Archive for luglio, 2010

Legalità e nuove generazioni

Società | Posted by usmionline
lug 27 2010

La passione civile, che molti oggi credono nascosta, scomparsa, o comunque ai margini della nostra società, si risveglia nei giovani di 20/25 anni quando con loro si toccano seriamente i temi della legalità.

Tante le storie difficili e i ritratti dei giovani di oggi: dai nuovi drammi nascosti dell’anoressia e della bulimia, ai mondi dimenticati del carcere e della disabilità. Ma in mezzo ci sono esperienze di grande impegno a favore della pace e della lotta alle mafie.

Eppure se i riflettori oggi si accendono sui giovani, ne viene un quadro in cui qualcuno è messo lì come richiamo di successo e prestigio; gli altri sono raccontati con i peggiori aggettivi: giovani maledetti, protagonisti di bullismo, abuso di alcool, stragi del sabato sera, fascino per la vita facile proposta dalla malavita organizzata.

La partita della legalità e della pace si gioca su una linea sottile, ma decisiva, dove credenti e uomini di buona volontà non possono non trovarsi uniti.

Se il buon protagonismo di tanti, che pure esiste e andrebbe assecondato e raccontato, rimane in ombra e non fa notizia, ogni tanto però qualche fatto supera gli steccati del silenzio. Per esempio l’idea bizzarra e geniale dei ragazzi di Gela di tappezzare tutti i negozi di Palermo -città malata- con migliaia di adesivi che recano lo stesso messaggio: Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità. Un’idea nata in loro semplicemente ascoltando le parole della moglie di Libero Grasso, ucciso sì dalla mafia, ma anche dalla solitudine. Così, con l’episodio degli adesivi, i giovani mostrano la collettiva responsabilità per una rassegnazione antica, ma sempre nuova.

E ancora. I giovani cercano risposte al loro smarrimento interiore e non rimangono indifferenti per esempio alle storie di solitudine e abbandono raccontate dalla mostra fotografica Ali bruciate. I bambini di Scampia (Questa mostra sui bambini soldato della camorra rimarrà aperta a Roma -Casa della Memoria e della Storia- fino al 22 ottobre 2010): guardano quell’inferno e colgono il calvario di tanti innocenti. Con loro ravvivano la propria voglia di guardare oltre le vele e di solcare altri mari.

Tutto questo ci ricorda che Sperare è possibile. Anche quando il mondo ti crolla addosso, anche quando tutto sembra congiurare contro di te, sperare è possibile (Gemma Calabresi). E la speranza, che è una energia anche fisica, passa oggi soprattutto attraverso il dialogo interculturale e la conoscenza reciproca fra adulti e giovani. Allora percorsi di rinascita sorgono anche là dove il baratro sembra non lasciare speranza.

Don Daniele Simonazzi, per esempio, sperimenta da anni questa strada offrendo ascolto, sostegno e voce agli internati dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. Con la sua diaconia punta a smuovere le comuni coscienze di fronte a una realtà poco esplorata, ma fatta di persone con voglia di raccontare, di costruire legami, sentirsi parte di un’unica società; persone che non hanno alcun merito per essere rispettate, tranne quello di essere povera gente.

Molti oggi s’impegnano a fare squadra e mettono insieme le proprie ragioni contro l’illegalità, la violenza e la mafia. Si fanno carico di ciò che non funziona dentro la società. Invitano i giovani e li coinvolgono, magari semplicemente a partire dalle riflessioni e dai confronti realizzati e vissuti in Campi Scuola estivi, in progetti sociali concreti.

Imparare insieme

È quello che, nella provincia di Arezzo, s’impegna a realizzare il Gruppo Rondine, nato intorno ad un’idea forte e originale: far convivere, in luogo e contesto neutrali, giovani provenienti da Paesi in conflitto e che nelle loro terre sarebbero potenziali nemici. La sfida è che, condividendo spazi, tempo, studio, attività quotidiane, relazioni e valori, si realizzi, attraverso una crescita personale e comunitaria, un’unica famiglia. I problemi veri infatti spesso sfuggono a coloro che non li vivono direttamente e insieme.

Quelli citati sono solo esempi di movimenti misti di adulti e giovani, di persone che hanno scelto di non rinunciare al bene anche quando le strade per viverlo sono faticose.

Ma come far emergere questi percorsi nella nostra società? Quali prospettive hanno oggi le nuove generazioni? E la scuola risponde davvero alle esigenze della società di oggi?

Legalità e nuovi percorsi educativi

Non c’è legalità senza una percezione di senso (Marco Guzzi). Forse la legalità è semplicemente l’effetto di una situazione sociale. E forse la corruzione sociale e l’illegalità sono l’effetto di un corpo sociale, culturale e, ancor prima spirituale, morto. Un corpo morto, si sa, si corrompe, si rompe.

Come diventare compagni di viaggio di chi si trova a vivere in un corpo morto, ad avere a volte come unica scelta quella dell’illegalità?

Un interessante incontro, per riflettere su questo tema della legalità e sull’urgenza di proporre nuovi percorsi educativi, si è tenuto il 14 luglio scorso a Roma, sempre alla Casa della Memoria e della Storia. All’iniziativa, promossa fra gli altri dalle Edizioni Paoline, hanno partecipato il filosofo Marco Guzzi e il giornalista di Avvenire Diego Motta.

Educare a pensare

Abbiamo bisogno di gente che pensa e che sappia guidare i giovani a pensare e sentire, abbandonando -tutti- la passività mentale dello spettatore televisivo. I giovani spesso dicono cose che non sentono perché sono scissi…, ma solo loro?

I soggetti della relazione educativa (educatore e anche educando!), particolarmente oggi, sono chiamati insieme a fare esperienza autentica di attenzione e interesse del cuore donati e ricevuti; a far crescere e scambiarsi la propria capacità di ascolto sui reciproci vissuti.

Soprattutto i giovani hanno bisogno di scoprire che il pensiero ha a che fare con la verità e che non ci sono solo le opinioni.  Per questo è necessario imparare a discutere con il giovane, dimenticando per lui tutto il proprio sapere e con lui scoprire le cose, le relazioni. Soprattutto imparare ad ascoltare davvero: se non riusciamo a sentire quel che il giovane dice e non comprendiamo perché lo dice, allora sarà davvero difficile aiutarlo a costruirsi nuove esperienze che lo aiutino eventualmente ad annullare gli errori commessi.

Molti oggi sono impegnati con intelligenza e senza risparmiarsi a fare questa cultura; a sperimentare e insegnare la libertà vera, il gioco relazionale liberamente vissuto nel dono.

Ma è certo che l’avventura dell’educare appartiene a ciascuno. Come è di tutti la responsabilità di consegnare alle nuove generazioni il faticoso e appassionante mestiere di vivere.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

ONU: Nasce l’Ufficio per i diritti delle donne

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
lug 21 2010

A New York, il 6 luglio 2010 le Nazioni Unite hanno creato, dopo anni di dibattiti e negoziati, l’ “Ufficio per i diritti delle donne”, in inglese Un Women, per migliorare la condizione della donna nel mondo. Il nuovo organismo, istituito con un voto dell’Assemblea Generale, assorbirà quattro agenzie dell’Onu che si occupavano già della condizione della donna e si concentrerà esclusivamente sulla promozione dei diritti delle donne a livello globale, regionale e locale. D’ora in avanti sarà molto più difficile per il mondo ignorare le sfide che le donne sono costrette ad affrontare.

Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in una nota diffusa al Palazzo di Vetro, ha commentato: UN Women rafforzerà in maniera significativa l’impegno delle Nazioni Unite per promuovere l’eguaglianza di genere, ampliare le opportunità per le donne ed affrontare le discriminazioni.

La struttura avrà sede a New York e sarà guidata da un vice-segretario generale che sarà nominato prossimamente da Ban Ki-moon. L’alto funzionario, una volta nominato, sarà membro di tutti i più importanti organi decisionali ONU e farà rapporto direttamente al Segretario Generale. Avrà a disposizione un budget iniziale di almeno 500 milioni di dollari. Le sue operazioni saranno finanziate da contributi volontari, mentre il bilancio regolare delle Nazioni Unite finanzierà l’attività normativa.

UN Women avrà due ruoli chiave: supportare gli organi inter-governativi nella formulazione di politiche e norme e aiutare gli Stati membri a rendere effettive queste regole, fornendo sostegno tecnico e finanziario ai Paesi che lo richiedono e creando collaborazioni con la società civile. Inoltre, UN Women aiuterà anche il sistema ONU a rendere conto dei suoi impegni sull’uguaglianza di genere e a monitorare regolarmente i progressi di tutto il sistema.

Donna oggi

La condizione della donna, anche nella nostra società occidentale, nonostante i traguardi pur raggiunti, rimane problematica e non smette di lasciare insoddisfatte soprattutto le donne più pensose e più esigenti. Ma sembra purtroppo che molte donne abbiano perso, oggi, il gusto e la responsabilità del prendere l’iniziativa di fronte alle molte criticità esistenti. Così spesso si accontentano degli obiettivi raggiunti, rinunciando a farsi interpreti dell’originale sensibilità, che è solo loro, nel leggere i fatti.

Donna oggi nella Chiesa

Nel magistero degli ultimi pontefici, a partire dal Concilio Vaticano II , cresce l’attenzione alla donna. Il Magistero della Chiesa ha espresso intorno alla questione femminile, alcune tra le posizioni più vive e lungimiranti (cfr Mulieris Dignitatem -1998, Lettera alle donne -1995). Ma la vita dei cristiani e delle comunità, si sa, cammina con un passo più lento e più stanco di quello dei documenti, tanto che non manca chi ritiene che, rispetto ai primi cristiani, oggi si sia fatto un passo indietro. Persiste nella vita sociale una sottile emarginazione della sensibilità femminile – così insostituibile invece in tutti gli aspetti di vita che coinvolgono le relazioni umane e la cura dell’altro. Questo minaccia quello stile di vita nel quale si manifesta con chiarezza il genio della donna, come Giovanni Paolo II lo ha chiamato nella Mulieris Dignitatem. Oggi c’è anche da superare lo iato tra la progressiva affermazione delle donne nella società e l’invisibilità ecclesiale.

Visibilità e autorevolezza della donna

Le donne, sempre ricercate e apprezzate per il contributo di acume, di finezza intellettiva e di concretezza con cui riescono ad essere presenti sui vari fronti della vita di ogni comunità, sono realmente una presenza vitale nella Chiesa; ma questa loro presenza diviene normalmente invisibile nei momenti pubblici e istituiti, quelli nei quali si è legittimati a rappresentare e parlare a nome della Chiesa, quelli nei quali si tengono le relazioni più qualificanti o si prendono decisioni che ricadranno su tutti. Con questo non si tratta naturalmente della rivendicazione di ruoli di potere; non è nemmeno la ricerca di una omologazione o, peggio ancora, l’affermazione di una supposta superiorità di genere. È solo la domanda di riconoscimento di una dignità. O forse, molto più semplicemente, è un invito a comprendere meglio il disegno di Dio; a capire come Lui vuole che si operi nella storia lasciandosi prendere per mano dalla Sua Parola, che sempre conduce a Lui.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

MISSIONARI/E E IMMIGRATI: NON POSSIAMO TACERE

Comunicazioni Sociali, Senza categoria | Posted by usmionline
lug 14 2010

Il documento del CIMI (Istituti Missionari e Commissione di Giustizia, Pace e Integrità del Creato) che segue è un lungo e analitico atto di accusa contro lo sfruttamento dei nuovi poveri. Nello stesso tempo è un’assunzione di responsabilità da parte dei missionari, i quali dichiarano apertamente di stare dalla parte degli immigrati, mentre affermano anche che oggi è insufficiente fermarsi alla denuncia. La CIMI inoltre sollecita la Commissione episcopale a redigere un documento che, oltre la denuncia della deriva culturale rispetto al tema migratorio, offra gli opportuni orientamenti alle comunità cristiane.

Il documento è da leggere e da studiare attentamente per lasciarsene illuminare nelle scelte concrete.

 

Conferenza degli Istituti Missionari Italiani (CIMI)

Commissione di Giustizia, Pace e Integrità del Creato della CIMI

missionari/e e immigrati

NON POSSIAMO TACERE

Firenze, 30 giugno 2010

 “Oggi la forma di povertà più vistosa e drammatica in Italia – ha scritto il coraggioso vescovo emerito di Caserta, R. Nogaro – è quella degli immigrati e dei rom. In nome di una fantomatica ‘sicurezza sociale’ si sta costruendo, soprattutto nel nostro paese, la fabbrica della paura verso tutto ciò che può ledere la tranquillità del cittadino. Per questa prospettiva inquietante l’incriminato di dovere è l’immigrato ed è il rom, considerati quasi naturalmente soggetti di reato.”

In poche lapidarie parole Mons. Nogaro, che ben conosce i problemi degli immigrati di Caserta e di Castelvolturno, ci ha messo davanti agli occhi il dramma di questi fratelli e sorelle immigrati nel nostro paese.

Il contesto europeo

Viviamo nell’epoca della più grande mobilità della storia conosciuta. Oltre 214 milioni di migranti internazionali, vi sono circa 740 milioni di sfollati, in parte sfollati interni. Ciò significa che una persona su sette nel mondo è un migrante (Peter Schatzer, Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cura Pastorale dei Migranti, Roma, maggio 2010).

Nei 27 Paesi dell’UE si calcolano 24 milioni di migranti, per la più parte provenienti dagli stessi Paesi dell’Unione. Secondo valutazioni recenti i migranti ‘irregolari’ sarebbero fra i 4.5 e gli 8 milioni, con un aumento stimato fra i 350 e i 500 mila all’anno.

Di fatto, l’Europa,sentendosi ‘fortezza’ assediata, affronta sulla difensiva il fenomeno della mobilità. La ‘governance’ delle migrazioni e la lotta contro l’immigrazione irregolare sono prospettate come la soluzione principale per dare sicurezza alle società europee, inserendo il controllo dell’immigrazione nell’ottica della lotta al terrorismo…viene, così, proposta e ribadita la trilogia inaccettabile: ‘immigrazione – criminalità e terrorismo – insicurezza’. Per tale ragione, la politica migratoria dell’Europa afferma la chiusura delle frontiere alle persone, ma la libertà di circolazione alle informazioni, ai beni ed ai capitali. Si va diffondendo un atteggiamento politico di rifiuto degli immigrati, mentre le economie continuano a richiederne l’assunzione. Probabilmente vedremo presto calare nuove cortine di ferro, con serrati pattugliamenti alle frontiere e nuove misure di difesa delle coste.

 C’è chi si azzarda ad affermare che il rafforzamento delle frontiere non serve solo ed in primo luogo a fermare i movimenti migratori -i quali di fatto continuano- ma a definire come irregolari i migranti che le attraversano, dando loro un’identità che li pone in una posizione di inferiorità e di mancanza di diritti: un esercito di invisibili ricattabile e sfruttabile (Mons. Antonio M. Vegliò, VIII congresso Eu, Màlaga, aprile-maggio 2010).

Il contesto italiano

Xenofobia montante

Noi missionari che siamo stati a lungo ospiti dei popoli africani, sudamericani, asiatici assistiamo ora in patria ad un accanimento senza precedenti nei confronti degli immigrati in mezzo a noi. Stiamo assistendo a una massiccia e crescente violazione dei diritti umani nei loro confronti. E questo avviene nell’indifferenza da parte dei cittadini italiani, immemori di quanto i nostri migranti avevano sofferto. Non stiamo forse ripetendo sugli immigrati in mezzo a noi quello che i nostri nonni hanno subito quando anche loro emigravano?

Non possiamo accettare che il capo del Governo italiano affermi che: “Una riduzione degli extra comunitari significa meno forze che vanno ad ingrossare la criminalità”. E’ un’affermazione molto grave. Il segretario della CEI, mons. Crociata ha ribattuto giustamente: “Gli immigrati delinquono tanto quanto gli italiani. Non è vero che riducendo gli immigrati clandestini si riduce anche la criminalità”. Una menzogna, ma rilanciata con forza da una stampa nazionale che fomenta la paura “dell’altro”. In questo paese stiamo assistendo a un crescendo di dichiarazioni, di leggi, di normative che non fanno altro che attizzare un crescente razzismo e una forte xenofobia.

Da parte di ogni schieramento politico

E questo non solo da oggi, ma da quasi 20 anni. A cominciare dalla legge Turco-Napolitano (1998) che è alla base del Testo unico per l’immigrazione e ha dato inizio ai Centri di Permanenza Temporanea (CPT) che si sono poi rivelati dei veri e propri lager. Seguita nel 2002 dalla legge Bossi-Fini che ha modificato il Testo unico. Questa legge introduce il contratto di lavoro, cui è subordinato il rilascio del permesso di soggiorno, prevede l’espulsione con decreto motivato, disposto dal questore e decreta sanzioni (fino al carcere) per la disobbedienza all’ordine del pubblico ufficiale.

Noi riteniamo immorale e non-costituzionale la Bossi-Fini, perché non riconosce gli immigrati come soggetti di diritto, ma li riconosce come forza-lavoro, pagata a basso prezzo e da rispedire al mittente, quando non ci serve più. La Bossi-Fini costituisce un fatto gravissimo in chiave giuridica (vari giudici l’hanno dichiarata non costituzionale!), ma soprattutto in chiave etica.

Il Pacchetto Sicurezza (Legge 94-2009) introduce nell’ordinamento italiano l’aggravante della pena per clandestinità dell’immigrato, pene reclusive fino a tre anni per chi ceda un immobile a un clandestino, trasforma i CPT in centri di Identificazione e Espulsione (CIE), vieta a una clandestina che partorisce in ospedale di riconoscere il bimbo come suo, impone una tassa sul permesso di soggiorno e norme restrittive sui ricongiungimenti familiari. In questo modo, per la prima volta, il clandestino diventa un criminale!

In questo quadro si inseriscono anche le ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri, che decretano lo stato di emergenza per le comunità nomadi-rom del Lazio, Campania e Lombardia e impongono il vergognoso atto della schedatura di rom e sinti attraverso la raccolta forzosa delle impronte digitali per l’identificazione e il censimento degli abitanti dei campi.

Concordiamo con Famiglia Cristiana quando ha definito il Pacchetto Sicurezza la “cattiveria trasformata in legge”.

 Razzismo istituzionale

Questa legislazione comporta un aggravio molto pesante sulle spalle degli immigrati: i versamenti di contributi onerosi per ottenere permessi di soggiorno e di cittadinanza, l’obbligo di presentare un documento che attesti la regolarità del soggiorno per la celebrazione del matrimonio, la verifica da parte del Comune delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile e le pesanti sanzioni previste per la mancata esibizione dei documenti.

Se a tutto questo si aggiungono l’aggravante di clandestinità che comporta l’aumento di un terzo della pena, le decine di ordinanze per il ‘decoro urbano’ di enti locali (dal divieto di trasportare borsoni a quelle contro i lavavetri!) che creano un “diritto speciale” riservato alle aree di povertà urbane o dell’immigrazione, abbiamo davvero l’impressione di essere di fronte a leggi che riflettono “un razzismo istituzionale, come afferma il filosofo L. Ferrajoli, che vale a fomentare gli umori xenofobi e il razzismo endemico presenti nell’elettorato dei paesi ricchi.” 

A quanto detto bisogna aggiungere le due ultime novità: una pagella a punti perché un immigrato possa ottenere la cittadinanza italiana (approvata una bozza di regolamento a maggio 2010) e poi la decisione dell’11/03/2010 della Corte di Cassazione che gli immigrati irregolari vanno espulsi, anche se hanno figli minorenni che frequentano la scuola. Incredibile ma vero: la legalità delle frontiere prevale sulle esigenze di tutela del diritto allo studio dei minori.

Da tutto questo ne esce compromessa la nostra stessa democrazia. “Oggi la novità della criminalizzazione degli immigrati – ha detto il filosofo L.Ferrajoli all’incontro tenutosi nel settembre 2009 a Lampedusa , sul tema: La frontiera dei diritti . Il diritto alla frontiera – compromette radicalmente l’identità democratica del nostro paese. Giacché essa ha creato una nuova figura:quella della persona illegale, fuorilegge solo perché tale, non-persona perché priva di diritto e perciò esposta a qualunque tipo di vessazione: destinata dunque a generare un nuovo proletariato discriminato giuridicamente, e non più solo, come i vecchi immigrati, economicamente e socialmente”. E’ lo stesso Ferrajoli a tirarne le conclusioni: ”Queste norme e queste pratiche rivelano insomma un vero e proprio razzismo istituzionale… Esse esprimono l’immagine dell’immigrato come ‘cosa’, come non-persona, il cui solo valore è quello di mano d’opera a basso prezzo per lavori faticosi o pericolosi o umilianti: tutto, fuorché un essere umano, titolare di diritti al pari dei cittadini”.

E allo stesso convegno di Lampedusa , il noto magistrato Livio Pepino ha aggiunto: “Il diritto penale, a sua volta, assume una nuova curvatura: non contro il migrante che delinque, ma contro il migrante in quanto tale. Infatti con l’introduzione del reato di ‘immigrazione irregolare’ si prosegue nella impostazione di punire non un fatto, ma una condizione personale: è il migrante che diventa reato”.

Noi riteniamo infatti che tutta questa legislazione è il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, rom e incarna una cultura xenofoba e razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e del rifiuto dell’”altro”, specie del musulmano. 

I nuovi lager

 Altro capitolo dolente dell’attuale ordinamento giuridico nei confronti degli immigrati sono i Centri che prima si chiamavano Centri di Permanenza Temporanea (CPT) e che la nuova legislazione chiama Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) dove gli immigrati sono rinchiusi per sei mesi (prima era di sessanta giorni).

La situazione dei CIE è ancora peggiore di quella dei CPT. Da fonti sicure sappiamo che nei CIE si moltiplicano le violenze e i soprusi, mentre si susseguono le rivolte sempre represse con violenti pestaggi.

“Questi centri sono veri luoghi di detenzione – scrive sempre L. Ferrajoli – una detenzione per altro ancora più grave e penosa di quella carceraria, dato che è sottratta a tutte le garanzie previste per i detenuti, a cominciare dal ruolo di controllo svolto dalla magistratura di sorveglianza. Sono stati creati così dei campi di concentramento in cui vengono recluse “persone che non hanno fatto nulla di male, ma che vengono private di qualunque diritto, e sottoposte ad un trattamento punitivo, senza neppure i diritti e le garanzie che accompagnano la stessa pena della reclusione”.

Ancora più drammatica la situazione degli immigrati nei campi libici, che sono degli autentici campi di concentramento.

Ha ragione la prof.ssa L.Melillo dell’Orientale di Napoli in un recente volume A distanza d’offesa (a cura di A. Esposito e L. Melillo) a scrivere: “Sembra palesarsi il rischio di una deriva razzista che fa del corpo dello straniero il capro espiatorio delle crisi della nostra società”.

I luoghi della vergogna

Inumano è infine il trattamento che gli immigrati braccianti ed operai subiscono nel Paese, sia sul lavoro sia nelle abitazioni. Luoghi come Castelvolturno (Caserta), S. Nicola a Varco (Salerno), Rosarno (Reggio Calabria), Cassibile (Siracusa) sono ormai entrati nell’immaginario collettivo italiano. Questi sono i luoghi della vergogna dove vivono i braccianti agricoli che raccolgono i nostri pomodori, le arance, le patate…

Il più noto è certamente Castelvolturno nel casertano con una popolazione di 15.000 abitanti dei quali almeno 5.000 sono immigrati che lavorano nelle campagne del casertano e del napoletano. Le loro condizioni di vita, di abitazione, di lavoro sono davvero degradanti. Come missionari/e ne abbiamo spesso denunciato la situazione, che è poi esplosa il 18 Settembre 2008 quando sei ghaneani sono stati brutalmente uccisi dalla camorra. Gli africani di Castelvolturno sono scesi per strada ribellandosi a quel massacro.

Castelvolturno proprio per come gli immigrati sono trattati, è una polveriera che potrebbe esplodere ad ogni momento. Com’è esplosa Rosarno dove vivevano oltre mille braccianti che lavoravano nella Piana di Gioia Tauro. Abbiamo spesso potuto visitare le baraccopoli dove erano costretti a vivere quegli immigrati, luoghi di uno squallore unico. Gli stessi immigrati, fuggiti poi da Rosarno, hanno scritto: “Vivevamo in fabbriche abbandonate, senza acqua né elettricità. Il nostro lavoro era sottopagato. Lasciavamo i luoghi dove dormivamo alle 6 per rientrarci solo a sera alle ore 20:00, per 25 € che non finivano tutti nelle nostre tasche. A volte non riuscivamo nemmeno, dopo una giornata di duro lavoro, a farci pagare. Eravamo bastonati, minacciati, braccati come bestie…”.

Parole dure, scritte all’indomani della tragica storia di Rosarno (7-9 Gennaio 2010) quando alcuni “bravi ragazzi” hanno sparato contro gli africani, i quali, stanchi di tanti soprusi, si sono ribellati. Ne è nata una vera e propria rivolta (basta vedere le immagini nel DVD Le arance di Rosarno).

“Ci hanno sparato addosso per gioco o per l’interesse di qualcuno – hanno scritto -. Non ne potevamo più. Coloro che non erano feriti da proiettili, erano feriti nella loro dignità umana, nel loro orgoglio di esseri umani… Siamo invisibili per le autorità di questo paese”.

Ci sembra doveroso in questo contesto ricordare padre Carlo D’Antoni, parroco di Bosco Minniti (vicino a Cassibile), che accoglieva nella sua parrocchia i migranti: è stato arrestato perché accusato di aver firmato attestati di ospitalità che consentono ai braccianti di avere un tetto. E ora lo attende il processo!

Stessa situazione nella baraccopoli di S. Nicola a Varco, comune di Eboli (Salerno), dove un migliaio di braccianti maghrebini vivevano in una situazione di grande degrado umano. Il 19 Novembre 2009 questi immigrati, impegnati in lavori agricoli nella Valle del Sele, sono stati cacciati e la baraccopoli demolita perché dichiarata non idonea (ed è vero!), ma senza offrire loro un altro posto dove andare a dormire. Inutili le proteste che abbiamo fatto al Prefetto ed al Questore di Salerno. Oggi non c’è più una baraccopoli a S.Nicola a Varco, ma abbiamo centinaia di braccianti che dormono dove possono nella valle del Sele.

Tutti questi braccianti sono forza lavoro, pagata a basso prezzo, alla mercé dei caporali che fanno poi da tramite alle mafie. E questo ci porta al dolente capitolo delle condizioni di lavoro.

Tra caporali e mafie

Il 26 aprile del 2010 ci sono stati, a Rosarno, una trentina di arresti, venti aziende agricole sequestrate e sigilli a duecento appezzamenti di terreno per un valore di dieci milioni di euro. E questo per l’inchiesta della Procura di Palmi (RC), nata in seguito alla rivolta di Rosarno .

Finiscono così in manette caporali e proprietari di agrumeti della Piana di Gioia Tauro, accusati di associazione a delinquere per lo sfruttamento della mano d’opera ed induzione all’immigrazione clandestina. Profittatori della disperazione dei braccianti stranieri, costretti a lavorare per pochi euro al giorno .

E’ l’Italia dei caporali, i boss del neoschiavismo che impongono la loro legge e fanno affari d’oro alle spalle di 60 – 70 mila immigrati braccianti che vivono in condizioni di degrado simili a quelle riscontrate a Rosarno.

Seconda la Flai Cgil, gli immigrati irregolari impiegati in agricoltura nel meridione sfiorano il 90%. Lavorano anche dieci ore al giorno e a volte la paga non arriva a 15 €. Le percentuali migliorano al centro (50%) e al Nord (30%).

Secondo la Confederazione Italiana Agricoltori, nei “luoghi della vergogna”, il 40% dei braccianti stranieri vive in edifici abbandonati e fatiscenti, oltre il 50% senza acqua potabile, il 30% senza elettricità, il 43% senza servizi igienici. I raccoglitori di verdura a cottimo hanno tra i 16 ed i 34 anni. L’80% non ha mai visto un medico.

Una nota a parte merita la provincia di Foggia, dove la raccolta dei pomodori è nelle mani del racket che paga gli immigrati 10 € al giorno.

Al Nord è l’edilizia l’altro terreno di conquista dei caporali. Qui un lavoratore su quattro lavora nel sommerso: 700.000 gli immigrati irregolari impiegati nelle imprese (in questo siamo al primo posto in Europa). Li troviamo all’alba a Milano a Piazzale Lotto o a Lambrate che chiedono una giornata in cantiere. Un manovale regolare costa 21 € all’ora, se c’è di mezzo l’intermediario è meno di metà. Il resto va al caporale. E al Nord i caporali sono sempre più egiziani, marocchini, rumeni o anche cinesi che gestiscono i loro connazionali sul lavoro e nella vita. Un altro capitolo vergognoso!

Respingimenti

Non sono bastate le leggi razziste, si sono aggiunti i respingimenti in mare nel corso dei quali migliaia di persone sono state rigettate, a rischio della loro vita, nei campi libici o nei loro paesi di provenienza, dove li attende un altro calvario.

 Come missionari/e siamo testimoni che questa spinta migratoria, proveniente dall’Africa, che tenta di attraversare il Mediterraneo, è dovuta alla tormentata situazione del continente nero, in particolare dell’Africa Orientale e Centrale. La situazione di miseria, i regimi oppressivi, le guerre in atto dell’Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Ciad sospingono migliaia di persone a fuggire attraverso il deserto per arrivare in Tunisia e in Libia , dove sono sfruttati come schiavi. Buona parte di questi immigrati sono rifugiati politici ed hanno diritto all’asilo politico, fra l’altro ricordato due volte nella nostra Costituzione. E qual è la risposta del governo? Chiudere le frontiere e bloccare questa ’invasione’. E per questo il governo Berlusconi ha stipulato accordi con la Libia e con la Tunisia. Il 5 gennaio 2009 il Senato italiano ha approvato il Trattato col governo libico di Gheddafi per impedire che le cosiddette ‘carrette’ del mare arrivino fino a Lampedusa o sulle coste italiane. Sono migliaia gli immigrati morti nel Mare Nostrum. Secondo uno studio di G.Visetti, giornalista di La Repubblica,dal 2002 al 2008 sono morti 42mila persone, trenta immigrati al giorno, ingoiati dal mare davanti alla fortezza Europa. (Senza dimenticare le migliaia di migranti che muoiono attraversando il deserto del Sahara)

Davanti a tali orrori, come si fa a firmare un Trattato con la Libia di Gheddafi, un vero dittatore, che tratta in maniera così vergognosa gli immigrati che vi arrivano? Come si fa ad armare con motovedette e tante armi (nel 2009 abbiamo venduto materiale bellico per un valore di 111 milioni di euro!), un paese che le usa contro gli immigrati? Lo stesso vale per la Tunisia, a cui nel 2009 abbiamo venduto armi per oltre 3 milioni di euro. Il 27 gennaio 2009 il ministro Maroni, si è incontrato con il suo omonimo tunisino per la stessa ragione, cioè il respingimento dei migranti.

L’Italia sta ora pagando voli aerei che partono dal nostro Sud, ma anche da Malta o dalla Libia e che riportano gli immigrati nel loro paese. Vuol dire portarli alla tortura o alla morte. Basta vedersi il filmato del giornalista dell’Espresso F. Gatti, “L’amico Isaia” e “Eritrea: Voices of torture” per rendersi conto di quanto tragica sia la situazione e quanto poco cristiano ed evangelico sia il comportamento del governo italiano.

Giustamente Famiglia Cristiana ha paragonato questi respingimenti alla Shoah.

A tal proposito il prof. Antonio Esposito dell’Orientale di Napoli, nel libro A distanza d’offesa, così si esprime: “Così finiscono gli uomini e le donne che non sbarcano più a Lampedusa. Bloccati in Libia dall’accordo Roma –Tripoli e riconsegnati al deserto. Abbandonati sulla sabbia , appena oltre il confine. A volte sono obbligati a proseguire a piedi. Altre volte si perdono. Cadono a faccia in giù, sfiniti, affamati, assetati senza che nessuno trovi più i loro cadaveri (come riporta F. Gatti nell’Espresso). L’Italia, come l’Europa, prova a costruire la sua fortezza. Le immateriali mura di recinzione sono erette con le carte che fanno le leggi, sono tenute insieme dai sentimenti di indifferenza, falso disdegno e disprezzo, propri del senso comune. Restano fuori donne, uomini, vecchi, bambini, partiti inseguendo un orizzonte di dignità”.

 Negazione dei diritti umani

E questi respingimenti avvengono non solo a largo delle nostre coste, ma anche nei nostri porti più importanti. Sappiamo di sicuro che nei porti di Ancona, Brindisi e Napoli sono migliaia gli immigrati che vengono respinti ogni anno. Ne abbiamo fatta esperienza diretta con i nove immigrati della nave ‘Vera D’, che ha attraccato a Napoli il 7 aprile 2010. L’ordine del ministro Maroni era perentorio: dovevano essere respinti!

“Questi respingimenti – ha detto Luigi Ferrajoli – all’incontro tenutosi nel 2009 a Lampedusa – sono illegali sotto più aspetti. Hanno violato, anzi tutto, il diritto di asilo stabilito dall’articolo 10 (comma 3) della Costituzione per lo ‘straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche’, giacché le navi italiane con cui gli immigrati vengono riportati in Libia sono territorio italiano, siano esse in acque territoriali o in acque extraterritoriali. E lo hanno violato doppiamente, giacché questi disperati vengono respinti in quei lager che sono i campi libici, dove sono destinati a rimanere senza limiti di tempo e in violazione dei più elementari diritti umani.

Hanno violato, in secondo luogo, la garanzia dell’Habeas Corpus, stabilita dall’articolo 13 (Comma 3) della Costituzione: questi respingimenti si sono infatti risolti in accompagnamenti coattivi, non sottoposti a nessuna convalida giudiziaria…

Infine sono state violate le convenzioni internazionali che l’Italia, nell’articolo 10 della Costituzione, si è impegnata a rispettare: l’articolo 13 della Dichiarazione Universale sui Diritti Umani sulla libertà di emigrare; l’articolo 14 della stessa dichiarazione sul diritto di asilo; l’articolo 4 del Protocollo 4 della Convenzione Europea sui Diritti Umani che vieta le espulsioni collettive”.

Con questi respingimenti siamo davanti ad una massiccia violazione dei diritti umani da parte del governo italiano.

La Navi Pellay, Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU , incontrando al Viminale il nostro Ministro degli Interni Maroni ha detto: “Gli immigrati non sono rifiuti tossici, vanno salvati e tutelati. E’ un obbligo per le autorità preposte salvare vite umane in pericolo”.

Ed ha poi aggiunto: “Gli immigrati non devono essere stigmatizzati né criminalizzati. Piuttosto vanno creati meccanismi in grado di stimolarne l’integrazione e l’inserimento nella società. I migranti non possono venir percepiti come una minaccia alla sicurezza perché questo non fa che incrementare le paure dei cittadini”.

Anche il rapporto 2010 di Amnesty International stigmatizza l’Italia come razzista.

La tratta

Un altro aspetto dell’immigrazione in Italia è la tratta delle donne per la prostituzione. Secondo stime attendibili, sulle strade abbiamo dalle 30 alle 50 mila ragazze nigeriane, vittime di questo traffico nel nostro paese. Senza parlare delle altre donne albanesi, romene, latino-americane…, che costellano le nostre strade per i nove milioni di italiani (il 70% di questi è sposato!) che comprano sesso per strada. E’ chiaro che questa tratta è il frutto di racket internazionali e mafie italiane che aggiungono sfruttamento a sfruttamento.

E anche vi sono delle responsabilità politiche ben precise .

“Come fermarli? – si chiede un missionario, padre Franco Nascimbene, che ha lavorato a lungo a Castelvolturno – è una situazione complessa, fatta da connivenze e corruzioni che solo le istituzioni, i governi e le polizie potrebbero affrontare efficacemente. Esistono già leggi che colpiscono coloro che sfruttano la prostituzione, tuttavia si ha l’impressione che manchi una decisa volontà politica di fermare la macchina infernale che produce schiavitù e distrugge il futuro di migliaia di ragazze.

  • - Se le istituzioni investissero maggiormente nell’attività investigativa, impiegando più uomini a pedinare madames. Sfruttatori, camorristi e mafiosi,
  • - se creassero più legami con le polizie di origine delle ragazze,
  • - se controllassero i flussi di denaro provenienti dalla prostituzione che escono dall’Italia attraverso la Western Union e altre agenzie ( come è stato fatto in altri campi, là dove c’era la volontà politica di fermare certe espressioni della criminalità), si potrebbe fermare o perlomeno rallentare la tratta di donne a scopo di prostituzione.

 Carceri

Per quanto riguarda il tema carcerario ci preme dire che il 37.1 % della popolazione carceraria è di origine straniera (24.922 su 67.452, al 21 aprile 2010) e sottolineare alcune problematiche specifiche connesse alla vita detentiva degli stranieri…per esempio difficoltà linguistiche, condizioni economiche disagiate anche a causa della lontananza delle famiglie di origine, l’assenza di una rete familiare e amicale… (Antigone,1(2009),25).

Pensiamo che, come missionari/e, incontriamo qui, in carcere, parte della realtà che abbiamo avuto modo di condividere altrove. Crediamo di poter offrire un contributo estremamente prezioso ed un possibile punto di riferimento dal punto di vista umano e spirituale ai/alle detenuti/e ed al personale penitenziario.

La voce profetica delle Chiese d’Africa

Ci conforta, come missionari/e, il fatto che i vescovi dell’Africa riuniti a Roma per il II Sinodo Africano (4-25 Ottobre 2009) abbiano avuto il coraggio di parlarne nei loro interventi in aula. Hanno affrontato questo argomento i vescovi: G. Martinelli (Tripoli, Libia), B. D. Souraphiel (Addis Abeba, Etiopia), W. Avenya (Makurdi, Nigeria), G. C. Palmer – Buckle (Accra, Ghana), G. ‘Leke Abegunrin (Osogbo, Nigeria) ed infine il Cardinal T. A. Sarr (Dakar, Senegal) (vedi Per un’Africa riconciliata – Memoria del II Sinodo Africano a cura di Anna Pozzi).

“Gli africani continueranno a venire in Europa – ha detto il vescovo W. Avenya – con tutti i mezzi, anche al prezzo di morire nel deserto o per mare, finché l’equilibrio economico ed ambientale tra Africa e resto del mondo non verrà ristabilito da chi ne è responsabile e cioè dall’Occidente!”.

Non meno esplicito l’arcivescovo di Addis Abeba, Souraphiel: “Spero che questo Sinodo per l’Africa sondi le cause che sono alla base del traffico di esseri umani, delle persone sfollate, dei lavoratori domestici sfruttati, dei rifugiati, dei migranti, specialmente degli africani che giungono nei barconi e dei richiedenti asilo e che sortisca posizioni e proposte concrete per mostrare al mondo che la vita degli africani è sacra e non priva di valore come invece sembra essere presentata e vista da molti media”.

Non meno pesante l’intervento del vescovo Abegunrin di Osogbo (Nigeria): “La voce profetica della Chiesa a favore dei poveri e degli oppressi non deve mai essere compromessa o sacrificata sull’altare di un’amicizia religiosa o di un tornaconto materiale”. Ed egli applica subito questo alla questione degli immigrati: “Una delle maggiori sfide che questo Sinodo dovrebbe affrontare è il destino di un gran numero di immigrati africani presenti in tutti i paesi dell’Occidente. Dall’inizio di questa crisi economica, molti paesi occidentali hanno elaborato leggi e strutture difensive a sostegno delle proprie economie. Purtroppo a questo scopo sono state varate leggi che si avvicinano molto a negare perfino i diritti umani degli immigrati. Soprattutto in Italia, l’immigrazione clandestina è diventata un reato!”.

E’ toccato poi all’arcivescovo di Dakar, il cardinal Sarr analizzare in profondità il fenomeno degli immigrati: “Vorrei sottolineare il carattere rivelatore del fenomeno della migrazione clandestina. L’avventura così rischiosa dei migranti clandestini è un vero e proprio grido di disperazione, che proclama di fronte al mondo la gravità delle loro frustrazioni ed il loro desiderio ardente di maggiore benessere.

Percepiamo noi questo grido di disperazione e lo lasciamo penetrare nel nostro cuore tanto da cercare di capirne il senso e la portata?”. E il cardinale conclude: “Sappiamo bene, infatti, che non sono le barriere della polizia, per quanto possono essere invalicabili, ad arrestare la migrazione clandestina, bensì la riduzione effettiva della povertà otterremo la promozione di uno sviluppo economico e sociale che si estenda alle masse popolari del nostro paese”.

E’ stato infine l’arcivescovo di Accra, Palmer – Buckle, a esprimere in un intervento pesante il “sentire” dei vescovi africani al Sinodo attaccando le tendenze xenofobe presenti in Europa che “considerano gli africani come se non avessero diritti”.

E con molta ironia ha concluso: “ Come fate voi europei a parlare di diritti umani universali?”

Ci impegniamo

Anche nell’ambito del fenomeno migratorio noi missionari/e ci proponiamo una lettura piena di fede e di speranza perché, al di là dei risvolti drammatici che spesso accompagnano le storie dei migranti, i loro volti e le loro vicende portano il sigillo della storia di salvezza e della teologia dei ‘segni dei tempi’.

La Chiesa difatti intende affermare la cultura del rispetto, dell’uguaglianza e della valorizzazione delle diversità, capace di vedere i migranti come portatori di valori e di risorse. Essa invita a rivedere politiche e norme che compromettono la tutela dei diritti fondamentali…esprime inoltre un forte dissenso rispetto alla prassi sempre più restrittiva in merito alla concessione dello ‘status’ di rifugiato e al ricorso sempre più frequente alla detenzione e all’espulsione dei migranti.

La presenza dei migranti in mezzo a noi ci ricorda che, dal punto di vista biblico, libertà e benessere sono doni e come tali possono essere mantenuti solo se condivisi con chi ne è privo. I fondamenti del rispetto e dell’accoglienza dei migranti sono contenuti, per noi credenti, nella Parola di Dio (Vegliò, oc.).

Per questo

  •  Invitati dai documenti del magistero vogliamo imparare a leggere le Migrazioni come ‘un segno dei tempi’ per la Chiesa e la Società.
  • Facciamo nostre le affermazioni dei Vescovi africani del II Sinodo dell’Africa (Roma 5-24 ottobre 2009).
  • Stiamo dalla parte degli immigrati, la nostra è una scelta di campo: la scelta degli ultimi.
  • Crediamo che non sia sufficiente denunciare. Come Istituti Missionari, inseriti nelle Chiese locali, siamo chiamati ad agire mettendo a disposizione personale adatto ed il supporto di strutture adeguate per un lavoro con gli immigrati, privilegiando il lavoro congiunto con la commissione Migrantes a livello nazionale e locale.
  • Sollecitiamo la CEI a redigere un documento che, oltre la denuncia della deriva culturale rispetto al tema migratorio, offra gli opportuni orientamenti alle comunità cristiane.

Noi missionari/e crediamo fermamente, come diceva il grande vescovo-martire di Oran (Algeria) Pierre Claverie, che non c’è umanità se non al plurale.

Conferenza degli Istituti Missionari Italiani (CIMI)

Commissione di Giustizia, Pace e Integrità del Creato della CIMI.

Per adesioni, scrivi a

fernando.zolli@gmail.com

Apre il “Cortile dei gentili”- Invito ad entrare

Comunicazioni Sociali, Senza categoria | Posted by usmionline
lug 08 2010

L’iniziativa di proporre luoghi di dialogo fra credenti e non credenti ha il nome di ‘Cortile dei gentili’: un’immagine suggestiva proposta alla riflessione collettiva. L’idea e la formula sono di Benedetto XVI, che qualche giorno prima dello scorso Natale si rivolgeva alla curia romana con le seguenti parole:

Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di ‘Cortile dei gentili’ dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto.

 Il cortile al quale il papa si riferisce si trovava nel tempio di Gerusalemme, riadornato da Erode e terminato pochi anni prima che Tito lo distruggesse. In quella maestosa struttura, dopo le porte e i portici, c’era l’Atrio dei gentili: uno spazio al quale potevano accedere i pagani in visita a Gerusalemme, dove stavano quei venditori e cambiavalute che Gesù scaccia. Oltre una balaustra che delimitava l’Atrio era il cuore del tempio con i luoghi destinati al culto e al sacrificio.

Il primo effetto concreto prodotto dalle parole del Papa è la fondazione denominata appunto Cortile dei gentili a cui il Pontificio consiglio della cultura, presieduto dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi, ha dato vita per aprire un dialogo serio e rispettoso tra credenti e non credenti, che tenga anche conto dei diversi ateismi, non riducibili, oggi, a un unico modello.

L’idea non è del tutto nuova. Dopo il Concilio Vaticano II infatti era stato creato, ed era durato qualche anno, un segretariato per i non credenti affidato allora al cardinale austriaco Franz Kỡnig. Il cardinale Martini poi, a Milano, aveva indagato sullo spazio della spiritualità dei senza Dio con la ‘cattedra dei non credenti’.

Ora l’iniziativa rispunta nella forma più solida di un Consiglio pontificio. Così, proprio mentre la magistratura italiana fruga negli affari della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli negli anni in cui ne era prefetto il cardinale Crescenzio Sepe, in Vaticano nasce un nuovo, più sobrio ufficio dedicato a un altro tipo di evangelizzazione: non nelle terre di missione, ma nei paesi di antica cristianità in cui la fede si è più affievolita o è scomparsa.

Rapporto fra comunità credente e umanità in ricerca

Il dramma dell’epoca moderna non è la mancanza di Dio, ma il fatto che gli uomini non soffrano più di questa mancanza, e perciò non avvertano più il bisogno di superare l’infinito dolore della morte. In gran parte dell’Occidente sembra esserci oggi un’indifferenza assoluta, ben sintetizzata da Charles Taylor quando afferma che se Dio venisse oggi in una nostra città, l’unica cosa che succederebbe e che gli chiederebbero sono i documenti.

Ma l’uomo è abitato da una fame e da una sete forse sconosciute a se stesso: è fame di verità, di libertà profonda, di amore gratuito. Base del confronto nel cortile dei gentili, ha spiegato Ravasi, sarà perciò una visione complessiva dell’uomo, con l’obiettivo di scoprire consonanze e armonie. Senza attesa naturalmente di conversioni o inversione di cammini esistenziali. Certo è necessario deporre i linguaggi solo autoreferenziali e allora, insieme ad un’umanità spesso troppo curva solo sull’immediato, sulla superficialità e sull’insignificanza, alzare insieme lo sguardo verso l’Essere nella sua pienezza.

L’incrocio tra voci diverse può avvenire attorno a temi comuni (anche se affrontati e risolti con esiti eterogenei!): bene e male, amore e dolore, verità e menzogna, pace e natura, trascendenza e immanenza. E ancora: etica, antropologia, spiritualità, domande ultime su vita e morte. Per questa via si può giungere alla domanda sul Dio ignoto, di cui Paolo parlava nell’Areopago di Atene. Un po’ come suggeriva padre David Maria Turoldo: Fratello ateo, nobilmente pensoso, alla ricerca di un Dio che io non so darti, attraversiamo insieme il deserto…

La Chiesa rilancia la nuova evangelizzazione nei Paesi di antica fede 

Il primo cortile di credenti e atei aprirà a Parigi. La data dell’inaugurazione è già fissata per il 24 e 25 marzo 2011 con un convegno internazionale in tre sedi volutamente slegate da ogni appartenenza religiosa: la Sorbona, l’UNESCO e l’Académie Française. La fondazione ha in programma di organizzare ogni anno un grande evento per affrontare, di volta in volta, un tema incentrato sulla religione in rapporto a società, pace e natura.

A guida di questo dicastero per una nuova evangelizzazione delle Chiese di antica fondazione, il papa nomina come Presidente l’arcivescovo Rino Fisichella. Quella del papa è una sfida che viene da lontano: dall’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI fino alla nuova evangelizzazione evocata per la prima volta da Wojtyla a Nowa Huta, la città operaia polacca che sembrava essere stata costruita per escludere la presenza di Dio fra gli uomini.

Con la fede in Dio nulla è impossibile

È la sfida per i cristiani a concepire se stessi come una minoranza creativa che riporti all’Occidente la sua eredità. La strada del dialogo e del reciproco scambio certo è lunga, ma il dialogo e lo scambio sono possibili e sono già anche una realtà.

Ne viene per i cristiani l’impegno a rinvigorire quella fedeltà incarnata che sa incrociare il cammino di vita dell’altro, accettando di diventare compagni di strada, disposti a dividere e condividere il pane della propria avventura umana per darsi – reciprocamente – una possibilità di umanità. Ed essere così catapultati nella logica del regno di Dio, che viene in mezzo a noi per rivoluzionare il nostro modo di intendere la vita.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

2010-2020: passione educativa in azione

Società | Posted by usmionline
lug 01 2010

Risvegliamo la passione educativa…La sete che i giovani portano nel cuore è una domanda di significato e di rapporti umani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita. (Benedetto XVI ai vescovi)

Due anni sono passati da quando Benedetto XVI denunciò la profondità dell’emergenza educativa. In una modernità fatta di linguaggi non sempre riconducibili ai vocabolari è un mondo nuovo -del virtuale e dei media- che si modifica a velocità impressionante coinvolgendo le nostre vite. Tutto oggi rende incerta qualsiasi opera educativa: profondi cambiamenti familiari con la loro incidenza sul vissuto esistenziale e sul processo di crescita; precarietà e diversità di riferimenti culturali; luoghi ed esperienze di vita che non sono più in grado di attivare relazioni interpersonali significative; isolamento e solitudine in aumento. In tale mondo l’educazione effettivamente va ripensata con passione e intelligenza pedagogica, perché per sua natura educare comporta creatività e innovazione.

La lezione audace di Benedetto XVI

Nel suo discorso ai vescovi, riuniti il 28 maggio scorso per la loro 61ma Assemblea generale, Benedetto XVI denuncia una crisi culturale e spirituale altrettanto seria come quella economica.

E la Cei, come chi, davanti a una casa instabile, decida di mettere mano alle fondamenta, mette l’educazione al centro della pastorale della Chiesa italiana dei prossimi dieci anni.

Gli Orientamenti pastorali, approvati dai vescovi per il decennio 2010-2020, saranno resi noti nei prossimi mesi.

Educare non è altro che rispondere alla domanda di senso che nasce da un incontro con la realtà. È coltivare il desiderio che spinge ognuno verso il reale, oggi sempre più multiculturale, per cui l’educazione o sarà interculturale o non sarà affatto. È, in fondo, un contagio di passione per l’uomo. Quella passione che il Papa chiede di risvegliare nelle nostre comunità e che non si risolve solo in una didattica.

A volte sembriamo vivere una strana resistenza a trasmettere ciò che abbiamo di buono e prima di tutto il senso del vivere. Come se l’anello fra le generazioni si fosse incrinato. Cosa è stato a infrangere una trasmissione antica, di padre in figlio, così che i padri balbettano e i figli sembrano spesso incapaci di continuarne la storia? Radice culturale di questo male oscuro, sottolinea a braccio il Papa, è una falsa idea di autonomia dell’uomo, come di un io completo in se stesso. L’uomo invece è creato per il dialogo e solo l’incontro con il Tu e il noi apre l’io a se stesso. Educare è suscitare la passione dell’io per ciò che lo circonda: per l’altro, per gli uomini, per il creato, per Dio. Se abbandonassimo questo a favore della neutralità staremmo fondamentalmente abbandonando l’educazione: abbandoneremmo cioè ciò che è necessario per essere pienamente umani. E i figli disorientati, in questo humus ereditato continuerebbero a cercare una direzione e degli argini senza trovarli, come un fiume smarritosi sulla strada del mare.

Educare non si risolve in una tecnica

Educare oggi richiede la capacità di comprendere che c’è una sfida in atto che è da raccogliere per poter divenire anelli di raccordo tra presente e futuro evitando così che si creino voragini tra generazioni. La sfida è coniugare i valori  basilari della convivenza, frutto della nostra storia, con la modernità fatta appunto di velocità ben diverse da quelle attribuite alla storia.

Educare è un atto di amore nel quale l’educatore offre tutto se stesso nella testimonianza di quella verità che egli già vive e che presenta alla libertà dell’educando. Se l’educazione non è incontro di libertà inevitabilmente essa si trasforma in fondamentalismo. Il migliore antidoto al fondamentalismo è l’educazione… non qualsiasi educazione, ma che sappia tenere insieme verità e libertà. (card. Scola)

La proposta cristiana quindi passa attraverso relazioni di vicinanza, lealtà e fiducia. Richiede un rapporto che riconosca il valore dell’altro e dove l’altro non diventi schiavo delle proprie idee, ma sia persona che l’educatore accompagna al suo destino. Non si tratta di adeguare il vangelo al mondo, ma di attingere dal Vangelo quella perenne novità, che consente di trovare in ogni tempo le forme adatte per annunciare la Parola che non passa, fecondando e servendo l’umana esistenza.

Il primo problema di tutti oggi è quello di identificarsi, di interpretare se stessi e in un certo senso fissarsi. Ma la stabilità è una dimensione soprattutto interiore e soggettiva. Forse è semplicemente la capacità di tenere fede ad alcuni principi fondamentali: rispettare se stessi e gli altri, comunicare in maniera onesta, limitare la propria libertà individuale in nome di un bene collettivo superiore, sviluppare una tolleranza reciproca, esprimere in libertà le proprie opinioni…

In questo senso la famiglia, le scuole, gli oratori, le parrocchie sono luoghi ideali in cui è possibile imparare davvero a conoscere se stessi e gli altri, convivere con loro e, puntando su valori comuni, affrontare nel modo giusto il mondo liquido in cui viviamo.

Qualche orizzonte per l’oggi

I giovani hanno bisogno di una compagnia sicura e affidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezza e rispetto, proponendo valori saldi a partire dai quali crescere verso traguardi alti, ma raggiungibili (Benedetto XVI). È necessario quindi aprire la possibilità di

-         un dialogo con i giovani, che sia anche progettuale, che li consideri veri soggetti di relazione autonoma: con il Signore, con la vita e quindi con la propria scelta di essere educati. Un dialogo che duri nel tempo, che non sia fragile e che sia credibile.

-         un dialogo permanente tra le generazioni, che permetta a entrambe di esprimere il proprio sentimento (o ri-sentimento), esplicitando quindi anche le proprie aree di esasperazione. È implicito che dare voce implica desiderare di ascoltare la voce altrui.

-         tendere sempre a condividere le differenze come esperienza della ricchezza umana nella reciprocità delle differenze.

E muoversi  così insieme verso il prossimo decennio: sapendo che il processo educativo non è un fenomeno vistoso; utilizzando strumenti che forse non fanno notizia e senza mai perdere la fiducia nei giovani. Ma pronti anche a mettersi e rimettersi in gioco, impegnati  a lasciarsi guidare dallo Spirito verso ciò che siamo: amore verso tutti e verso tutto, a somiglianza del Padre, al quale Gesù ha chiesto di farci perfetti, perduti nell’unità (Gv 17, 23).

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it