Affamato di colori, di voci d’uccelli. Assetato di parole buone, di compagnia… Stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare. Chi sono io? Oggi sono uno, domani un altro. Sono tutt’e due insieme? (Dietrich Bonhoeffer)
La questione fondamentale, oggi come ieri, resta quella antropologica. Che cos’è l’uomo? da dove viene? dove deve andare? Come deve andare? (Benedetto XVI)
Un numero senza precedenti di sacerdoti l’11 giugno si è radunato in Piazza S. Pietro, intorno all’altare della celebrazione presieduta dal Papa a chiusura dell’anno sacerdotale, in una visibile coralità, icona della collegialità indispensabile del sacerdozio ordinato. Benedetto XVI ricorda il senso profondo del sacerdozio, che non è una conquista umana, o un diritto individuale; non è un ufficio che eroga prestazioni per il bisogno sociale di un po’ di religione. Racconta invece dell’amorosa audacia di Dio che affida se stesso agli uomini, pur conoscendone bene la fragilità. Grandi benefici sono venuti e verranno alla Chiesa dall’Anno Sacerdotale –dirà ancora il Papa-. Nessuno potrà mai misurarli, ma certamente se ne vedono e ancor più se ne vedranno i frutti.
L’anno sacerdotale quindi si è concluso. Un anno opportuno e sofferto, in cui è stato piantato il seme del rinnovamento interiore dei sacerdoti. Un tempo di grazia in una stagione storica ricca di sfide e dolori ma anche di speranze. Un’occasione per tutti per non accontentarsi di idee approssimative e confuse sul sacerdozio, per riscoprire il dono immeritato che Dio ci ha fatto nel Battesimo.
Qualche riflessione…
Sacerdozio del cuore
Il sacerdozio della nuova alleanza è realtà splendida e dono straordinario di Dio. Un sacerdozio del cuore, stabilito cioè nel cuore umano di Cristo: nel suo mistero, il sacrificio/offerta non è rituale, ma personale. Cristo sostituisce il culto antico (rituale, esterno, convenzionale) con il culto personale, esistenziale, reale. Egli porta alla perfezione le due relazioni che sono indispensabili per l’esercizio della mediazione sacerdotale: la relazione con Dio resa perfetta per mezzo dell’obbedienza fino alla sua morte di croce; e la relazione con gli uomini, resa perfetta per mezzo della solidarietà. A queste due relazioni Gesù, sommo sacerdote, introduce anche gli uomini, nei confronti dei quali è mosso principalmente dalla misericordia.
Il ministero di Gesù infatti è stata una rivelazione continua di misericordia verso i malati, gli ossessi, gli ignoranti, i poveri, i piccoli e, cosa più sorprendente di tutte, verso i peccatori. Tre le sue attività: guarire, nutrire, insegnare. Tutte ispirate dalla misericordia.
Al sacerdozio di Cristo corrisponde il sacerdozio di tutti i cristiani, invitati nella loro stessa esistenza ad accostarsi a Dio con la trasformazione di tutte le circostanze della loro vita nella carità e in offerta spirituale.
Essi però non sono capaci di attuare da soli tale trasformazione dell’esistenza: solo uniti a Cristo e aprendo all’azione trasformante di Dio la propria esistenza concreta possono riuscirvi. E poiché tutto ricevono per mezzo di Cristo, devono continuamente offrire, attraverso di lui, un sacrificio di lode, un’eucaristia.
Per vivere in modo più consapevole e attivo questo sacerdozio, forse ci è necessario comprendere di nuovo come la sua realtà sia comunicata alla Chiesa sotto due forme distinte e complementari: il sacerdozio comune e quello ministeriale.
Sacerdozio comune
Ogni vocazione ha nel Battesimo la sua origine e il suo alimento.
Tutti i cristiani, per essere veramente tali, sono chiamati ad esercitare il sacerdozio comune, che è veramente di tutta la Chiesa, senza escludere i ministri di Cristo, e in questo tutti siamo fratelli e popolo santo di Dio. Chi non esercita il sacerdozio comune non ha un’unione personale, esistenziale con Cristo. Questo sacerdozio esistenziale deve permeare anche gli atti ministeriali.
Il sacerdozio comune è umile perché deve riconoscere di non bastare a se stesso, di aver bisogno di una mediazione: ha bisogno di ricevere l’amore che viene da Dio attraverso gli atti di Cristo, resi presenti attraverso il sacerdozio ministeriale. Però è grande il sacerdozio comune, perché è offerta reale, è culto autentico, è trasformazione nell’esistenza. È indispensabile perciò uscire da quello strano ed errato atteggiamento interiore che fa sentire il laico più “cliente” che compartecipe della vita e della missione della Chiesa.
Sacerdozio ministeriale
Il sacerdozio ministeriale è sacramento della mediazione unica di Cristo, segno e strumento di Cristo mediatore. E’ al servizio (ministeriale=al servizio) del sacerdozio di Cristo, da una parte, e del sacerdozio comune, dall’altra parte. Certamente non è da vivere come un “potere” o un privilegio. E’ indispensabile perché senza questo mezzo di congiunzione l’esistenza dei cristiani non sarebbe effettivamente in relazione con la mediazione di Cristo e non potrebbe quindi essere trasformata dalla carità divina.
Due aspetti complementari, quindi, di partecipazione al sacerdozio di Cristo: da un lato l’offerta, dall’altro la mediazione; da un lato la realtà della vita, dall’altra il segno di una realtà. Mitezza e umiltà di cuore sono le qualità del sacerdote autentico, del sacerdote nuovo. Il sacerdozio ministeriale, tutto al servizio di questa nuova alleanza, non può sussistere senza un rapporto vivo e vivificante con il cuore di Cristo, centro della nuova alleanza.
In tutti e due i casi si tratta di un’esistenza reale, trasformata grazie alla docilità allo Spirito Santo. Si tratta di assumere, secondo l’ispirazione dello Spirito di Dio, tutte le responsabilità concrete, personali, familiari, sociali, nazionali e internazionali, in maniera da ottenere una comunione sempre più larga e profonda con Dio e tra gli uomini.
La distinzione giusta tra sacerdozio comune e quello ministeriale dà a tutti il senso della loro dignità e responsabilità e permette la crescita della comunione.
Luciagnese Cedrone
NOTA: Per approfondire l’argomento cfr Albert Vanhoye, Cristo e l’uomo. Nella prospettiva della Lettera agli Ebrei, Ed. Apostolato della Preghiera