Archive for novembre, 2013

L’AVVENTO CHIAMA…

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nov 27 2013

 

 

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Sr Marta Finotelli sjbp
Vice-presidente USMI Nazionale 

È tempo ormai di svegliarci dal sonno
perché il regno di Dio è vicino;
il Signore sta alla porta e bussa;
ascoltiamo la sua voce e apriamogli
(Inno di Avvento della Liturgia di Bose)

La Chiesa apre l’anno liturgico con il tempo di Avvento, tempo privilegiato per
01dino+alberoLOW7vivere nell’attesa
.

Ma cosa significa oggi, vivere nell’attesa? Chi o cosa attendiamo veramente? E noi Consacrate nella vita religiosa come viviamo questa attesa? La nostra attesa ha ancora la sua radice nell’espressione che ogni giorno, nella Celebrazione dell’Eucarestia, dichiariamo: “Signore proclamiamo la Tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”? La nostra attesa parte dallo sguardo sul futuro di Dio, mentre siamo immerse negli eventi della storia umana per infondere fiducia nei nostri contemporanei? Attendiamo veramente la venuta di Cristo nella gloria, il compimento delle sue promesse, il Regno che viene?

Aiutiamoci a non eludere questi interrogativi!

Noi che abbiamo giocato la nostra vita su Cristo e il suo Vangelo, siamo particolarmente interpellate a mantenere desto lo spirito dell’attesa, in noi e attorno a noi.

Questo tempo di Avvento ci chiama ad infondere speranza nelle persone affidate al nostro ministero, e non solo a parole ma attraverso la nostra vita sempre più impregnata della Parola di Dio, l’unica che ci sveglia dal sonno, indotto nel cuore umano da quella sottile mentalità mondana che si infiltra e … che va intorbidendo la relazione con Dio e con le sorelle e fratelli.

Là dove ormai il cuore è spento e deluso, dove nessuno sa più attendere, noi Consacrate, immerse nel discernimento e nella preghiera, vigiliamo, perché la nostra attesa dell’incontro con il Signore si trasformi in sostegno verso i nostri contemporanei… e nel camminare con loro risvegli il desiderio di Lui.

Là dove la gente dispera di fronte ad avvenimenti e situazioni che spingono a pensare che “tutto sta andando alla deriva e le forze del male imperversano ormai inesorabilmente”; noi Consacrate, sintonizzate sul cuore di Colui che attendiamo, viviamo nella pazienza ed infondiamo nelle persone affidate alle nostre cure, il coraggio di dire ogni giorno: OGGI COMINCIO!

Là dove spesso si cerca il proprio tornaconto e dove l’ingiustizia si fa sempre più palese verso i piccoli, i poveri, gli emarginati, gli sfruttasti, noi Consacrate, riempiamo la nostra attesa col Suo stesso Amore esprimendo solidarietà, comunione, sobrietà e condivisione, come anticipazione di quel cielo nuovo e terra nuova che il nostro sguardo già intravede.

Così la nostra attesa del Signore che è venuto, che viene e che verrà, allarga il cuore oltre gli angusti confini dell’io e lo prepara a quell’incontro definitivo con l’Agnello-Pastore che sta in mezzo al trono, e ci guiderà alle fonti delle acque della vita. E tergerà ogni lacrima dai nostri occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate (cf. Ap 7,17 e 21,4) e ne sono nate di nuove!

Con gli occhi aperti sulla Novità di Dio vi auguro un fecondo cammino verso il Natale!

 

Inquietudine e ricerca

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nov 18 2013

Può la creatura umana nei suoi giorni imparare almeno un po’ a morire? Prendere il coraggio nel cuore della propria notte? Uscire da sé con passo libero, avviarsi per sentieri nel sole e sentire la propria vita rotolare armoniosamente nelle mani di Dio?

bolle-di-silenziosaponeOltre il duro calle
Nei giorni del mese di novembre, ogni anno riprende forza nella storia personale di tanti (se non proprio di tutti!) il tema più reietto della civiltà di questo tempo, che è però il tratto costitutivo della condizione umana: quello della morte, l’assurda contraddizione originaria dell’esistenza, secondo la definizione di Karl Rahner. Vivere -anche quando ci si volesse illudere che non è così- è convivere con l’idea che tutto prima o poi finirà. C. M. Martini in uno dei suoi pensieri disseminati negli scritti degli ultimi anni riflette: “…la morte è come una sentinella che fa da guardia al mistero. E’ la roccia che ci impedisce di affondare nella superficialità. E’ un segnale che ci costringe a cercare una meta per cui valga la pena vivere”. Eppure la prospettiva di dover passare prima o poi per questo ‘duro calle’ ed essere ridotti in vana cenere, spaventa tutti senza eccezioni. A volte, soprattutto quando è troppo viva e dolorosa nella propria carne l’esperienza di un lutto, anche solo richiamarla alla memoria risveglia con forza la paura di non essere amati e di non saper amare. E getta nella depressione. Allora si cerca di vivere senza fermarsi a pensare. Ma come evitare l’angoscia se tutte le gioie e tutti i dolori della propria vita si perdono in terra con il corpo e le ossa mortali? Se è così a che servono? È logico pensarli inutili, come anche sentire tutto inutile. E, più o meno consapevolmente, prende il via nella persona quella lotta con il tempo che non concede di illudersi. Lotta impari. Apparentemente. La persona sperimenta la sua totale impotenza di fronte alla morte che incombe e si fa sempre più imminente; che è nel lento deteriorarsi della mente e del corpo; nel perdere il controllo dei propri movimenti, nel diventare un peso per gli amici… Intanto ognuno continua a sentire che la sua vita gli appartiene, ma gli è tolta ogni possibilità di controllare il proprio destino.

…liberi dalla paura
Sono tanti allora i modi di riempire il tempo per illudersi di possederlo, tanti gli espedienti per esorcizzare l’angoscia di ciò che sfugge dalle mani: frenesia di fare, divertirsi e cogliere ogni attimo; ostentazione di sicurezza, accumulo di potere, ricchezza… Quando poi non si può proprio tacere, facilmente si trasforma la morte in spettacolo per esorcizzarne il pungolo doloroso. Così trionfa la maschera che, a scapito della verità, fa scomparire i segni del lutto. Ma la paura -radicata profondamente nella possibilità di non essere amati affatto e di non appartenere a nulla che duri- rimane nascosta sotto la superficie dell’autocontrollo, o dello stordirsi nel piacere.

 “Dire” la morte…
spiaggiaCome sarà il mio tramonto?
 -chiede Papa Francesco- Lo guardo con speranza? Vivere è una grande lotta per la resa completa di sé. E davvero “forte è colui che sa di essere debole” e si lascia educare da questa consapevolezza.
Il cardinal C. M. Martini, che non amava i discorsi facilmente consolatori e trovava sempre il modo di parlare al credente e al non credente che è in ogni persona, ci ha insegnato ad amare la morte come passaggio necessario per trovare la luce. “Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio”. E se l’oscurità fa comunque e sempre un po’ paura, ciò che ci attende dopo la morte è un Mistero il quale richiede un affidamento totale che conduce alla Vita. Non si tratta di un’operazione soltanto emotiva, ma di una battaglia sempre più reale nello sforzo di ritrovare il senso al di là del naufragio. Il compito più importante della vita, insomma, almeno quando si crede che la morte non sia la dissoluzione totale della propria identità.

…ripartendo da Dio
Dio è la Vita e la Risurrezione, perché con il suo amore crocifisso ha vinto la morte, ricorda papa Francesco. L’annuncio è paradossale: Dio ha fatto sua la 42478877morte per dare a noi la vita, aprendoci la possibilità di trovare la luce attraverso la fede. “Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore” (1 Cor 15, 36) e non si dà vita senza morte, che diventa perciò un passaggio necessario. L’invito di Paolo è a considerare e vivere ogni attimo come un tempo di semina e un seme d’eternità. Il che può significare tante cose. Per esempio imparare nel proprio concreto quotidiano a non cullarsi nella presunzione di sapere già ciò che è e rimane avvolto nel Mistero; sbloccare in sé il coraggio di porsi le domande ultime, senza presumere di risolverle pienamente in se stessi; ritrovare la passione per le cose che si vedono, leggendole nella prospettiva di quelle che non si vedono; superare la non giustificata esaltazione dell’io che caratterizza il nostro tempo e contrapporvi un esodo dell’io, molto più significativo dal momento che la verità non si possiede mai, ma è la Verità a possedere la persona che le si apre. Dio parla al cuore di chi è aperto a vivere la vita come santa inquietudine e ricerca.

Nell’orizzonte della vita…
Su tale via facilmente si scopre che il “tu” del prossimo e quello di Dio, che si affaccia a noi nel volto degli altri, sono l’unica ragione vera di vita. È l’amore, infatti, che, se procura molta sofferenza e fa presentire in modo totale l’assurdità della morte, è però più forte della stessa morte e rende liberi di vivere nella speranza. Fare amicizia con la propria morte, riconoscendola pienamente come parte integrante della propria umanità sembra essere la base di tutte le altre possibilità di fare amicizia. Ma anche se è entrata a far parte della vita fin dalla nascita, la morte rimane nel corso dell’esistenza grande sconosciuta e nemica. Rassicura il fatto che lo stesso Gesù, sperimentando con noi l’intera assurdità della morte, non l’ha affrontata come un bene desiderabile: “Tutto è possibile per te. Allontana da me questo calice” (Mc 14,36).

…come una promessa!
Dio è più grande del cuore dell’uomo e sta oltre la notte.
È nel silenzio che turba davanti alla morte e alla fine di ogni grandezza umana; è nel bisogno di giustizia e di amore che ognuno si porta dentro. È il presentimento e la nostalgia di un Altro che accolga e faccia sentire amati. In fondo morire è lasciarsi prendere per mano per essere riportati nell’Amore da cui si era partiti. Riaprire gli occhi dentro la Sorgente limpida che ci ha generati e riconoscere in essa le lacrime – che non sono perdute – della propria vita mortale. Incontrare un Cuore al quale rimettere tutto ciò che si è e un Volto a cui guardare senza timore. Con questo Amore nel cuore, la vita può essere vissuta come una promessa sicura.

 Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Il ‘Sacro GRA’ e le periferie dell’esistenza

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nov 08 2013

La vita non è ciò che si dice della vita, ma ciò che si vive della vita. E tutta la vita è provarci e poi provarci ancora. Perché non si nasce già capaci di relazionarsi e di amare: lo si diventa.

Monumento involontario
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Grande raccordo anulare di Roma, croce e delizia di ogni romano al volante: striscia di asfalto, mai considerata luogo in sé. Solo un rullo momentaneo per arrivare altrove. Un balcone che dà sul mondo esterno, perciò: orizzonte, viaggio, fuga dalla metropoli. All’inizio racchiudeva la città di Roma. Ora si trova, a sua volta, circondato da giganteschi e spesso disordinati quartieri. A suo modo circolare lo è, ma certo non unisce.

“Il vostro GRA vince il Leone d’Oro”
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Sul GRA arriva un giorno il regista Gianfranco Rosi che scherza con l’acronimo di questo spazio e lo chiama “sacro”. Egli non è alla ricerca della bellezza – grande o piccola che sia – ma del fascinoso vissuto che si raccoglie intorno a quello spazio, oltre il muro di un frastuono continuo. Sceglie di affidarsi all’evidenza della realtà, indugia su squarci sconosciuti e scopre in quello spazio magico esistenze che meritano attenzione. Sono figure che vivono quasi tra parentesi, come non-persone. Il regista vede, ascolta, attende che quei protagonisti della vita quotidiana si rivelino e che
l’incontro
avvenga. Poi con i loro occhi egli guarda dal basso le grandi trasformazioni collettive avvenute a margine di un universo in espansione. E con la sua capacità poetica le racconta. Nasce così “Sacro GRA”, il suo film, che – presentato alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – dopo tanti anni regala all’Italia il Leone d’oro.

Invito al viaggio …
Il regista Rosi sembra sollecitare nello spettatore del suo film un desiderio: raccogliere l’invito a compiere nel proprio mondo quotidiano un percorso simile. E muoversi perciò con tutte le proprie capacità verso le periferie della esistenza: unico ‘viaggio’ ancora e sempre possibile a tutti. Si realizza all’interno della relazione che unisce ogni luogo ai suoi abitanti e al proprio cuore; e favorisce l’incontro con tutto ciò che è sempre sotto i propri occhi ma appare scontato, semplicemente perché è lì, estraneo al cuore per propria disattenzione.

… nelle periferie del cuore
260506-509Le periferie dell’esistenza non si trovano soltanto oltre il ‘raccordo’. Per nessuno infatti è semplice integrare il proprio mondo con quello di chi gli vive accanto; e se amare se stessi è un dato di partenza (… fra l’altro da riconquistare più e più volte!), riuscire ad amare gli altri è una conquista decisamente coraggiosa. Si nasce individui infatti e solo dopo una lunga serie di passaggi e di ‘lutti’, che via via restituiscono la persona all’essenziale, si diventa – se davvero lo si vuole – sociali. Si scopre così che il segreto della vita è oltre se stessi e che … uno solo è come ‘i 99’ del Vangelo. Proprio come tutti! Si fa anche esperienza di quella libertà che permette alla parte più vera di sé di manifestarsi e di agire come realmente si sente e si pensa. Ed è la magia dell’incontro con quel vissuto che ogni persona nasconde e che è in grado di stupire, commuovere, far riflettere…! Si scopre insomma nell’altro ciò che non si trova in sé! Ed è questa esperienza che mantiene la persona in umiltà e la muove all’impegno di fare unità con tutti senza distinzione.

 “Barbonismo domestico”
 “L’uomo è quello che sono le sue relazioni” (Jack Dalrymple) e in realtà la persona esiste solo come centro di rapporti. Eppure ovunque intorno e in mezzo a noi si aggirano frammenti di umanità solitaria e un’atmosfera di assenza di umanità. Per fare un esempio, pensiamo anche solo a quel fenomeno che gli operatori sociali hanno definito “barbonismo domestico” e che nella sola città di Roma (senza distinzione fra periferie e centro), è in aumento continuo. Si tratta soprattutto di anziani, a volte con disagio mentale, ma non necessariamente poveri. Vivono in casa, ma è come fossero per strada. Hanno perso i contatti con parenti e amici. Sono soprattutto italiani quelli che si trovano a vivere questa condizione di marginalità. Senza legami, sperimentano l’abbandono nella propria abitazione. A far emergere il fenomeno, sono le segnalazioni dei vicini.

Perché la storia non si smarrisca
Non si comprende la realtà se non si è dentro le situazioni. Lo racconta l’esperienza quotidiana e sofferta di tanti. E lo ricorda Papa Francesco quando ripetutamente invita a uscire da se stessi per procedere senza esitazioni in un viaggio che dal centro delle proprie sicurezze porta dentro le periferie della vita. L’invito chiama in causa un impegno che investe e interroga la totalità della persona orientandola ad aprirsi all’altro, comunque e dovunque. E chiede un movimento che va fatto dentro se stessi per avvicinarsi alle persone. Ne risulta un richiamo a svegliare la capacità del cuore di guardarsi intorno e di amare gli altri per quello che sono. Su questa strada si trova il coraggio della fedeltà all’oggi degli uomini concreti perché divenga l’oggi di Dio. Perché è vero: “Siamo un mosaico di volti, ha detto qualcuno: i volti di coloro che incontriamo, dal vivo o nei loro scritti o nelle loro opere (…) E nei mille volti cerchiamo un Volto, con i frammenti di tanti volti” (Stella Morra).

… ripartire dal Mistero della Vita
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Ogni uomo “è troppo grande per bastare a se stesso” (Pascal) e per realizzarsi gli è necessario tenersi aperto al Mistero … Ma anche se l’uomo è fatto per questo, tante sono le sue resistenze ad aprirsi a ciò che è più grande di sé. Ripartire da Dio è la via per riuscirvi. E richiede un grande coraggio, che si traduce in gioia: quello di ritrovare la passione per le cose che si vedono, leggendole nella prospettiva del Mistero e delle cose che non si vedono. Questo in fondo è lasciarsi restituire alla verità e semplicità delle relazioni senza cullarsi nella presunzione di sapere già ciò che invece è perennemente avvolto nel Mistero. Insomma: santa inquietudine e ricerca!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it