Qui le Ancelle della Santissima Trinità di Rovigo hanno messo a disposizione per questa nuova realtà un’ala dell’edificio, che è costruito secondo un modello a raggi, e quindi è particolarmente adatto alla convivenza di servizi e progetti diversi.

Il progetto è stato seguito fin dall’inizio da Suor Anna Daniela Gavioli, economa delle Piccole Sorelle di Gesù fino al marzo scorso. «Poiché il nostro ordine è nato nel ’39 – racconta  – in questi anni ci troviamo ad affrontare l’invecchiamento della prima generazione: abbiamo più di 600 sorelle ultrasettantenni. Per loro è importante continuare a vivere da religiose, secondo lo stile e la spiritualità del proprio istituto, perché in vecchiaia dire addio alla propria congregazione, significa perdere identità, consegnarsi ad un tempo sempre più anonimo».

Le Piccole sorelle conoscevano le esperienze francesi e, in occasione di un incontro tra econome generali, Suor Anna Daniela ha posto il problema: era il 2007, e al momento non ha trovato molti risconti.  «Gli ordini religiosi più grandi, di più lunga tradizione,  hanno collaudato ormai, per le loro suore, strutture e personale», spiega. Ma qualcuno ha mostrato interesse, in particolare le Figlie della Carità, che hanno sposato immediatamente il progetto, nella convinzione che si trattasse della risposta all’esigenza non di un singolo ordine, ma della Chiesa di oggi. «Quasi in concomitanza», continua Suor Anna Daniela, «abbiamo conosciuto la Fondazione Talenti, che ha organizzato un tavolo di lavoro con altre congregazioni interessate, con esperti e persone che avevano gestito esperienze simili».

Così è cominciato un percorso che si è rivelato non facile: sono state necessarie molte visite a molte strutture, perché nessuna sembrava adatta e ci si è dovuti confrontare con molte resistenze da parte delle econome, perché ovviamente una casa ben affittata o venduta può significare la sicurezza economica per un Istituto, oltre che il finanziamento di altre opere, di conseguenza chi ha responsabilità amministrative o di governo deve muoversi con molta prudenza. Tanto più che si trattava di un progetto del tutto nuovo, di cui era difficile prevedere con esattezza gli esiti.

Per le Ancelle della Santissima Trinità di Rovigo la gestione di tutto il complesso era diventata pesante. Ma, come spiega la madre generale, Suor Francesca Ferliga, «non volevamo guadagnare: la nostra preoccupazione era di mantenere vivo il nostro servizio e il nostro carisma». Per questo le sorelle si sono rivolte alla Fondazione Talenti, che da una parte le ha accompagnate in un accordo con il consorzio di cooperative Charis, per la gestione sia della scuola che della struttura per le anziane, dall’altra le ha coinvolte nel progetto della Casa Intercongregazionale. La struttura, infatti, permette di mettere a disposizione delle suore anziane un’ala intera, con spazi organizzati in moduli, per certi versi una soluzione ideale.

In ogni modulo, indipendente e autonomo, le singole congregazioni potranno dare vita ad una propria comunità di consorelle anziane ma ancora autosufficienti, che potranno vivere coerentemente con elementi tipici della propria vita comunitaria: modalità di preghiera, organizzazione caratteristica di alcuni spazi, incontri con la famiglia religiosa di appartenenza. Nello stesso tempo, però, le comunità godranno di servizi comuni (pasti, pulizie, lavanderia, assistenza notturna, animazione religiosa e spirituale), avranno accesso ad eventuali servizi aggiuntivi (fisioterapia, assistenza medica, servizi di trasporto), e potranno fare affidamento sulla vicinanza di un’infermeria per  le consorelle non più autosufficienti.

«Ogni passo nuovo che si fa, crea preoccupazioni e difficoltà, ma dà anche gratificazioni», chiosa Suor Francesca, «se si raggiungono obiettivi che abbiano un  senso».

Anche secondo Madre Viviana Ballarin,  presidente dell’USMI, bisogna avere il coraggio di affrontare le difficoltà, perché «per creare prospettive sul futuro bisogna aprirsi alle esperienze innovative. E questa è particolarmente significativa, perché le comunità religiose per vocazione sono chiamate ad essere scuole di comunione».  È un segno per la Chiesa, ma anche per il mondo, «che è così pieno di frammentazione, divisioni, esclusioni, mentre noi dimostriamo che è possibile includere, unire, e lavorare per la solidarietà, non per il profitto».

Su questa base è stato possibile anche l’accordo con il consorzio Charis, che è entrato anche nel progetto per la casa.  Come dice Suor Francesca, «il consorzio ha a cuore il bene della persona, che è quello che interessa noi». Oltre a sollevare le religiose dagli oneri gestionali, Charis si occuperà anche della formazione del personale, per aprirlo ad un nuovo stile di accoglienza e sta già lavorando alla costruzione di una rete esterna, coinvolgendo le parrocchie e altri Istituti presenti nella zona, perché anche le suore anziane possano avere una vita attiva.

Delle quindici congregazioni femminili che hanno partecipato in questi anni al tavolo di lavoro promosso dalla Fondazione Talenti, quattro sono ora pronte ad entrare nella Casa: le prime due entro la fine del 2010, le altre entro la prima metà del 2011.

Conclude Madre Viviana: «Spero proprio che questo progetto apra una strada, perché sono convinta che il futuro ha bisogno di meno strutture e più collaborazione tra le congregazioni e con i laici. Oggi più delle parole contano i fatti, e questo lo è».

Paola Springhetti

Giornata Missionaria Mondiale 2010

Giornate Mondiali | Posted by usmionline
ott 22 2010

Giornata Missionaria Mondiale: quasi il raccolto di tutto l’Anno Liturgico. Chiave della missione è la costruzione della comunione ecclesiale, un oneroso e affascinante impegno, che appartiene alla natura stessa della Chiesa, ed è suo compito primario.

In apertura del messaggio per l’84ª Giornata Missionaria Mondiale 2010, Benedetto XVI esorta tutti i cristiani a «rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo e a dare alle attività pastorali un più ampio respiro missionario». Inoltre, in una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza, chiede di offrire segni di speranza, impegnandosi a rendere il pianeta casa di tutti i popoli.

Noi: missionari o di – missionari?

Da sempre la Chiesa si considera in stato di missione. Ma questa consapevolezza sembra oggi assopita nelle comunità cristiane. E se in un recente passato la Giornata Missionaria era celebrata con molta solennità, negli ultimi tempi, rincresce dirlo, ha perso visibilità nella Chiesa e nella società italiana. Sembra addirittura quasi scomparsa dall’orizzonte del fedele.

Nella base ecclesiale infatti spesso l’impegno religioso di evangelizzare tende a ridursi a impegno sociale: l’importante – si dice – è amare il prossimo, fare del bene, dare testimonianza di servizio. Ma così la Chiesa dà un’immagine riduttiva di se stessa, come se fosse un’agenzia di aiuto e di pronto intervento per rimediare alle ingiustizie e alle piaghe della società.

Siamo immersi in una società e in una cultura dove sembrano venir meno le certezze basilari, i valori e le speranze che danno un senso alla vita. Una società, che scoraggia ogni scelta davvero impegnativa e definitiva, per privilegiare invece nei diversi ambiti, l’affermazione di se stessi e le soddisfazioni immediate. E a noi cristiani in questa situazione che cosa è chiesto davvero? Vivere in ambiente non cristiano certamente impone una scelta: missione o dimissione cristiana – come si esprimeva Madelaine Delbrel.

Chiave della missione

Occorre certamente un risveglio di missionarietà. È una necessità. L’uomo è un cercatore di senso e il suo cammino nel tempo sta tutto nel prendere sul serio la tragicità della morte senza stordirsi o fuggirla. Guardarla negli occhi fa capire di essere chiamati alla vita, rivela il senso e la bellezza di esistere. Permette di riconoscersi mendicanti del cielo.  

Non si tratta di fare cose eccezionali, ma di cominciare a trovare nelle esperienze ordinarie l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infinito di Dio. Mettersi in ascolto della realtà che cambia e che chiede in ogni tempo la radicalità e l’essenzialità del Vangelo. Oggi per esempio sembra risorgere nelle coscienze il bisogno di valori fondamentali come la libertà, la giustizia, la trasparenza, la fraternità. Tutto questo può scuotere quando la vita rischia di essere ovattata da un certo consumismo e di trastullarsi nella comodità.

Per una Chiesa missionaria

«Una chiesa autenticamente eucaristica è una chiesa missionaria», ci ricorda Benedetto XVI. Si diventa missionari autentici, capaci di testimoniare il Vangelo nella misura in cui si cresce nella vita interiore e si alimenta il proprio impegno alla Parola di Dio e all’Eucaristia. È l’autenticità dell’affidarsi al Signore che purifica da un servizio che a volte slitta in ricerca della propria autorealizzazione, o di visibilità, o di riconoscimento sociale e perfino ecclesiale.

La speranza in tutto questo è che, qualunque sia la strada riservata a ciascuno dalla misericordia di Dio, nelle nostre Chiese in Italia e nel mondo si continui sì a nascere cristiani, ma finalmente lo si diventi anche.

 Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

Quei “33″ come una parte di noi

Senza categoria | Posted by usmionline
ott 15 2010

Uno dopo l’altro vengono alla luce, e nascono di nuovo.

Arrivano sulla terra uno ad uno, i trentatrè uomini minatores imprigionati nelle viscere di San Josè in Cile dal giorno in cui le rocce che essi dovevano scavare sono crollate. Astronauti al contrario, dopo 68 giorni di prigionia a 700 metri dentro il cuore di Madre Terra. Sotto e sopra le dune dell’Atacama, il deserto più arido del mondo.

E nel loro passaggio dal buio alla luce, un senso di liberazione e di felicità finalmente prende tutti, da un capo all’altro del mondo. Lacrime di gioia spazzano via il reality show organizzato dai grandi mass media e dal governo di Sebastían Piñera, in prima fila a ricevere con un lungo abbraccio ciascuno dei protagonisti che tornavano alla luce.

Tutto dipende dalla prospettiva, dice un motto popolare in Cile. Da un lato, la stragrande maggioranza dei cileni versa lacrime per quegli uomini divenuti simbolo di un modello economico che li usa come risorsa, anziché considerarli persone. Dall’altro, il presidente Piñera, simbolo del potere pubblico e dello spazio politico, trasforma gli sconosciuti in celebrità, portandoli via dalla loro nuda vita. Egli, attraverso lo sforzo del governo per salvarli, offre la sensazione di qualcuno che si preoccupa per l’altro, mentre tenta di rappresentare la cinghia di trasmissione con una società abituata allo stress lavorativo e alle divisioni.

«Non sono una star»

I minatori ringraziano tutti e chiedono: «Non trattateci come star dello spettacolo o come giornalisti. Siamo solo minatori». È  quello che, giustamente, chiedono anche milioni di cileni attraverso facebook e twitter. «Sono super contento di vivere questo momento» dice Mario Sepulveda, elettricista, 39 anni, diventato famoso in tutto il mondo come l’animatore dei filmini inviati in superficie. Abbraccia la sua famiglia gridando «Viva il Cile» e subito aggiunge: «Però questo Paese deve capire che il mondo del lavoro ha bisogno di  molti cambiamenti. Nessuno deve scordare che questa esperienza deve servire ai dirigenti del nostro paese per cambiare le condizioni lavorative» che hanno originato il dramma.

Ora il Paese inizia un periodo di riflessione sulla vicenda per non dimenticare le cause dell’incidente e affrontare seriamente il problema della scarsa sicurezza sul lavoro. In molti attendono il “Rapporto sulla sicurezza nel lavoro” che dovrebbe arrivare entro un paio di settimane.

Aggrappati alla mano di Dio

Le statistiche dicono che se di lavoro si vive, purtroppo di lavoro si muore, ancora oggi, ogni giorno. Anche nella nostra Italia. Ma il mondo sembra immerso nell’ottavo vizio capitale dell’indifferenza (come lo definisce don Gallo) e la cosa non fa molta audience. Intorno alla miniera cilena invece si è creata una grande partecipazione e anche una preghiera, che non si erano viste in disgrazie ben più grandi come quella del terremoto verificatosi nello stesso Cile!

Il fatto è che “I 33″ minatori, rimasti imprigionati sul fondo di un’umida e calda miniera alla temperatura di 36 gradi e già dati per morti, erano vivi e decisi a vivere, per la speranza che respirava in loro. E alla speranza – si sa – gli uomini sono radicalmente, originariamente legati.

Ad uno sguardo immediato infatti vivere appare come un inesorabile essere «gettati verso la morte», un lungo viaggio verso le tenebre che aspettano ognuno -prima o poi- come l’ultima sponda, l’assoluto silenzio. E per questo la vita è impastata di dolore. Con gli anni sentiamo crescere in noi la segreta indicibile ansia -di cui normalmente si tace- di potere in qualche modo rinascere ‘altri’, trasformati.

Devono farcela. Ha pregato il Papa, e Obama, e i minatori sardi. E prima ancora le famiglie e gli amici, i cileni. E tutti siamo stati a guardare. Con loro in attesa di nascere. «Stavo con Dio e con il diavolo. Hanno lottato per avermi, e ha vinto Dio: mi ha afferrato, in nessun momento ho dubitato che mi avrebbe tirato fuori di là», ha raccontato un minatore. E alla fine: «Io vorrei risalire per ultimo, per favore», ha detto uno. E allora un altro: «No, amico mio, ho detto io che sarei stato ultimo». «No, no, davvero, io voglio andare per ultimo, ha cominciato allora a dire un altro». E la loro storia di paura e di lacrime è diventata ancora storia di vita. L’attesa si scioglie in un abbraccio. E con ogni uomo che risale in superficie, rinasce una famiglia di gente umile che piange di gioia.

Storia di vita

 “I 33” sono realmente diventati un gruppo, uno per tutti, tutti per uno: «Abbiamo formato una meravigliosa famiglia con persone che fino a due mesi fa neanche conoscevamo».

E’ splendido anche ritrovarsi attesi e amati. Gli 800 parenti e i soccorritori rimasti per tanto tempo a Camp Hope, vicino alla miniera, tutti sono sicuri di una cosa. I legami e le amicizie nate nella disperazione e poi alimentate dalla speranza non finiranno qui.

La lezione è per tutti e per ogni persona: l’empatia dell’uno per l’altro, per ogni altro nessuno escluso, avvia a quella solidarietà che trascende qualsiasi discorso politico.

Bentornati alla luce e alla vita, cari minatori. Il vostro ritorno ci richiama alla via della fede e della speranza, del cameratismo e della solidarietà, di un amore concreto da costruire di nuovo ogni giorno.

E noi con voi ci rimettiamo in cammino.

  Luciagnese Cedrone

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Agenda di speranza per il futuro dell’Italia

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
ott 11 2010

È ormai vicina la 46ª Settimana Sociale dei cattolici italiani (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010), che si prefigge di offrire al Paese, dove la distanza fra chi opera in ambito politico e la generalità dei cittadini si è fatta abissale, un’Agenda di speranza che apra ad un futuro possibile.

Cattolici nell’Italia di oggi

Il cammino verso questo appuntamento importante per la Chiesa e per l’Italia è durato due anni, favorendo la diffusione e l’approfondimento della dottrina sociale della Chiesa, che è anche terreno di incontro e di dialogo con chi ha visioni ideologiche e culturali diverse. Anche la comunità cristiana in qualche modo è immersa in quell’individualismo lacerante dove ognuno tende a guardare principalmente al proprio interesse. Serve un impegno nuovo per una progettualità condivisa. Occorre una più profonda consapevolezza che formazione delle coscienze e trasformazione delle strutture camminano insieme. È questo infatti che permette una più vera lettura dei segni dei tempi, che a sua volta possa diventare un segno per il nostro tempo.

Fra i problemi individuati

Il Comitato scientifico e organizzatore della Settimana ha elaborato un’analisi severa e certamente non compiacente dei problemi della nostra società; una sintesi larga e specifica: 35 pagine di domande sul quadro complessivo e sulle situazioni del momento, volte a discernere la nozione concreta di ‘bene comune’, ad entrare nel merito delle soluzioni e delle alternative realistiche, e ad aprire alla necessità del confronto pubblico.

Fra i problemi prioritari individuati:

 - La lotta alla povertà, e alla esclusione sociale, creando le condizioni per tutti di una vita buona, degna di essere vissuta in tutte le condizioni e le stagioni.

- La crescita del Paese a partire dal Mezzogiorno, uscendo dalla contrapposizione sterile che spesso vede da una parte i detrattori del nostro Sud e dall’altra coloro che preferiscono tacere o sottostimare i problemi che sono ancora irrisolti (lavoro, disoccupazione…).

- La priorità dell’educazione, il bisogno di riscoprirsi comunità educante e di prendere in carico la crescita delle nuove generazioni.

Impegno pubblico: condizione della speranza

Quella che stiamo vivendo non è una bella stagione per la politica. Di fronte alle grandi sfide che la società pone, l’attenzione sembra concentrarsi sui risultati per ottenere consensi e qualsiasi azione è ritenuta lecita pur di ottenerli. Il nostro Paese, attraversato da una grave crisi culturale e spirituale, sembra sempre più avviato al declino. A partire da questo contesto e su questo sfondo, il rilancio di un messaggio di speranza, che ci si aspetta da Reggio Calabria, appare particolarmente importante perché se -come ha sottolineato Luca Diotallevi- “la politica non ha il monopolio del bene comune”, certamente però la sfera pubblica non è irrilevante per la stessa sfera privata. Ai cittadini cattolici si chiede di avviare concreti meccanismi di partecipazione di base come condizione indispensabile perché si possa tornare a ‘sperare’; di individuare perciò le ‘cose da fare’: un’agenda condivisa appunto delle priorità, che eviti il rischio di fermarsi ad una semplice dichiarazione di intenti. Neppure i religiosi e le religiose sono avulsi dai problemi sociali. Molti nostri Istituti, sotto la spinta dello Spirito, sono nati per affrontare e, possibilmente, risolvere situazioni sociali di emergenza, per ‘farsi carico’ di realtà fragili, umanamente e cristianamente deboli. Anche questa ‘settimana’ potrebbe offrire stimoli concreti per una rinfrancata fede e un rinnovato coraggio.

Da più parti si rileva la necessità di una nuova generazione (non intesa per forza in senso anagrafico) che sappia misurarsi con i problemi reali del Paese, che abbia un quadro chiaro della Dottrina sociale della Chiesa e nello stesso tempo sia concretamente radicata sui territori. Questo permetterebbe ai valori di indirizzare davvero le azioni. Creerebbe certamente futuro e non solo consenso.

 Luciagnese Cedrone

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Verso il Sinodo per il Medio Oriente

Senza categoria | Posted by usmionline
ott 04 2010

Fra qualche giorno (il 10 di ottobre 2010), si aprirà a Roma l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza”. Ci sentiamo coinvolti in modo particolare in questo evento perché profondamente legati alle radici cristiane antiche di quelle terre (Iraq, Libano, Palestina, Turchia…), alla storia di fede e al cammino difficile e coraggioso delle minoranze cristiane che qui vivono oggi in un clima di grave discriminazione.

L’obiettivo di questa Assemblea speciale è duplice: confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità attraverso la Parola di Dio e i sacramenti, e far rivivere la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari in modo che possano offrire un’autentica testimonianza cristiana, a contatto  con le altre Chiese e comunità. «E’ sempre vero che il primo passo nel diventare cristiani si fonda nell’incontro con uomini che vivono da cristiani convinti», ricordava monsignor Luigi Padovese, vero uomo del dialogo che aveva saputo costruire ottimi rapporti con le chiese ortodosse, con gli ebrei e con i musulmani.

Chicco di grano per la speranza di una Chiesa

«Vero discepolo di Cristo, anch’egli ha dato il suo corpo e ha stretto un’alleanza nel suo sangue, offrendo tutto se stesso per l’annuncio del Vangelo e per la vita di coloro che gli erano stati affidati. Nell’esistenza di questo nostro fratello e padre si è realizzata la Parola di Gesù che ha paragonato la vittoria della sua Pasqua al mistero del seme che porta frutto nel suo morire», rifletteva il Card. Dionigi Tettamanzi il 14 giugno 2010 nell’omelia delle esequie del Vescovo ucciso in terra di Turchia.

Particolarmente oggi, in epoca di pluralismo, è necessario ravvivare la consapevolezza che la testimonianza fonda e precede l’annuncio e anzi è il primo annuncio. Mons. Padovese e don Andrea Santoro e tanti altri che hanno versato il proprio sangue a testimoniare l’ostinata fiducia nel dialogo paziente, ci indicano la strada del chicco di grano che silenziosamente porta frutto. Con la loro vita e il loro martirio questi fratelli sono realmente ponti tra islam e cristianesimo, e anche tra Oriente e Occidente. Invitano anche noi a scommettere sulla follia del Vangelo contro la logica della vendetta e della violenza. Il loro sangue ci dona la fiducia in un futuro di pace, di giustizia e di rispettosa collaborazione con gli appartenenti al Giudaismo e all’Islam, per il bene di tutti gli abitanti della regione.

Essere cristiani oggi in Medio Oriente

Vuol dire emarginazione, isolamento, scarsità di clero, impossibilità di formare nuove leve, scomparsa di molti luoghi di culto espropriati e modificati nella loro destinazione d’uso, povertà di mezzi… Tutto concorre oggi a portare il cristianesimo verso un vistoso ridimensionamento, lungo una strada che sembra essere senza ritorno. A partire soprattutto dalla guerra in Iraq e dalla presenza delle truppe occidentali in Afghanistan, un forte nazionalismo sta facendo crescere giorno per giorno le distanze fra mondo europeo/occidentale e mondo turco. La gente comune, in maggioranza musulmana, vive fianco a fianco dei cristiani e certamente non li osteggia. Ma diverse componenti degli apparati politici, insieme a frange estremiste, alla stampa e ai mezzi di comunicazione cooperano purtroppo a creare un clima di pesante diffidenza nei loro confronti, spingendoli così all’omologazione nei confronti dell’ambiente circostante.

Saranno coinvolti anche ebrei e musulmani

La storia, quindi, ha fatto sì che i cristiani diventassero un piccolo resto in questa regione.

Da quel piccolo gregge che cerca di resistere a tale clima di intimidazione, un grido e un lamento arrivano fino a noi, che troppo spesso invece dimentichiamo il ‘martirio’ quotidiano della loro fede e della loro vita.

Il Sinodo non è ‘contro’ qualcuno: è uno spazio di dialogo aperto che punta alla comunione e alla pace nella giustizia e nella verità. Troverà sicuramente il modo di ascoltare voci del mondo ebraico e di quello musulmano. Il dialogo e il confronto con le altre religioni e le altre culture sarà uno dei temi centrali del Sinodo. 

Seminari di approfondimento a margine del sinodo

In occasione e per tutta la durata del Sinodo molte sono le iniziative programmate e in atto; fitto è ancora il calendario di incontri culturali, organizzati per riflettere con vescovi, religiosi, scrittori, giornalisti ed altri esperti sulle sfide e sulle speranze che toccano quelle Chiese e le comunità cristiane che in esse vivono. Il Sinodo stesso ci offrirà la possibilità di entrare in contatto con l’esperienza della pluralità sconosciuta e della ricchezza della tradizione orientale in larga parte ignorata in occidente.

Per portare pace nel Medio Oriente

Insieme a tutti coloro che hanno promosso queste iniziative e alle tante realtà che lì operano, vogliamo fare nostro il motto del Sinodo: impegnarci per i cristiani di Terra santa e del Medio Oriente con un cuor solo e un’anima sola.

Mossi, inoltre, dal bisogno e sete di pace che tutti viviamo, cercheremo di capire dal di dentro la realtà complessa che sta al cuore di quella Terra e di tutto il mondo e di sperimentare nella nostra vita quotidiana la fecondità del perdono di fronte alla sterile alternativa dell’odio e della vendetta per portare pace al Medio Oriente e intorno a noi.

         Ad approfondire ulteriormente il tema e a conoscere cosa sarà stato veramente il   Sinodo nel suo procedere e nelle conclusioni-proposizioni ci aiuterà l’intervista che verrà     pubblicata su questo stesso sito a Sinodo avvenuto.

         Luciagnese Cedrone

         usmionline@usminazionale.it