Archive for aprile, 2012

Famiglia: un ‘noi in relazione’

Senza categoria | Posted by usmionline
apr 23 2012

Progettarsi e realizzarsi come un ‘noi in relazione’ oggi è più difficile che mai. Ma l’amore -come tutte le cose – si rivela davvero alla coscienza in tutto il suo valore solo quando va in malora e provoca frustrazione. La saggezza che se ne può acquisire…

Amore oggi: sentimento liquido…,
La storia genera sempre interrogativi in chi sa ascoltare e offre temi su cui riflettere e decidere. Un semplice dato: le coppie – che in Italia oggi mantengono e rinnovano il loro progetto di vita in comune, puntano sulla stabilità e sui figli e sentono il valore sociale della famiglia – si restringono di numero. La coppia postmoderna, invece – liquida, fragile, destrutturata, riflesso di una cultura frammentata che non sa diventare “noi”- si moltiplica ed è sfida per la stessa famiglia. Le famiglie si privatizzano sempre di più e vedono diminuire il loro valore pubblico, sociale e istituzionale.

accompagnato da ‘emergenza omicidi di relazione’,
Intanto nell’individualismo rampante di oggi, le relazioni vacillano continuamente tra un dolce sogno e un orribile incubo quando esse vanno in malora e tradiscono le aspettative. Gli ultimi dati parlano addirittura di omicidi in aumento tra le mura di casa, specie in Italia. Quarantasei donne uccise dall’inizio dell’anno, vittime dell’uomo che avevano accanto. E’ il numero che spicca, il dato che inquieta. E, secondo l’Eurispes, continuerà a crescere nei prossimi anni. Eppure la strage passa più o meno sotto silenzio… quasi ci si stesse abituando ad assistere a tali fatti di cronaca, o forse perché ci si lascia dominare da un senso di impotenza. Il vero problema (ma questo è di tutti i tempi!) è che senza umiltà e coraggio non c’è amore; e perversione è già il voler cambiare gli altri intorno a noi, l’avere opinioni nette e precise su come fare le cose e su come dovrebbero essere gli altri…

In sintesi: per tutti certamente progettarsi come un noi in relazione è oggi più difficile che mai.

…o pietra angolare?
Certo il vangelo illumina, indica direzioni: non dà risposte prefabbricate. E nemmeno la legge basta. Per fermare l’attuale terribile escalation di individualismo narcisistico e violento serve una nuova cultura, una rivoluzione socio-culturale. Per questo sono necessari più che mai testimoni credibili.

Il fallimento di una relazione (in una coppia, ma anche in una qualsiasi vita comunitaria) in realtà è quasi sempre un fallimento nella comunicazione del proprio disagio all’altro. La rabbia, la lamentela, l’esasperazione, il rimprovero, infatti, non sono un “parlare” serenamente e coscientemente di tutto quello che non va nella vita insieme, ma solo il sintomo di una tensione crescente. Spesso poi si cade nell’errore di porre tanto impegno nella relazione, tante energie per influenzare il proprio partner e costringerlo a cambiare il suo atteggiamento nei propri confronti… Ma ‘delitto’ sono già la violenza psicologica, le minacce, i ricatti.

‘Sbandamenti umani’ della famiglia (Benedetto XVI)
Per parlarci chiaro: le tensioni familiari esistono, perché dove c’è una relazione o una comunione di vita è quasi impossibile azzerare i conflitti, che sono una parte naturale di qualunque relazione basata sul confronto aperto tra due diverse mentalità, visioni del mondo o modi di sentire.

Ma non si ammazza il coniuge da un giorno all’altro, non si massacra in un’esplosione di follia improvvisa.

Il delitto insomma è solo la fase finale di un percorso fatto di silenzi, risentimenti anche pesanti, gelosie e quant’altro. Mentre l’affetto non si acquista, non si elemosina, non si pretende. Può solo essere donato….Anzi se pretendo di amare e di farmi amare, alla fine odio e semplicemente mi faccio odiare.

 Su questa linea allora può essere utile chiedere a se stessi:
Dove sto cercando le mie soddisfazioni, le mie gioie? Quanto e come mi spendo perché si realizzi  la comunione nella mia famiglia, nella mia comunità? So ascoltare il mio interlocutore e sottolineare tutto ciò con cui sono d’accordo, anche per stimolarlo a fare altrettanto? So riconoscere i miei errori, scusarmene, evitare di difendere errori passati per permettere al mio interlocutore di vedere la sua situazione da un nuovo punto di vista? So inserire nel dialogo formule come “forse non è colpa tua”?...

In realtà è solo incominciando ad amare per primi, che troviamo consistenza personale e decidiamo davvero di noi stessi. Se poi riusciamo ad amare in perdita, allora guadagniamo almeno la certezza di amare e questo è sufficiente per sentirsi liberi e forti

Si può ‘guarire’
La fine di un rapporto rappresenta per molti un lutto di difficile sopportazione ed elaborazione perché coincide con un senso di fallimento interiore e di ingiustizia subita. Ma vivere il proprio “amore” in maniera troppo intensa e con l’ansia di non essere corrisposti, non è compatibile con l’amore autentico, perché fin dall’inizio tende solo a colmare i propri bisogni e carenze. Certo si può guarire da tale amore ‘patologico’, ma solo se si prende coscienza del problema e si ha il coraggio di condividere i propri vissuti ed esperienze.

Secondo John Gottman c’è un sistema aritmetico molto efficace per riconoscere le coppie destinate al naufragio. Se nei primi dieci anni di matrimonio, su cento commenti a proposito del partner, meno di cinque sono negativi, la coppia è destinata alla stabilità. Se invece i commenti negativi sono più di dieci, l’unione è destinata a finire in tempi tanto più ravvicinati quanto crescono i numeri. Non potrebbe, questo criterio, riferirsi anche alla vita comune di una comunità che nasce per testimoniare l’amore totale e incondizionato di Cristo?

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Assemblea Nazionale 2012 – online

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apr 14 2012

»Saluto di M. Viviana Ballarin

»Sintesi di M. Giuseppina Alberghina

»Saluto al Card. Joao Braz

»Relazione di Mario Aldegani

»Relazione di Grazia Papola

»Relazione finale di L. Prezzi

»Conclusione di M. Viviana Ballarin

» Audio mp3:  Grazia Papola Cettina Militello Marco Guzzi Canto

»Foto

CRONACA – 11 aprile 2012 – 59° ASSEMBLEA NAZIONALE

ASSEMBLEA NAZIONALE 2012 | Posted by usmionline
apr 11 2012
Roma, 11-13 aprile 2012
E’ tradizione, ma nella tradizione c’è sempre un pizzico di novità. E così è per questa assemblea per partecipare alla quale arrivano le superiore generali e provinciali delle varie Congregazione presenti in Italia, convocate dalla Presidente USMI – ora anche vice-presidente UCESM – sr M. Viviana Ballarin, op. Arrivano a gruppi o singolarmente. L’assemblea quest’anno si distingue dalle precedenti, perché sono coinvolte soltanto le suore costitute in autorità o loro delegate, quando esse non potessero partecipare. Il momento dell’accoglienza è sempre importante e viene gestito con competenza e precisione dalle assistenti alla segreteria.
Il primo saluto che è un saluto di ‘ben venuto’ è offerto dal Rettore della Pontificia Università Urbaniana, il Rev. Alberto Trevisiol il quale accosta le idealità dell’USMI a quelle dell’Università: formare gli evangelizzatori di domani.
M. Viviana dà inizio all’assemblea offrendo un saluto alle partecipanti, e anche un ricordo al personale laico cha da più o meno tempo presta un servizio sereno e prezioso nella sede nazionale dell’USMI.
Cita un pensiero di Benedetto XVI°: La diffusione della Parola è la benedizione che il padrone della messe dà alla comunità che prende sul serio l’impegno di far conoscere la carità nella fraternità” (2005) e sottolinea che “l’annuncio di Gesù Parola del Padre, la sua diffusione nel mondo, la sua accoglienza, la sua azione in mezzo ai fratelli, non è tanto conseguenza o frutto di una attività missionaria, ma soprattutto e prima di tutto è una benedizione, una forza ed una capacità che sono dono di Dio”.
Effettivamente, ammette M. Viviana “quando le nostre comunità vivono l’impegno quotidiano, sereno, della fraternità nella comunità e danno visibilità e forma con il proprio vissuto alla carità, spiegano non con le parole ma con i fatti che cosa è l’amore”. Solo l’amore genera vita e dà senso al vivere umano.
“La nostra 59ª assemblea generale – aggiunge – si inserisce in questo solco luminoso della fede della Chiesa, nell’anno della fede e in sintonia con il prossimo Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, a cinquant’anni dal concilio Vaticano II°”.
E poi in modo solenne afferma:
“Dichiaro dunque aperta la nostra 59ª Assemblea generale ed auguro a tutte e a ciascuna di vivere in essa un tempo di grazia e di benedizione”.
La lectio di questa prima giornata – che ha come tema: Il servizio della comunità dei discepoli – Mc 9,31-37 – è guidata da sr Grazia Papola. Il testo è composto dal secondo annuncio della passione, morte e resurrezione (vv. 30-31), a cui segue la reazione dei discepoli (v. 32) e la prima parte (vv. 33-37) di una istruzione che Gesù rivolge ai suoi discepoli (vv. 33-50). Sono versetti che ripropongono un discorso già fatto – sequela, croce, servizio – e costituiscono una vera e propria catechesi: la necessità della croce innanzitutto, ma anche la necessità cristiana del porsi a servizio degli altri perché si è ammessa ed esplicitata la propria identità: il discepolo di Gesù è tale perché sa porsi a servizio.
La salvezza non passa per le vie dell’egoismo e dell’idolatria di sé, ma nel rapporto con Cristo crocifisso come fondamento che dà senso al sé e alla vita. Fare della propria vita un dono, a motivo dell’adesione al vangelo di Cristo, conduce l’uomo alla salvezza.
Qui l’attenzione si concentra innanzitutto sul tema del servizio ai bambini che Gesù illustra:
- con una parola, se uno vuol essere primo…
- un gesto, preso un bambino
- e un’altra parola, chi accoglie….
In particolare,  Gesù – sostiene sr Grazia Papola – qui istruisce i suoi discepoli sulla vita comunitaria sotto il segno della croce”. Quindi “se uno veramente vuole essere il primo deve essere l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. E quindi deve saper “accogliere, aprire la porta e lasciare entrare l’altro nell’ambito della propria vita e delle proprie sollecitudini. Questo è il contrario del chiudersi, del distanziarsi, del non voler sapere nulla dell’altro”.
Il secondo momento di questa giornata è affidato alla teologa Cettina Militello. Rifacendosi in parte alla storia evolutiva del femminismo, fuori e all’interno della Chiesa stessa, invita con forza le presenti “collocare la vita religiosa al suo posto”.
Si richiama a due eventi importanti: Il Concilio vaticano II e il crollo del muro di Berlino. E afferma: “Ecclesialmente la vita religiosa arriva a noi oggi da quel singolarissimo passaggio dello Spirito che è stato il Vaticano II. Quanto alla società colgo come momento di radicalizzazione la crisi dell’89. Nel senso che a partire dalla rottura del muro di Berlino e dunque dalla conclamata fine delle ideologie, di fatto ci si è concentrati unilateralmente su una visione liberista che, senza deterrenti di alcun tipo, ha selvaggiamente anteposto a tutto l’interesse economico di pochi. Il passaggio poi da una economia reale a una finanza virtuale e globalizzata ha nullificato persone e valori”. E tutto ciò “ha eroso in profondità le nostre comunità, le ha ridicolizzate e talora le ha cancellate”.
“La vita consacrata – ha ammesso – non poteva restare fuori” da questi eventi, anche perché è esistita una “incapacità di accogliere il paradigma ecclesiologico proposto dal Concilio” e interagire così con la mutazione culturale. A grandi linee la profezia del Concilio parte dalla riscoperta del soggetto concelebrante (SC), consapevole del proprio statuto (LG), in ascolto della Parola (DV), in dialogo al suo interno e con il mondo (GS).
Ha poi enunciato i vari punti di domanda che oggi si pongono le stesse religiose intorno alla propria identità. Poi ha chiarito alcuni principi teologici basilari, ha riaccostato l’ecclesiologia conciliare riferendo ad essa la VC per provarne l’analogia al mistero della Chiesa.
Come la Chiesa è ‘popolo in cammino’, la VC è comunità in attitudine pellegrinante; come la Chiesa è corpo di cui Cristo è il capo, essa è cellula viva del corpo ecclesiale. La Chiesa è ‘sposa che anela a ricongiungersi con lo sposo’ e la VC è comunità nel segno sponsale; è ‘segno e strumento d’unione con Dio e con il genere umano’. Per questo deve lasciarsi guidare e sorreggere dallo Spirito per poter offrire il proprio servizio regale, sacerdotale e profetico. E come la Chiesa non vive per se stessa così la VC è posta al servizio della maturazione nella fede, nella speranza e nell’amore di tutti.
La relatrice ha ammesso che urgono programmi nuovi, perché il modello del passato non funziona. Ma ciò è da farsi con un progetto condiviso, costruito su una argomentazione teologica che si acquista con la frequentazione della Scrittura e della Liturgia.
‘La Chiesa non esiste per se stessa, ma è essa stessa un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità con tutto il genere umano (cf LG 1). La Chiesa è mediazione salvifica. E’ luogo e paradigma di estroversione’. E la vita consacrata deve camminare sulla stessa linea valorizzando anche i doni personali, duali, collettivi.
Le comunità religiose dovrebbero riscoprire la loro analogia con la domus ecclesiae; dovrebbero di nuovo farsi fermento ecclesiogenetico nel corpo vivo della Chiesa locale.
“In ogni caso – ha sottolineato la relatrice – la non debole analogia tra la Chiesa e la comunità religiosa si rivolge alle membra vive di quest’ultima. Membra vive, ma davvero, capaci di profezia, di comunione, di servizio, in gioia e unanimità di sentire”.
E’ un appello urgente anche perché il mondo di oggi ha nostalgia di fraternità, sororità, nuzialità. Per questo le religiose sono chiamate a profetizzare, discernere e promuovere l’autenticità cristiana delle comunità religiose. La vita religiosa infatti non esiste perché si è destinati alla sofferenza, ma perché si è rimesso in auge il dono in una prospettiva ‘altra’, finalmente gratuita e liberante. La comunità religiosa è spazio di alterità, di reciprocità, di dialogo e d’incontro. E’ anticipazione consapevole del nostro definitivo vivere in Dio.
Con queste e altre affermazioni che si troveranno nel testo riportato per intero su Consacrazione e servizio n. 7-8 luglio-agosto 2012 la relatrice ha potuto anche chiarire alcune interessanti problematiche e interrogativi posti dall’Assemblea.

Parole nuove per la vita comune

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apr 10 2012

Dal messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali raccogliamo la sfida a ripensarci come ‘comunità’ e ci lasciamo interrogare sul nostro modo di comunicare nella vita comune. Obiettivo: costruire relazioni umane più piene e testimoniarne il valore.

Il silenzio?…piazza” che apre all’ascolto    

Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione“, questo il titolo del Messaggio che Benedetto XVI ci ha affidato per la prossima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, che si celebrerà il 20 maggio 2012. In esso il Papa usa (e ripete più volte) la parola silenzio: per discernere ciò che è essenziale da ciò che è inutile; per trovare la via che consente -anche nella essenzialità di brevi messaggi- di abitare l’ambiente digitale, aiutando le persone a ritrovare se stesse e quella Verità che dà senso a tutte le cose. 

Da intendere non come una «fuga dalla parola», perché anzi per il Papa il silenzio è come una piazza che apre all’ascolto e all’incontro e permette l’espressione di un significato più profondo. Soprattutto è il luogo dove non solo si trovano le ri­sposte, ma -secondo l’espressione di Benedetto XVI- si impara a riconoscere le domande giuste.

Quando le parole fanno comunità…

Nella comunicazione contemporanea servono parole scavate nel silenzio, per dirla con Ungaretti. Parole inserite organicamente in un gran silenzio (Etty Hillesum): dette o scritte per accentuare il silenzio e non per coprirlo o disperderlo. Servono cioè parole che preparano un ascolto non improvvisato, che dispone a mettere tutto quello che si è e si sa fare a disposizione degli altri.

Il Messaggio del Papa, aperto e dal valore profetico, toc­ca la struttura fondamentale del comunicare e offre una nuova sfida a tutti per lasciarsi interrogare sul proprio modo di comunicare. La vita cristiana consiste nel riuscire a essere in comunione con tutte le creature, perché tutte le creature sono parola di Dio. Ma quante volte anche i cristiani ‘stanno insieme’ e parlano solo perché le convenzioni vietano il silenzio, o perché si è  bramosi di compiacere qualcuno con discorsi senza forma e parole senza peso!… ma da tali atteggiamenti possono scaturire solo illusioni di contatto!

…e i nodi tra le persone diventano vita

Per noi religiosi le riflessioni del Papa sono una feconda occasione per ripensarci come comunità e per dare vita a quella cultura vera della relazione e dell’empatia dove i nodi tra le persone diventano vita delle stesse persone…

La condivisione quotidiana certo ha un prezzo che non è facile da pagare perché, nel cammino sempre in salita verso la vera libertà interiore, essa mette in luce tutte le contraddizioni interiori della persona. Rimane il fatto che è essenziale scoprire la fraternità -e riscoprirla ogni giorno- per poter camminare verso un orizzonte comune. Questo significa non stancarsi di cercare la stilla di divino che c’è in ogni persona. Siamo insieme le foglie dissimili di un unico albero. A nessuno spetta distinguere le foglie meglio riuscite. Il comando del Signore è: Non giudicate!

Il sentiero verso se stessi e verso spazi comuni e condivisi

 “Ci sarà chiesto conto di ogni parola, di tutte quelle che bisognava dire e che la nostra avarizia ha frenato. Di tutte quelle che bisognava tacere e che la nostra prodigalità avrà seminato ai quattro venti della nostra fantasia e dei nostri nervi”, ammonisce Madeleine Delbrel. Tacendo si permette all’altra persona di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati -senza un opportuno confronto- soltanto alle nostre parole o alle nostre idee. Si apre così uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione umana più piena.

Anche la nostra esperienza ci racconta che tutte le parole capaci di aprire uno spazio comune e condiviso, avviano e rafforzano una comunicazione che è esperienza di compartecipazione. Lungo questa via, anche in un tempo confuso come il nostro, l’intelligenza dello Spirito orienta a ciò che conta per non rimanere schiacciati da sforzi inutili.

La solitudine che è comunione

Il vero problema, in ogni vita insieme ad altre persone, è conoscere l’altro dall’interno, perché da quel momento non si può più essere indifferenti a lui o rinnegarlo… “Non potremo più rifuggire dalla sua sofferenza, dalla sua ragione, dalla sua storia. E forse diventeremo anche più indulgenti con i suoi errori” (D. Grossman).

Nella vita comune vengono inevitabilmente messe in gioco tante realtà personali: simpatia e antipatia, empatia e intelligenza, cuore, ferite interiori; tutte realtà che si misurano con quelle di chi ci vive accanto e s’intrecciano alla fede e all’amore, alla preghiera e alla volontà di ognuno di seguire il Signore. Il che implica evidentemente la conversione del proprio tempo, dello sguardo, del cuore… E se arriva il momento in cui, nella revisione del proprio vissuto, ci si accorge che molte energie si vanno  esaurendo, allora è indispensabile ritornare a quel silenzio che è ascolto degli altri e di sé, perché è questo che trasforma le persone. Il silenzio quindi come inizio di ogni gesto, di ogni storia vera, di ogni creazione. Il silenzio non come mezzo, o tecnica. Ma come modo di essere, come sapore che coinvolge tutti i propri gesti e apre al mistero.

Possa la Chiesa, nel passaggio epocale  che stiamo vivendo, anche attraverso la Parola vissuta nella vita fraterna,  dare al mondo segni concreti di credibilità e di speranza.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it