Il dono più grande che ognuno può ricevere nella nostra fragile esistenza, quello che rende una vita riuscita e piena, è sentirsi a casa nel mondo. Il che sembra proprio non dipendere dalla ricchezza o dalla povertà e nemmeno dalla salute o dalla malattia…
Valori olimpici alla prova della vita
Le Olimpiadi 2012 – il più grande evento globale di cui abbiamo esperienza, nato per favorire la pace, che ancora una volta ha affascinato e coinvolto il mondo intero anche al di là del puro spettacolo sportivo – si sono concluse, mentre nel mondo non cessa la triste sequenza di morti e feriti.
Tante le medaglie conquistate ai giochi di Londra. Ognuna a conclusione di un cammino personale tenace, sempre orientato a dare il meglio di sé anche di fronte alle possibili sconfitte. Ognuna al termine di percorsi segnati da faticosi e costanti esercizi. Impegno, creatività, tenacia… quando si impara a battersi in maniera leale e nel massimo rispetto delle regole e dell’avversario, i risultati ci sono, anche se non si traducono in medaglie! In ciò è la speranza che i valori olimpici incontrati dietro e dentro le competizioni (rispetto di se stessi, degli altri, dei ruoli e delle regole, rispetto dell’ambiente…) non vengano cancellati nel nostro mondo. È possibile costruire un mondo migliore attraverso la solidarietà, lo spirito di squadra, la gioia e l’ottimismo, perché dei valori autenticamente umani, per quanto essi possano risultare a volte scomodi alle istanze del potere o dei business, non ci si riesce a “liberare”.
Ci chiediamo se è concretamente possibile operare a livello di società civile per influenzare le politiche nazionali attraverso lo sport; creare un efficace movimento di pressione transnazionale per la promozione dei valori olimpici non solo in campo sportivo… E prima ancora ci chiediamo: dato che i valori non sono niente altro che ciò che ciascuno trova prezioso, allora quanto conta essere e dare il meglio di sé nella vita di tutti i giorni?
I Giochi olimpici ci lasciano insomma interrogativi radicali che toccano la fragilità della nostra esistenza e, insieme, il futuro che è affidato ad ognuno.
Vite riuscite
“… Forse anche voi vivete situazioni di instabilità, di turbamento o di sofferenza, che vi portano ad aspirare ad una vita non mediocre e a chiedervi: in che consiste una vita riuscita?” (Benedetto XVI ai giovani). La consapevolezza di essere liberi di dare una direzione alla nostra vita in realtà ci distingue da ogni essere vivente sulla terra. Il cristiano inoltre sa che la qualità del presente (e perciò anche del futuro!!) nasce dalla tensione fra quotidiano e regno di Dio. Il regno di Dio infatti orienta e mobilita l’uomo nella storia come un mistero che attraversa il cuore, come un disturbo da accogliere e una libertà da cogliere… Chi però decide di cercare e di rispondere al grande perché della vita scopre che essa è un dono e contemporaneamente un compito e una responsabilità.
Se si ama è spontaneo dare il meglio di sé e sentirsi a casa nel mondo. Il segreto di una vita riuscita è ‘impegnarsi ad agire per ciò che ami e amare ciò per cui ti impegni’ (F. M. Dostoevskij); è impegnarsi per un amore genuino e amare il percorso che conduce a quell’amore. Se l’amore è vero, profondo, sincero, la strada che permette di raggiungerlo è, sì, faticosa, aspra e anche irta di ostacoli, ma, amando, tutto diventa superabile. In una vita così si è felici di esserci perché se ne conosce il senso e, insieme, si sperimenta che esso non ci viene regalato automaticamente.
Il problema vero è che nel tran tran dei nostri giorni ‘normali’ è facile perdere di vista le cose che davvero contano. Senza considerare che non è nemmeno sempre facile capire che cosa per uno è importante, quali valori e mete realmente inseguiamo nella nostra esistenza… Per fare solo un esempio: pensiamo che la sincerità sia un valore importante, eppure facilmente ci sorprendiamo ad esagerare se non addirittura a mentire quando questo appare più semplice o più vantaggioso… Ma se non è chiaro che cosa conta nella vita, viene a mancare anche il fondamento per ogni scelta.
Una dinamica di speranza non scontata
Così nel nostro mondo – che considera la libertà soprattutto come pura rivendicazione di autodeterminazione, come diritto e premessa per una realizzazione personale – molte sono le possibilità di fuga dalla domanda di senso. In tale situazione è facile lasciarsi ipnotizzare da frenetiche attività che si susseguono una all’altra, lasciarsi bloccare dalla paura del fallimento e dell’ignoto, che può diventare il vincolo più forte a rimanere fermi là dove si è, con le abitudini e le cose che conosciamo anche se forse non ci piacciono… Deve essere terribile essere senza sapere perché, sentire la condizione umana girare attorno alla morte e conoscere in sé un pianto che non ha più lacrime… Non per niente la depressione è ‘la’ malattia del nostro tempo. Ma se la riuscita e il successo non sono mai definitivi, nemmeno la paura del fallimento è fatale. ‘Ciò che conta è il coraggio di andare avanti’ (Winston Churchill).
Succede però anche che l’esperienza di una malattia più grave delle altre, o la morte di un proprio caro, o un incontro particolare o più semplicemente l’inspiegabile senso di vuoto dopo una serata di divertimenti, facciano rinascere nel cuore l’interrogativo fatidico: ma che senso ha?
Senso cristiano della croce
Forse siamo arrivati davvero a un punto tale per cui, se vogliamo trovare un po’ di autentica umanità, bisogna andare a cercarla senza paura nelle situazioni limite: tra i disabili, i malati terminali, i carcerati… Paradossalmente oggi un messaggio di speranza sembra venire proprio da madri che accudiscono figli handicappati, da famiglie che curano in casa parenti in stato vegetativo, o da nipoti che accudiscono nonni anziani. È sorprendente come in queste situazioni emerga spesso una fiducia e una pienezza di vita, che non si trovano invece nelle cosiddette condizioni “normali”. Questo forse semplicemente perché la fragilità e anche i fallimenti sono tracce sincere di umanità… In fondo si tratta del mistero della croce, la verità cristiana tanto decisiva per la comprensione di sé, del mondo e dell’uomo. E se la speranza di poter cancellare la propria disperazione e il proprio dolore può togliere a volte persino la voglia di vivere, nel mistero della croce la persona trova invece la sua forza proprio nella consapevolezza di potersi rompere, nel sentimento autentico e per niente retorico della propria insufficienza che si apre così ad accogliere e ad essere accolto. Allora, “se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile” (Ger 15,19), quella fragilità si colora di forza, vive e si fa storia.
Luciagnese Cedrone
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