Archive for luglio, 2012

Diversità: una sfida, che è scuola e profezia

Senza categoria | Posted by usmionline
lug 26 2012

La profonda consapevolezza di essere intimamente amati così come si è dona il coraggio di non lasciarsi governare dalla paura; rende capaci di rivedere le proprie immagini interiori della realtà in favore di un maggiore ascolto della Totalità; apre il proprio agire e pensiero verso orizzonti imprevedibili, totalmente Altri.

Stranieri fra noi …

Un dato di fatto: il fenomeno migratorio caratterizza in maniera massiccia il nostro tempo portando persone fino a ieri estranee a vivere quotidianamente accanto.

Diverso per provenienza etnica e geografica, per ceto, modo di pensare, valori di riferimento, storia, errori commessi…, lo straniero è oggi una realtà consistente fra noi. Eppure su di lui, il più delle volte, il nostro sguardo continua ad oscillare tra indifferenza, disturbo e inimicizia. Può essere accolto, ma solo a determinate condizioni, normalmente di subalternità e di ‘interesse’, come forza-lavoro da sfruttare, pronti a convertirlo in superfluo da buttare quando le condizioni di mercato lo richiedono. Ogni incontro imprevisto o comportamento inatteso, ogni persona sconosciuta, in genere suscita in noi angoscia o inquietudine… L’esclusione del ‘diverso’ insomma sembra essere la ‘soluzione’ più comoda e più comune.

…e dentro di noi

Ma esiste un’altra esperienza di estraneità che è comune a tutti  e che può condurre alle stesse conclusioni. È lo scorrere del tempo che lascia rughe sulla pelle obbligando a ripensare il rapporto con il proprio corpo; è il figlio che entrando nell’adolescenza costringe a ripensarsi come genitori e come persone; è l’ammalarsi, il diventare improvvisamente poveri o ricchi, l’innamorarsi o il ritrovarsi traditi da qualcuno/qualcosa in cui avevi  realmente creduto. È vero che nel fazzoletto di terra che abita, ciascuno è chiamato in gioiosa fatica a dare il suo contributo, la sua nota unica in vista di un bene che sia veramente comune, di tutti…chiamati a esserci a vantaggio del diverso, insomma! Facile a dirsi. Intanto c’è chi continua a vivere relazioni nelle quali l’altro è semplicemente un suddito e su tale via non riesce ad incontrare né se stesso né l’altro; c’è chi ritiene di essere la sintesi del meglio di ciò che esiste in circolazione ma si avvicina solo a coloro che gli danno sempre ragione…

Tutti in realtà possiamo continuare a ‘vivere’ rimanendo stranieri a noi stessi, alla vita e alla verità, perché lo straniero è uno sconosciuto dentro di noi e la distanza che ci separa da lui è la stessa che ci separa da noi stessi (Jabés). 

La sfida

Come lasciar parlare la vita per quello che è e non per quello che noi pensiamo che sia? È  possibile riuscirvi? O siamo forse destinati a rimanere stranieri a noi stessi e alla verità? Lungo il cammino della vita tutto ciò che provoca a un ripensamento, allargando i nostri schemi mentali, che purifica eventualmente le definizioni raggiunte, è spinta profetica. E allora: che cosa posso imparare da te? Che cosa ti posso insegnare io? E soprattutto: dove possiamo andare insieme? Perché se la terra è un passaggio e un dono, il nostro abitarla è un camminare insieme. Ma questo può essere compreso solo quando ci si arrende alla logica del discepolo che ha da imparare; quando si permette alla novità e al mistero dell’altro e di noi stessi di rimettere in causa i modelli mentali già sviluppati nell’esperienza anteriore.

Il vero problema è questo aprirsi  – in gioiosa fatica, nel fazzoletto di terra che ognuno abita e al di là delle prime e istintive reazioni emotive – ad un coinvolgimento esistenziale con chi ci vive accanto; per intuire di lui quello che non si vede e quello che lui non dice; per scoprire il possibile specifico apporto che la vita richiede a noi stessi e a tutti e viverlo insieme. Sapendo però che questo richiede di liberare il proprio cuore da un’eccessiva attenzione a se stessi, di portarsi ‘oltre’ e lasciarsi sempre più ‘guardare’ dalla vita per riconoscersi nella verità di quello che si è, ben al di là di tutte le apparenze. Quante volte ci ritroviamo – come un deserto in attesa di pioggia – a farci domande che vengono dalla paura di noi stessi, del passato, del futuro; che scaturiscono dalla paura degli altri e del loro giudizio sul nostro dire e  operare… “Che ci sto a fare qui?”, “Ho già provato tante volte, so che sbaglio…”, “Cosa diranno, come giudicheranno quello che dico e che faccio…”, “Saprò resistere, essere fedele, sarò all’altezza?…”. Domande da cui viene la conferma che il contrario dell’amore in questa vita non è l’odio, ma la paura.

Quando la tenerezza guarda, tocca e risana

La verità di Dio e dell’uomo abitano dentro di noi, ma sono verità di cui nessuno può sentirsi padrone. Le scelte affidateci sono necessarie sì, ma anche impossibili: necessarie se vogliamo raggiungere la piena realizzazione, ma impossibili con i soli mezzi umani.

Necessario perciò è:

- ‘ridiscendere’ quotidianamente nei dati biblici – radice e fondamento del Senso per ogni cristiano – e farlo ogni volta come fosse la prima volta. Accogliere così la Parola di luce che rende veggenti e capaci di accogliere anche il ‘diverso’ nella simpatia-empatia, in un ascolto/dialogo critico che va oltre ogni pregiudizio e oltre ogni buonismo qualunquista.

- un esodo, un’uscita mentale, cordiale e pratica dalla paura dello straniero che è in noi e fuori di noi.

Cosa mai importa lo sguardo degli altri ai cui occhi rischia di sfuggire l’essenziale e il più vero della nostra vita? Meglio è lasciarsi guardare e penetrare dallo sguardo di Dio, che conosce la verità del cuore di ogni sua creatura sapendone portare tutto il peso d’amore. Perché il fine della nostra vita non è di esistere agli occhi degli altri, ma di stare serenamente al cospetto di Dio.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Viaggiatori nel tempo della vita

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lug 16 2012

Noi uomini in viaggio sui sentieri dell’Eterno. Vivere e morire: due classi della stessa Scuola, ma nella società occidentale, dominata dal sentimento della morte, sembra proibito parlare e perfino pensare alla morte, se non per cercare di esorcizzarla spettacolarizzandola.

Stralci da una lettera

Carissima F.,

la settimana scorsa il figlio di un mio caro amico, al padre che stava morendo fra tante sofferenze a causa di un tumore, mentre in tanti eravamo lì intorno al suo letto (…aveva voluto anche la ‘monaca’ – come mi chiamava lui!), ha chiesto: “Dimmi, papà, se c’è qualcosa che posso fare per te…”. Il padre, pienamente cosciente fino alla fine, con un filo di voce e uno sguardo pieno d’amore gli ha risposto: ”Guarda e impara!”.

Certo non è dato a tanti di morire così e non ogni morte porta con sé la stessa forza di istruzione e rivelazione. Ma è altrettanto certo che dove c’è amore, è compiuto tutto il significato della vita. Tutto il resto diventa completamente indifferente.

La lotta contro la morte inizia dalla nascita e riempie la vita. È vero che felicità e orologio si escludono perché in un certo senso la morte sta nascosta negli orologi. Ed è anche vero che noi per illuderci di possedere il tempo cerchiamo in tanti modi (inutilmente!!) di riempirlo. Ma credere in fondo non significa avere risposte già pronte… forse è solo la possibilità di vivere la pace di sapersi infinitamente amati da Dio e contagiarla. Ti confesso, cara F., che anch’io proprio di fronte alla morte dei miei genitori, ho visto più chiaramente – e ancora solo fugacemente – che cosa sia la vita in realtà. È stata per me la fine di un mondo unico. Sono debitrice al mio papà e alla mia mamma che ho visto perdere forza e varcare il tratto di strada che da qui vediamo e che a me ha tolto volti di cui vivevo. Mi è rimasta di loro (e anche di tanti che ho conosciuto) la speranza, la certezza nella fede che nulla va perduto della nostra vita: nessun frammento di bontà e di bellezza, nessun sacrificio per quanto nascosto e ignorato, nessuna lacrima e nessuna amicizia vera… “Insegnaci a contare i nostri giorni per arrivare alla sapienza del cuore”, preghiamo col salmo 89. E io me lo ripeto nel cuore ogni giorno, potrei dire: ogni momento.  

Rimane però il fatto che il mistero circonda e quasi opprime la vita: un argomento ad alta tensione che tocca tutti, anche inconsciamente. Non ha torto il sociologo Bauman nel sottolineare che l’unica e la sola cosa che non possiamo e non potremo mai raffigurarci è un mondo che non contenga noi che ce lo raffiguriamo. La morte in realtà è la personificazione dell’ignoto. E qualsiasi cosa abbiamo fatto per prepararci ad essa, probabilmente ci troverà comunque impreparati… Ma prima di essere chiamati ad uscire di scena, arriva per ognuno – ne sono convinta – un momento in cui sentiamo di dover mettere con coraggio e onestà le carte in tavola per capire su quale fede davvero stiamo basando la nostra vita, senza lasciarci  condizionare dalla paura di doverla riconoscere povera, spoglia, drammatica o nuda. Credere non significa semplicemente pensare che Dio esiste. È invece fidarsi di Qualcuno e “assentire alla chiamata dello Straniero che invita”. È certezza che nessuno è un numero davanti all’Eterno, è – spiega Bruno Forte – rimettere la propria vita incondizionatamente nelle mani di un Altro.

Giustamente Benedetto XVI ha parlato, a proposito del nostro oggi, di “stanchezza del credere”. Più che mancanza di volontà, all’uomo occidentale sembra mancare proprio la capacità di rischiare su qualcosa di assoluto. Così egli si guarda allo specchio e parla solo di se stesso, incapace di preghiera e anche di rivolta. Tutto finisce per lui per essere ‘uguale’ purché ‘conveniente’. E il ‘senso’ non lo trova se non è… immediato, pratico, individuale.

In realtà ci identifichiamo con il nostro corpo, con gli oggetti e gli affetti che sono esterni a noi; diamo molto peso alle cose materiali. Pensiamo che con la morte perdiamo tutto questo, e in effetti è così visto che “l’ultimo vestito che indosseremo è senza tasche”.

E mentre sentiamo la morte come la perdita di tutto, ci lasciamo prendere dal breve giro degli affanni e dei tornaconti immediati che prima o poi conducono nell’angoscia di un buco senza fondo.

Ma la casa, l’auto, i parenti, il lavoro… non siamo noi. La morte non sigilla nel nulla tutto quello che abbiamo vissuto e sentito. Ciò che è stato con noi fin dal momento della nascita ci accompagnerà anche nella morte. Non è necessario nemmeno avere “fede” per comprendere queste cose.

Eppure chissà perché continuiamo a credere che tutti gli uomini siano mortali, tranne noi stessi! E così, come dice Pascal, non avendo nessun rimedio contro morte, miseria e ignoranza, gli uomini hanno stabilito, per essere felici, di non pensarci mai.

Tu hai ragione, F.: la morte dovrebbe essere la cosa più bella, se noi amassimo veramente Dio. Questo perché non siamo fatti solo per misurarci e compierci in un soffio di anni. Ho meno dubbi sull’esistenza di Dio che sulla mia stessa esistenza. Sì, non veniamo da noi stessi e non abbiamo base in noi. Siamo fatti invece per confrontarci con il grande mare dell’Eterno, che si apre dietro a quella ‘porta’.

Nei giorni che ci sono dati, la vita riserva ad ognuno la possibilità di accogliere e riconoscere l’esistenza di un orizzonte più ampio in cui cercare Dio e sentire di essere cercati da Lui. Ma riuscirvi richiede l’impegno a relativizzare se stessi disponendosi alla ‘morte’ quotidiana che questo comporta. Allora in noi e intorno a noi crescono fiducia, meraviglia, accoglienza, perdono… tutto ciò che in una parola il cristiano chiama dono della conversione

Camminiamo in cordata, mia cara F.

Contando sulla fedeltà di Dio che non ci manca mai perché Egli ci ama sempre e comunque, riusciamo a connetterci con le domande della storia e a mettere il nostro agire sui sentieri del ‘senso’. E se la vita e le situazioni cambiano, sempre però ci è dato di riconoscerci e vivere tutti come fratelli uguali nella dignità, nei diritti e nei doveri; di nutrire interesse per l’altro e per quello che accade nel mondo; di pregare per spostare quelle montagne di odio e ingiustizia che con le nostre sole mani a volte non riusciamo nemmeno a toccare.

“Tra voi non sia così…”. Gesù esorta quelli che scelgono di seguirLo a fare quanto è nelle proprie possibilità per lottare contro la povertà e l’ingiustizia…

Su questa strada anche lo spirito moderno, nato all’insegna di ‘felicità-più felicità, sempre più felicità’, potrà conoscere la gioia autentica della vita camminando sì nella notte, ma imparando anche ad aprire gli occhi alla luce della bellezza, che la fede in Cristo dischiude alla nostra fede.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Il buio e il cielo

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lug 02 2012

Dolori e sofferenze richiamano l’uomo a non vivere contro la verità di se stessi. Ma ci è affidata una realtà che non sempre riusciamo a cogliere e decifrare. Il Vangelo ci permette di intravvedere, intessuta nel quotidiano, la trama dell’infinito, che è insito nell’essere umano.

Speranza oltre la crisi 
Tragico e apparentemente irriducibile, il male esiste. E il dolore è in ogni dove. Benedetto XVI, parlando di sé e del mondo di oggi, ricorda il ‘mistero della nostra provvisorietà’ su questa terra, la dipendenza da circostanze e decisioni che non ci appartengono, delle quali a volte non riusciamo a scorgere neppure l’origine e la finalità. E invita a non lasciarsi avvolgere dal pessimismo, dalla tristezza, dalla rabbia ‘che una cultura odierna vuole metterci nel cuore’, mentre tanti ‘avvenimenti negativi, tante cattiverie – propagandati con abbondanza e spesso anche con morbosità dai mezzi di comunicazione - concorrono a disorientarci’.

Vogliamo rispondere seriamente a questo invito.

La trasparenza in politica e nella vita sociale è un valore fondamentale e irrinunciabile. Altrettanto irrinunciabile – ne siamo convinti – è che i cittadini entrino nel discorso pubblico con una informazione consapevole sui grandi temi della vicenda contemporanea dominata dalla crisi; una informazione che sia il più possibile completa e soprattutto corretta. Indignarsi non basta. È urgente che uomini e donne dal cuore puro e sinceramente desiderosi di impegnarsi per il bene di tutti abitino quello ‘spazio’ che rimane a ognuno e a tutti per pensare e capire; per cercare il fondamento di una nuova speranza e re-immaginare un futuro diverso e possibile; per attuare cioè quella ‘rivoluzione morale’ senza la quale nessun cambiamento è concretamente realizzabile. Troppo grandi e complessi sono i problemi oggi perché possano essere risolti solo da “qualcuno” (Stato, Mercato, Noprofit…). Il cambiamento passa obbligatoriamente dal lavorare insieme; dal mischiare i diversi punti di forza allineandoli alle opportunità; dall’immaginare – come qualcuno già sta facendo – vecchi strumenti spesso dannosi, come la finanza, utilizzati in nuovi modi utili; o strumenti asserviti ai poteri forti, come oggi la maggior parte dei media, tornati ad essere anche luoghi di educazione.

Viaggio in un altro mondo possibile
Il vero mistero è nell’ordinario, nella vita quotidiana. Nonostante tutte le cose che ci fanno dubitare sull’esito positivo della storia, vince il bene, vince l’amore e non l’odio. Il senso diffuso  di scoraggiamento e di frustrazione, che colpisce specialmente chi ha perso il lavoro o non riesce a trovarlo, potrebbe però diventare soprattutto nei nostri ragazzi la tentazione pericolosa di cedere a illusioni violente, o l’altra, ugualmente grave, di pensare che vivere rettamente sia inutile. E’  necessario perciò puntare sulle regole e sulle opportunità per i giovani. Nel contesto attuale sono i giovani che possono esprimere la più convincente forma di resistenza e di lotta per un altro mondo possibile. Ma perché intorno non si continui a galleggiare tranquillamente sopra la propria autoreferenzialità magari difesi dal generale malcostume contro chiunque ponga la questione della coerenza, la via per tutti ci sembra essere una sola: studiare, leggere, informarsi, farsi un’idea di ciò che è avvenuto e sta avvenendo, individuarne le cause e cercare di vaccinarsi il più possibile nei confronti degli errori che sono alla base delle difficoltà attuali.

La vita interiore che ognuno riesce a coltivare si gioca tutta e interamente nel qui e ora, nel presente eterno della propria coscienza e nella propria capacità di costruire relazioni autentiche e trasparenti. È la relazione con l’altro infatti il luogo in cui si radicano e sviluppano la vita e la verità. Persuaso che nessuno possiede la verità, il cristiano si rallegra  della parte di verità che gli altri portano in loro e gli rivelano.

Questione morale in Italia
La menzogna che aveva indotto molti a ritenere equivalenti l’economia reale e quella virtuale dei giochi finanziari – scrive Bruno Forte – ha prodotto conseguenze devastanti in Paesi, la cui stabilità era finora ritenuta immune da rischi. Così i signori del denaro e dell’alta finanza (e cioè le nuove oligarchie economiche!) spadroneggiano in Europa e nel mondo. E tutte le “terapie ultraliberiste” intraprese finora per affrontare il problema non hanno risolto, ma caso mai provocato la crisi. Ma è davvero realistico aspettarsi che il capitalismo – il quale privilegia competizione, individualismo e dominio dei forti sui deboli – offra reali opzioni di vita? I governi europei hanno preteso e pretendono sacrifici sempre maggiori dai lavoratori e nello stesso tempo temono addirittura il rischio di un crollo “catastrofico” dell’euro. Ma ha senso la minaccia di un default per i proletari, o per i lavoratori precari a vita, che non hanno nulla da perdere? Nella sua radice più profonda, in verità, la crisi è di ordine morale. Egoismi e cecità colpevoli hanno permesso che alcuni si avvantaggiassero a scapito di molti altri, i più deboli. E l’Italia, nonostante la vivacità del suo tessuto imprenditoriale e manifatturiero e la qualità dei suoi lavoratori, non è stata meno colpita dalla tempesta etica ed economica che ha investito il ‘villaggio globale’.  

Come vincere l’ingiustizia dominante?
Il problema è che, sociale o religioso che sia, il potere non può essere ricercato o accettato che per servire e non per il prestigio o per i vantaggi tangibili che l’accompagnano. Non è la scarsità di beni che ha creato l’ineguaglianza e l’ingiustizia. Costruire una società più giusta e più fraterna richiede un atteggiamento risolutamente combattivo sul piano sociale. Sopprimere la sete di ricchezza e di potere inoltre certamente comporta una profonda conversione interiore, chiamata a tradursi nell’adesione a un’etica della misura se non della frugalità; ad esigere una solidarietà effettiva con gli esclusi. In tutto è necessario un ritorno senza riserve all’umano e alle urgenze dell’umanità.

Il bene è più forte del male
Alla nostra Italia ora più che mai occorre stima reciproca tra persone oneste e competenti. L’autenticità del singolo individuo e nei rapporti interpersonali è valore da promuovere perché solo su di esso si può costruire qualcosa sul piano personale e su quello sociale.

Liberarsi dalle maschere e dalle paure, essere se stessi in ogni situazione è possibile perché c’è qualcosa, anzi Qualcuno più forte che veglia sempre su di noi. La comunità cristiana è chiamata a non scandalizzarsi quando scopre anche nel suo seno il tradimento e il peccato: è un’esperienza che Gesù stesso ha vissuto e che ha previsto per la sua Chiesa amata. Nello stesso tempo però è invitata a non cullarsi nella falsa sicurezza e a non presumere di sé: il peccato è sempre possibile ed è male fidarsi delle proprie forze.

In una generale perdita di autenticità e di trasparenza nei rapporti interumani a tutti i livelli che contraddistingue questo nostro tempo, l’aiuto di Dio, cercato attraverso la preghiera e sperimentato nell’esercizio dell’amore al prossimo, è la grande forza di cui tutti abbiamo bisogno per un nuovo inizio.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it