Archive for dicembre, 2011

Davvero poco amore – tanto web?

Senza categoria | Posted by usmionline
dic 27 2011

La solitudine da cui si cerca di uscire  

 “Se ami sarai messo a morte, se non ami sei già morto”. Con questa sua suggestiva espressione Henry McCabe riassume la sfida che è tutto il Vangelo di Cristo e perciò anche il senso concreto di una profonda conversione a Lui. Eppure il dramma di questo momento storico è la solitudine, il deserto in mezzo alla gente. Soli mentre si è invasi da rumori, canali televisivi e distrazioni di tutti i tipi; mentre gli altri ti passano accanto e non ti vedono, come se tu fossi trasparente.

La depressione è l’immagine clinica di questa solitudine e oggi nel nostro Occidente è diventata un capitolo anche dell’adolescenza.

Che cosa significa concretamente ‘amare’ quando – di fronte ad un ambiente percepito come ostile o estraneo - si è presi dalla paura e dalla depressione? Quando si sperimenta in sé come una furia psicologica che spinge alla fuga dal proprio quotidiano? O ci si trova a reagire in modo istintivo e violento nei confronti dell’ambiente, quasi a volerlo distruggere? E tutto questo forse senza neanche conoscere i sentimenti veri che dall’intimo muovono la persona in tale direzione…

Le necessità che spingono online

Voglia di esser connessi. Richiesta di legami; bisogno di sentirsi parte di una comunità, anche se solo virtuale e sognata… La popolazione, che in Italia sta ore ed ore con gli occhi sgranati davanti al pc, è formata per l’80% di giovani fra i 12 e i 14 anni. È la ‘generazione bit’, che impara prima a chattare e poi a scrivere.

Ma il segmento di popolazione che sui social network oggi cresce più di tutti è quello degli anziani. Si tratta di una crescita vertiginosa, soprattutto in questo ultimo anno. La conferma viene dai dati ufficiali nazionali, per i quali ogni clik non è solo pulsante premuto su una tastiera, ma piuttosto un vuoto d’interazione nel quotidiano, che la persona cerca di colmare davanti a uno schermo.

Lo sbarco dei padri nel pianeta dei figli…

Secondo il sociologo Zygmunt Bauman, il cittadino globale oggi è alla ricerca di spazi nuovi dove esorcizzare il destino della solitudine. Ed è proprio di questi giorni la notizia che Facebook - luogo d’incontro online – ha superato Google, che è luogo di ricerca online. Facebook sembra nato per essere una nuova agorà soprattutto per la terza età.

Gli over 60 oggi inviano e ricevono e-mail; consultano articoli dai giornali; controllano il conto in banca; visitano siti istituzionali di comuni, province e ministeri; ottengono informazioni su aerei e treni. Soprattutto hanno scoperto che grazie alla rete possono restare in contatto con figli e nipoti, ritrovare vecchi amici, stare in compagnia pur trovandosi soli in casa… E anche se le ‘amicizie’ online si rivelano semplicemente “contatti”, finestre passive che si aprono su altre vite, rappresentano però pur sempre una speranza.

Certo il sentimento della solitudine comporta disagio, avvertito come una malattia da cui è necessario fuggire. Nuove insicurezze, nuovi bisogni… Così per guarire qualcuno pensa al gatto terapeutico, o fa ricorso al cane terapeutico E intanto quello della solitudine rimane uno dei fenomeni meno studiati e meno conosciuti dalla maggior parte della gente, forse perché affrontarlo richiederebbe una profonda analisi di sé e invece sembra molto più semplice non fermarsi a riflettere e distrarsi.

…e nel solipsismo telematico

Spesso si riempie il proprio tempo di appuntamenti con amici e conoscenti, si lavora come matti, ci si carica di impegni e di distrazioni… “Non ho tempo”, si ripete continuamente… come se altri avessero il compito di decidere ogni cosa per noi! Quando però lo stordimento (da lavoro o altro) lascia soli e incapaci di mentire a se stessi, le paure si mettono in fila a una a una, avviando talvolta, nel campo della salute mentale, a quella moderna forma di dipendenza, che è il solipsismo telematico. Si tratta della propensione nel comportamento a scegliere il web come luogo di rifugio in cui appartarsi per trovare sollievo dai problemi quotidiani. L’isolamento e l’eccessiva ricerca della presenza (anche virtuale) degli altri, possono già essere spie di questo malessere che chiede di essere riconosciuto ed espresso per poter essere guarito.

Ambulatorio per dipendenza da internet

Così due anni fa, al Policlinico Gemelli di Roma, è nato un ambulatorio per curare tale dipendenza da internet. Vi si ricerca e dibatte sulle conseguenze patologiche accusate dal popolo della Rete: emicrania, irrequietezza, insonnia, tachicardia… Ad oggi vi sono in cura trecento casi. Ogni malato vi è accompagnato ad imparare un uso intelligente di internet. Il che significa essere aperti a prendere il buono dalla rete; nello stesso tempo non mortificare, ma riattivare in sé la quotidiana fatica di “capire” interamente se stessi in ciò che ci si aspetta dagli altri e dai propri rapporti con loro. Perché è questo in realtà che offre una prospettiva nuova da cui guardare ciò che ci circonda e noi stessi.

Per una educazione preventiva alla rete…

Nessuna demonizzazione della tecnologia, quindi, o chiusura davanti alla modernità. Invece una ricerca scientifica che mira ad un patto di autoregolazione per un consumo razionale del mondo in versione www.

Gli anticorpi più efficaci da bulimia mediatica e sovraccarico da internet rimangono gli affetti, il bene ricevuto e donato attraverso gesti quotidiani e concreti… Riconoscere perciò la radice della propria  solitudine e distinguerne nel proprio comportamento i ‘frutti velenosi’ può fare di tale esperienza un’occasione di costruzione e di rinascita, una fonte preziosa per ritrovare momenti di intimità e di autenticità… se si è in cerca di autenticità.

…decifrare la propria solitudine

Si può per esempio ritrovarsi feriti e perciò isolarsi – con apparente indifferenza – a leccarsi le piaghe. O può capitare di avvertire intorno a sé chiusura e condanna da parte di qualcuno e mascherarsi per questo da vittime incomprese. O forse si è semplicemente immersi in quella esperienza tanto quotidiana e comune che è l’egoismo. Di esso ci si nutre, e così mentre si cerca unicamente il possesso o l’incondizionata approvazione dell’altro, ci si può anche illudere di offrire amicizia.

La vita che ci è affidata ci chiede ogni giorno qualcosa per potersi esprimere pienamente. Ci chiede di non lasciarci distrarre da mille pretesti, da mille doveri da compiere, o da mille preoccupazioni e paure da esorcizzare. Perché in realtà solo se si è in grado davvero di essere soli – e soli con Dio – si è anche capaci di amare, di condividere e immergersi nell’essenza più intima di un’altra persona, senza volerla possedere e senza diventarne dipendenti.  

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

IL NOSTRO NATALE

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dic 19 2011

 

 “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “regna il tuo Dio” ( Is. 52,7 – 10). 

La liturgia della “Messa del giorno” del 25 dicembre è attraversata da profondo stupore e da grande gioia.

 E’ nato un bambino!

Un figlio ci è stato donato!

Una voce!

Le sentinelle insieme esultano!

Prorompete in canti di gioia rovine di Gerusalemme!

Sì, perché un giorno santo è spuntato tra noi; oggi una splendida luce è discesa sulla terra!

La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Viene nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 

Un bambino, un dono, una voce, una luce nelle tenebre.

 Nella fragilità degli elementi, accade l’evento che cambia le sorti del mondo.

La sproporzione spaventa e stupisce, ma anche fa gioire, fa gridare di gioia, fa correre, fa cantare, trasforma in messaggeri della buona notizia, e… tutti i confini della terra vedono  la salvezza del nostro Dio.

Non possiamo celebrare il natale del Signore e non sentirci abitate dal desiderio bruciante,

dalla volontà e dal proposito di essere donne che diffondono la luce della Sua presenza salvifica in mezzo a noi.

Ma per questo è necessario permettere alle nostre fragilità di lasciarsi abitare da quel bambino, da quella voce, da quella luce…

E’ necessario entrare nell’Evento indifese, lasciando che il vero di noi stesse si impregni della VERITA’, che i nostri contorti sentieri entrino nella VIA, che  le nostre ideologie si lascino trasformare dalla VITA.

Da quel primo natale è preparata per noi la VIA la VERITA’, LA VITA.

Dobbiamo soltanto percorrerla, insieme ai nostri fratelli, con gratitudine immensa e con pace vera.

 Finalmente decentrate da noi stesse ed immerse in questa novità sconvolgente possiamo incontrare i fratelli donando loro  una possibilità sempre nuova; quella di contemplare e adorare quel Bambino che rinasce anche in loro, come Via, Verità e Vita.

Sia questo il Natale più bello per ogni donna che ha consacrato tutta la sua esistenza al Bambino che avrà sulle sue spalle il dominio, al Consigliere ammirabile, al Principe della Pace.

Buon Natale!

Sr Viviana Ballarin op

Presidente USMI Nazionale

Dal Pianeta Carceri

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dic 05 2011

In Italia si muore di carcere – Fragilità e contraddizioni della giustizia penale

…Leggi e istituzioni penali possono dirsi veramente umane se operano in funzione dell’affermazione e dello sviluppo della dignità del colpevole. L’obiettivo  è il recupero, non la pena in sé. Ma siamo veramente capaci di pensare il colpevole come persona da rispettare, salvare, promuovere ed educare? (C. M. Martini).

Il carcere è una realtà che ci riguarda tutti perché tutti siamo impastati di bene e di male; eppure è certo che nessun male può snaturare o svalorizzare la dignità umana. Che in Italia le carceri – con tutto ciò che ad esse è collegato – siano in una situazione vicina al collasso è noto da tempo; ma questo importa davvero a qualcuno? D’altra parte forse per qualcuno è facile riconoscere un proprio simile, in tutto e per tutto, nella persona che si macchia di certe colpe gravi? 

“Mentre mi arrestavano mi hanno pestato”. Sono parole che echeggiano pesanti dopo la morte sospetta di Cristian De Cupis, da molti considerato già il nuovo caso Cucchi. ‘Un arresto difficile con un esito inaspettato’, la prima ricostruzione dei fatti.

La giustizia in Italia: promessa o miraggio?

Nel nostro Paese non c’è la pena di morte, eppure la ‘questione carcere’, per i fatti che in esso accadono, è drammatica e per questo tanto più urgente. Vi si muore a volte per le percosse subite; altre volte per cure mediche non ricevute; sempre più spesso di suicidio. C’è una stretta relazione fra l’alto tasso di suicidi (anche di agenti della polizia penitenziaria, non solo di detenuti!) e le condizioni disumane in cui sono costrette i rinchiusi: celle minuscole, carenze igieniche e strutturali, risorse insufficienti, sovraffollamento in crescita, carenza di personale… con tutte le conseguenze immaginabili.

Questione di dignità in una democrazia avanzata

Occorre accompagnare il detenuto perché sappia ricostruire la propria vita. Non solo tenerlo in una cella. Invece, soffocati come sono da un affollamento che rende impossibile ogni possibilità di reinserimento sociale, i nostri istituti penitenziari facilmente diventano non un luogo di redenzione, ma, per tanti, una nuova scuola di delinquenza. Questo accade in una democrazia avanzata che annovera tra i valori primari della sua Carta Costituzionale il principio secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il male va sempre segnalato e sanzionato e non taciuto o ignorato. Ma il diritto di vivere come “esseri umani”, insieme al rispetto della persona, che è valore fondamentale della nostra civiltà occidentale, devono essere garantiti anche negli istituti penitenziari. Il nostro Parlamento certamente è responsabile di omissione in questa materia. La questione rimane aperta come una ferita dolorosa. Eppure basterebbe cominciare con una riforma seria del codice penale che tolga la prigione per i reati meno gravi.

Giustizia come armonia sociale: appelli inascoltati

Molti sono gli allarmi e gli appelli – rimasti purtroppo finora inascoltati – che da più parti denunciano una situazione giunta ormai a livelli di disumanità. Per tutti citiamo il più autorevole, che è venuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In occasione del convegno “Giustizia! In nome della Legge e del Popolo sovrano” nel luglio scorso ha denunciato “una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana – fino all’impulso a togliersi la vita – di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell’estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari. Inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona”. Ma  anche questo richiamo è stato accolto da una generale indifferenza dell’opinione pubblica.

 “Non c’è uomo per quanto reo di colpe, che non possa essere recuperato”

In carcere ci sono i detenuti e, insieme a loro: guardie carcerarie, militari, cappellani, volontari; suore che vivono qui per essere più vicine alle sofferenze di cui sono testimoni; suore come Enrichetta Alfieri, beatificata nel giugno 2011, detta la madre dei carcerati e definita dal non credente Indro Montanelli epicentro di ogni speranza nel carcere milanese di San Vittore. C’è anche chi radicalmente scosso dalla realtà del carcere e dalla compassione di alcuni esseri umani, si avvia a un vero processo di conversione. Non meraviglia questa potenza di Dio, legata spesso alla conoscenza della Parola e all’esperienza di un amore umano incondizionato e gratuito.

Cosa hanno da dire i cristiani?

Là dove cresce il dolore è terra benedetta. Un giorno o l’altro, voi tutti riuscirete a capire cosa significa questo (Oscar Wilde). Per dirla in altri termini: occorre un cambio di mentalità che può nascere solo da una conversione del cuore. È facile per tutti, per esempio, confondere la domanda di sicurezza con quella di “più galera per tutti”. Il problema è complesso, ma certo la realtà del carcere, così come è oggi, più che garantire, insidia la sicurezza di tutti.

Quello che ebbe a dire Martin Luther King a suo tempo Non temo le cattiverie dei malvagi; temo piuttosto il silenzio dei giusti, rimane valido anche oggi. Ci è chiesto di uscire dal torpore e di acquisire una consapevolezza nuova della realtà. Non esistono persone solo negative o unicamente capaci di fare il male, identificabili perciò nel reato; in ognuno convive frumento buono mescolato a zizzania. Ed è compito del cristiano ricordarlo: a se stesso e agli altri. La giustizia della Croce non toglie il male dal mondo, ma lascia i problemi affidati alla nostra libertà e responsabilità. Il valore grande di ogni persona, diventato memoria del cuore, orienterà e muoverà ognuno ad agire di conseguenza. 

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it