Archive for agosto, 2012

Sentirsi a casa nel mondo

Senza categoria | Posted by usmionline
ago 21 2012

Il dono più grande che ognuno può ricevere nella nostra fragile esistenza, quello che rende una vita riuscita e piena, è sentirsi a casa nel mondo. Il che sembra proprio non dipendere dalla ricchezza o dalla povertà e nemmeno dalla salute o dalla malattia…

Valori olimpici alla prova della vita
Le Olimpiadi 2012 – il più grande evento globale di cui abbiamo esperienza, nato per favorire la pace, che ancora una volta ha affascinato e coinvolto il mondo intero anche al di là del puro spettacolo sportivo – si sono concluse, mentre nel mondo non cessa la triste sequenza di morti e feriti.

Tante le medaglie conquistate ai giochi di Londra. Ognuna a conclusione di un cammino personale tenace, sempre orientato a dare il meglio di sé anche di fronte alle possibili sconfitte. Ognuna al termine di percorsi segnati da faticosi e costanti esercizi. Impegno, creatività, tenacia… quando si impara a battersi in maniera leale e nel massimo rispetto delle regole e dell’avversario, i risultati ci sono, anche se non si traducono in medaglie! In ciò è la speranza che i valori olimpici incontrati dietro e dentro le competizioni (rispetto di se stessi, degli altri, dei ruoli e delle regole, rispetto dell’ambiente…) non vengano cancellati nel nostro mondo. È possibile costruire un mondo migliore attraverso la solidarietà, lo spirito di squadra, la gioia e l’ottimismo, perché dei valori autenticamente umani, per quanto essi possano risultare a volte scomodi alle istanze del potere o dei business, non ci si riesce a “liberare”.

Ci chiediamo se è concretamente possibile operare a livello di società civile per influenzare le politiche nazionali attraverso lo sport; creare un efficace movimento di pressione transnazionale per la promozione dei valori olimpici non solo in campo sportivo… E prima ancora ci chiediamo: dato che i valori non sono niente altro che ciò che ciascuno trova prezioso, allora quanto conta essere e dare il meglio di sé nella vita di tutti i giorni?

I Giochi olimpici ci lasciano insomma interrogativi radicali che toccano la fragilità della nostra esistenza e, insieme, il futuro che è affidato ad ognuno.

Vite riuscite
“… Forse anche voi vivete situazioni di instabilità, di turbamento o di sofferenza, che vi portano ad aspirare ad una vita non mediocre e a chiedervi: in che consiste una vita riuscita?” (Benedetto XVI ai giovani). La consapevolezza di essere liberi di dare una direzione alla nostra vita in realtà ci distingue da ogni essere vivente sulla terra. Il cristiano inoltre sa che la qualità del presente (e perciò anche del futuro!!) nasce dalla tensione fra quotidiano e regno di Dio. Il regno di Dio infatti orienta e mobilita l’uomo nella storia come un mistero che attraversa il cuore, come un disturbo da accogliere e una libertà da cogliere… Chi però decide di cercare e di rispondere al grande perché della vita scopre che essa è un dono e contemporaneamente un compito e una responsabilità.

Se si ama è spontaneo dare il meglio di sé e sentirsi a casa nel mondo. Il segreto di una vita riuscita è ‘impegnarsi ad agire per ciò che ami e amare ciò per cui ti impegni’ (F. M. Dostoevskij); è impegnarsi per un amore genuino e amare il percorso che conduce a quell’amore. Se l’amore è vero, profondo, sincero, la strada che permette di raggiungerlo è, sì, faticosa, aspra e anche irta di ostacoli, ma, amando, tutto diventa superabile. In una vita così si è felici di esserci perché se ne conosce il senso e, insieme, si sperimenta che esso non ci viene regalato automaticamente.

Il problema vero è che nel tran tran dei nostri giorni ‘normali’ è facile perdere di vista le cose che davvero contano. Senza considerare che non è nemmeno sempre facile capire che cosa per uno è importante, quali valori e mete realmente inseguiamo nella nostra esistenza… Per fare solo un esempio: pensiamo che la sincerità sia un valore importante, eppure facilmente ci sorprendiamo ad esagerare se non addirittura a mentire quando questo appare più semplice o più vantaggioso… Ma se non è chiaro che cosa conta nella vita, viene a mancare anche il fondamento per ogni scelta.

Una dinamica di speranza non scontata
Così nel nostro mondo – che considera la libertà soprattutto come pura rivendicazione di  autodeterminazione, come diritto e premessa per una realizzazione personale – molte sono le possibilità di fuga dalla domanda di senso. In tale situazione è facile lasciarsi ipnotizzare da frenetiche attività che si susseguono una all’altra, lasciarsi bloccare dalla paura del fallimento e  dell’ignoto, che può diventare il vincolo più forte a rimanere fermi là dove si è, con le abitudini e le cose che conosciamo anche se forse non ci piacciono… Deve essere terribile essere senza sapere perché, sentire la condizione umana girare attorno alla morte e conoscere in sé un pianto che non ha più lacrime… Non per niente la depressione è ‘la’ malattia del nostro tempo. Ma se la riuscita e il successo non sono mai definitivi, nemmeno la paura del fallimento è fatale. ‘Ciò che conta è il coraggio di andare avanti’ (Winston Churchill).

 

Succede però anche che l’esperienza di una malattia più grave delle altre, o la morte di un proprio caro, o un incontro particolare o più semplicemente l’inspiegabile senso di vuoto dopo una serata di divertimenti, facciano rinascere nel cuore l’interrogativo fatidico: ma che senso ha?

Senso cristiano della croce
Forse siamo arrivati davvero a un punto tale per cui, se vogliamo trovare un po’ di autentica umanità, bisogna andare a cercarla senza paura nelle situazioni limite: tra i disabili, i malati terminali, i carcerati… Paradossalmente oggi un messaggio di speranza sembra venire proprio da madri che accudiscono figli handicappati, da famiglie che curano in casa parenti in stato vegetativo, o da nipoti che accudiscono nonni anziani. È sorprendente come in queste situazioni emerga spesso una fiducia e una pienezza di vita, che non si trovano invece nelle cosiddette condizioni “normali”. Questo forse semplicemente perché la fragilità e anche i fallimenti sono tracce sincere di umanità… In fondo si tratta del mistero della croce, la verità cristiana tanto decisiva per la comprensione di sé, del mondo e dell’uomo. E se la speranza di poter cancellare la propria disperazione e il proprio dolore può togliere a volte persino la voglia di vivere, nel mistero della croce la persona trova invece la sua forza proprio nella consapevolezza di potersi rompere, nel sentimento autentico e per niente retorico della propria insufficienza che si apre così ad accogliere e ad essere accolto. Allora, “se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile” (Ger 15,19), quella fragilità si colora di forza, vive e si fa storia.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Turismo del macabro

Senza categoria | Posted by usmionline
ago 09 2012

Il bisogno di dire ‘io c’ero, ho visto…’ in quei luoghi tristemente famosi, dove si sono verificati fatti terribilmente tragici, è specchio dei tempi, o espressione di una umanità in decadenza?

Specchio dei tempi…
Forse già 2000 anni fa Lucrezio aveva visto giusto quando, nel De Rerum natura, scriveva che è piacevole osservare, dalla riva, una nave che cola a picco “non perché rechi piacere che qualcuno si trovi a soffrire, ma perché è dolce scorgere i mali dai quali siamo liberi”.

Il relitto della Costa Concordia, adagiato ormai da mesi sulla scogliera dell’isola del Giglio, continua a registrare folle di curiosi che vengono anche da lontano per osservarlo dal vero, gruppetti che scambiano il gigante bianco per il monumento simbolo di una grande città da immortalare durante una gita, persone che cercano di farsi inquadrare da qualche telecamera in azione mentre passeggiano ‘del tutto casualmente’ davanti alla scena della sciagura, e persino coppie che sulla stessa scena fanno uno spuntino, come in una gita fuori porta, e poi si godono il macabro spettacolo…

…o espressione di una umanità in decadenza?
I “turisti dell’orrore”, oggi in costante aumento forse anche a causa della grande attenzione riservata dai mezzi di comunicazione ai casi di cronaca più efferati, sono forse semplicemente sciacalli della sofferenza altrui? Certo accade sempre più spesso che tanti nostri contemporanei per curiosità, scelgono di muoversi in vacanza verso luoghi che trasudano tristezza e dolore. L’obiettivo più o meno consapevole: poter rivivere (ma comodamente e senza pericoli!!) un pezzetto della tragedia che ha portato quei luoghi alla ribalta della cronaca.

I viaggi dell’orrore
Secondo gli studiosi del comportamento umano il fenomeno non è poi così insolito. E più fortemente sente il bisogno di poter dire “io c’ero, ho visto…” chi è più suggestionabile dal punto di vista emotivo.

Intendiamoci: esistono luoghi – come i campi di concentramento o i campi di battaglie famose che sono parte del nostro bagaglio storico e culturale – che vanno visitati per comprendere meglio le radici della civiltà in cui siamo immersi. Curiosità macabra invece è quella riferita a luoghi ‘famosi’ per violenze e omicidi, eventi drammatici fini a se stessi, senza relazione con la storia del Paese. Le mete principali  di questi ‘viaggi’ sono i luoghi colpiti da catastrofi naturali, come negli ultimi tempi le zone terremotate dell’Emilia, e quelle case private, quelle strade dove si è consumato appunto qualche delitto (Cogne, Avetrana…). La dinamica è sempre la stessa: si sceglie un luogo che abbia avuto forte risonanza mediatica e reso celebre da telegiornali e quotidiani; ci si documenta e poi si parte, considerando la meta un po’ come un set cinematografico.

Perché si sviluppa tale curiosità macabra?
In fondo si tratta di un modo per essere, se non protagonisti, almeno comparse in un ‘film drammatico’. Ci si stringe gli uni agli altri, con la voglia di spiare, scrutare; con il desiderio di cogliere qualche dettaglio nascosto, cercando di vivere una realtà che non si percepisce totalmente.

Si vive di riflesso la vita altrui, mossi da una curiosità che è radicata nel profondo egoismo esistenziale, forse per noia, forse per abitudine, forse solo per esorcizzare la propria paura della morte. Non è un’altruistica volontà di partecipazione al dolore degli altri a spingere verso il turismo del macabro. Più realisticamente questi ‘viaggi’ sono espressione di una crescente povertà interiore.

Fra sogni e incubi
Un fatto è certo: nel nostro tempo ci ritroviamo sempre un po’ più soli. Ognuno con il suo carico di drammi esistenziali e di decisioni da assumere; ognuno con la sua fatica a entrare in relazione con l’altro e con le luci e le ombre di un tempo nuovo da affrontare. Certamente non sempre siamo in grado di vivere, per il presente e per il futuro, quella responsabilità che Max Weber affidava all’uomo come compito suo proprio.

Il mistero allo stesso tempo attrae e respinge. Incuriosisce e impaurisce. Affascina e spaventa. L’orrore, in qualche modo, bypassa la mente analitica e la rende più manovrabile, come una triste voce nel silenzioso vuoto che riempie i giorni di molti.

È facile in tale situazione abbandonarsi a forme illusorie di superamento dei problemi. Così qualcuno, stando dalla parte del potere, si è convinto che gli incubi sono necessari quanto i sogni. Necessari al potere perché capaci di trasformare l’identità di una persona in un cumulo di emozioni e di sensazioni, che molto raramente si traducono in pensieri e comprensione dei fatti. Nessuna fatica quindi. E niente di più produttivo in un sistema come il nostro che mira ad essere dominato dal consenso. O almeno dalla dissuasione.

Nomadi di senso. In cammino
Invece è bellissimo guardarsi in volto al mattino e riconoscersi senza dover indossare delle maschere per sembrare adeguati a ciò che altri si aspettano da noi. Ma forse è necessario cambiare per sperimentare questo. Occorrono nuove strategie dello stare insieme e aiutarsi reciprocamente nell’avventura esistenziale. Le parole certo sono poca cosa. Ma anche una parola può essere qualcosa di utile se la si tira fuori dal proprio dolore e dalla voglia che l’uomo viva meglio e sia più uomo, meno ubriaco di illusioni e di inganni, fatti e subiti. È la fragilità, infatti, che, riconosciuta in sé e accettata, genera saggezza. E la saggezza avvicina alla serenità. Il senso di perfezione invece produce soltanto potere.

Certamente cambiare si può. Ma cambiare esige sempre fatica della mente e apertura del cuore: l’unica fatica capace di mantenere aperto l’orizzonte del possibile che è anche orizzonte del futuro.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it