Archive for maggio, 2010

Infanzia muta, negata e violata

Giornate Mondiali | Posted by usmionline
mag 26 2010

 «Forse l’amore non basta per svegliare un bambino al mattino, per vestirlo, nutrirlo e metterlo a letto. Eppure chi può immaginare un’infanzia priva di amore?»

           (da Il bambino di Hope, di Andrew Bridge)

In tutto il mondo si calcolano 100 milioni -e secondo alcune stime anche 200 milioni- di bambini abusati, violati dalla guerra, arruolati come soldati nei tanti conflitti e privati di ogni elementare diritto. Niente scuola, niente giochi, niente infanzia.

Il nuovo rapporto dell’Onu, Children and Conflict in a Changing World, sui bambini e la guerra, fotografa una situazione agghiacciante dove sempre più piccoli innocenti, soprattutto nel terzo mondo ma non solo, ogni anno diventano vittime di arruolamenti forzati, detenzioni illegali e sfruttamento sessuale.

Le cronache recenti hanno ampiamente dato spazio agli abusi sessuali perpetrati su minori da parte di membri del clero della Chiesa cattolica, particolarmente in Irlanda e Germania, ma anche in Italia. Ci ha commosso la posizione di Benedetto XVI, che non ha gridato al complotto né si è difeso dietro le statistiche, ma ha parlato del “terrificante” fenomeno presentandolo come una persecuzione che viene dall’interno della Chiesa ed ha pianto, sofferto e offerto consolazione alle vittime. Ci ha mostrato, così, con forza il volto di una Chiesa che sa vedere le profondità delle miserie umane e non ha vergogna di chiamare le cose con il loro nome, anche se è ignobile e criminale.

Esistono questi bambini violati in un mondo che vuole definirsi civile e che proclama a piena voce la sua posizione a tutela dei diritti umani universalmente riconosciuti. Sempre spaventosamente silenziosa rimane invece la coscienza di chi non interviene a interrompere questa moderna strage degli innocenti e per ignoranza, paura o interesse, preferisce pensare che basti cercare di proteggere i propri bambini dalle insidie di internet, senza occuparsi di quelli che sono schiavi di un mercato criminale di impensabili proporzioni e ferocia. Bambini vittime due volte: della brutalità di chi viola la loro infanzia, e della cecità e indifferenza di chi non si accorge di loro.

La Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, che si festeggia il 12 giugno, è dedicata a loro, che rappresentano il futuro dell’umanità.

In questo nostro tempo tutto fluisce veloce e i punti stabili di riferimento sono sempre di meno. È necessario ritrovarli, più dentro che fuori di noi, per essere adulti maturi in grado di porsi davvero come termine di confronto per le giovani generazioni. L’adulto infatti è una risorsa che va liberata in funzione del bene comune. Dentro e fuori la Chiesa. L’emergenza educativa in questo senso è un problema che riguarda proprio tutti. Ma nel tema è insito un inestricabile nodo: educare è indispensabile/educare è irrealizzabile? O: educare si deve/ma si può? A dieci anni dall’entrata in vigore della Convenzione sul divieto del lavoro minorile, che fare? Quale discernimento? Quale proposta?

Certamente il territorio per i cristiani è lo spazio in cui essi, innestati nella comune vicenda dei popoli, sono chiamati a vivere la storia senza evasioni e ad esercitare la propria responsabilità per edificare la polis insieme agli altri uomini.

L’impegno è quindi a ritrovare, attraverso spazi di confronto e di esperienza, quella capacità di interpretare la storia, che fa riscoprire la gratuità e il servizio del prossimo come una via per incontrare Cristo e come strada per la felicità. Per tutti.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

LA NOSTRA PENTECOSTE

Senza categoria | Posted by usmionline
mag 21 2010

“Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù”. (Atti 1,14)

 

Gli eventi della Pasqua hanno sconvolto la vita degli apostoli e dei discepoli di Gesù: la tomba vuota; le apparizioni nel cenacolo a porte chiuse o sulla sponda del lago o sulla barca di Pietro; la promessa di un Consolatore; il saluto e la sua scomparsa tra le nubi nel cielo; il mandato di andare in tutto il mondo ad annunciare quello che avevano visto e udito.

La mente umana è troppo piccola per comprendere, soprattutto quando è così logico pensare che con la morte tutto è finito per Gesù, che probabilmente non è lui il liberatore tanto atteso.

Questi fatti sono così assurdi e fuori dal normale! Tutto pare smentire la fiducia e la speranza in lui.

Nella comunità che si era raccolta attorno al Maestro serpeggia un clima di smarrimento e un senso di fallimento. «Credevamo che fosse lui il liberatore, ma ormai tutto ci dice che non è così».

 

Non viviamo forse anche oggi una situazione simile a quella degli apostoli?

 

Le situazioni pesanti e complesse, a volte molto oscure, che affliggono la  società e la Chiesa dei nostri giorni, ci sembrano davvero troppe. Tali situazioni potrebbero rafforzare anche in noi un lancinante senso di frustrazione, di disistima e di sospetto e trasformarsi, poi, in lamento o accuse per quel naturale atteggiamento polemico e proiettivo che a volte si scatena nella persona.

I discepoli, sgomenti dopo l’ascensione, salgono al piano superiore della casa, vivono insieme;  Maria e le altre donne sono là con loro: questa è la splendida testimonianza di Luca.

In un momento terribilmente difficile per la Chiesa delle origini, Maria e le altre donne sono là, insieme, assidue e concordi nella preghiera.

Assidue:  la loro presenza non è dunque saltuaria, ma costante.

Concordi nella preghiera: la loro è una presenza che favorisce l’armonia e l’unità nella piccola famiglia: armonia e unità intessute delle Parole di Gesù: di fede dunque e sicuramente di speranza.

E’ in questo ritmo e stile di vita che lo Spirito Santo irrompe con forza, penetra fin nelle fibre più intime di una comunità timorosa e spaurita e la trasforma in una coraggiosa chiesa abitata dalla carità e capace così di lanciarsi fino ai confini della terra, dove il maestro aveva promesso che sarebbe stato presente, accanto a lei, fino alla fine.

La paura lascia il posto alla certezza della presenza del Risorto là dove la chiesa è presente. E questo per sempre.

Maria e le altre donne stavano là

Ecco la nostra Pentecoste: essere presenti là dove la Chiesa è lanciata dalla potenza dello Spirito; essere là in silenzio forse, ma gridando con la forza della fedeltà e della speranza perché sappiamo che il Signore è risorto, è vivo ed abita in mezzo a noi.

Essere presenti nonostante tutto, senza lasciarci condizionare neppure dai peccati della chiesa; esserci perché il nostro Sposo è presente, perché si è fatto uno con tutti noi e noi vogliamo essere il suo prolungamento di amore casto là dove nessuno più crede che questo sia possibile; del suo amore obbediente là dove chi è mite è disprezzato; del suo amore povero là dove l’onestà e la trasparenza sono calpestate o non riconosciute.

La donna per la sua vocazione costitutiva è chiamata in ogni tempo ad essere presenza di sorella e madre, di fiducia e speranza soprattutto quando la fede dei fratelli vacilla; presenza di fedeltà contenta quando attorno a lei viene meno il senso di un impegno preso per Cristo; presenza di conforto e perdono quando il male ricevuto indurisce il cuore; presenza di pace e benedizione quando si crede con fatica che l’amore di Dio per noi è più grande del nostro peccato.

Anche oggi la Chiesa ha bisogno della  presenza di donne consacrate che abbiano il coraggio di essere assidue e concordi nella preghiera per favorire la pentecoste in mezzo ai fratelli, testimoni perseveranti della Pasqua del Signore e canali liberi perché l’acqua che scaturisce continuamente dalla Fonte possa correre limpida e abbondante anche se è notte. (cfr. Plenaria UISG 2010).

 

      M. Viviana Ballarin, op

Presidente USMI nazionale

Domande che attendono risposta

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
mag 17 2010

Essere testimoni digitali! L’invito rivolto a tutti i partecipanti del convegno che si è svolto dal 22 al 24 aprile scorso intitolato: «Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale». Questo invito si presenta per me come una sfida dai contorni non ancora ben delineati: come essere testimone missionaria in questo nuovo umanesimo digitale? Quali spazi per la parola del Vangelo nei social network e in quale modo annunciarla? Sono una giovane Missionaria dell’Immacolata (PIME) che lavora nel campo delle comunicazioni sociali e che tra qualche mese partirà per il Brasile. Ho partecipato al convegno con l’intento di ricevere un aggiornamento nel campo della comunicazione e di ritrovare colleghi e amici. Ne sono uscita con tante domande e con il desiderio di  continuare la riflessione sul mio impegno in questo campo.

Ho appreso con gioia i risultati della ricerca svolta da Chiara Giaccardi e dai suoi colleghi dell’Università Cattolica di Milano che hanno presentato un volto dei giovani “nativi digitali” meno negativo rispetto a quelli solitamente delineati; un volto che, nonostante tante fragilità, fa ben sperare per il futuro nella capacità di gestire i media e di non lasciarsi travolgere dal vortice comunicativo. 

Ho ascoltato con interesse gli interventi dei vari relatori e testimoni che si sono susseguiti nei tre giorni  e in particolare la riflessione del gesuita Antonio Spadaro sul rapporto tra internet e teologia.

La Chiesa è chiamata ad interrogarsi sull’ambiente culturale di internet che «determina uno stile di pensiero e crea nuovi territori e nuove forme di educazione, contribuendo a definire anche un modo nuovo di stimolare le intelligenze e di stringere le relazioni, addirittura un modo di abitare il mondo e di organizzarlo», dice Spadaro. Un nuovo ambiente culturale che contribuisce a far nascere un’antropologia nuova a cui siamo chiamati come Chiesa ad andare incontro per annunciare la Parola che salva. Un nuovo ambiente che pone delle domande anche alla struttura stessa della Chiesa e al suo pensiero teologico: essere radar o decoder, essere connessi o in comunione, essere fili di rete o tralci di vite, emittenza o testimonianza, codice proprietario o aperto? Sono alcune delle domande che si presentano come sfide a cui far fronte nell’era della comunicazione digitale.

La parola gratitudine esprime bene i miei sentimenti alla conclusione del convegno. Grazie agli interventi competenti dei relatori, alle esperienze vissute dei testimoni e a Dio che continua a condurre l’umanità per le Sue strade.

                            Emanuela Nardin, Missionarie dell’Immacolata

Insieme nel digitale

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
mag 13 2010

 

 Il verbo che caratterizza la chiesa fin dalle sue origini è: Testimoniare.

I cristiani sono coloro che sono chiamati a testimoniare, cioè a raccontare l’incontro con il Cristo che “mi ha amato così tanto da dare se stesso per me!”. È questa gioia, questo fascino, questo innamoramento che rende il testimone esperto di comunicazione. L’incontro personale, fatto di parole, di gesti, di sguardi, rimane per il cristiano il punto forte, il centro del suo annuncio kerigmatico e gioioso.

Il convegno “Testimoni Digitali” ha ribadito e sottolineato tutto questo, ma ha guardato anche la realtà. Perché essere cristiani vuol dire esserlo ora, qui e oggi, in questo contesto storico, culturale e sociale. Questo è stato l’impegno degli apostoli, di Pietro, di Paolo: andare tra le genti.

Anche oggi la Chiesa è e deve essere tra le genti segno di un amore totale e senza condizioni. Ma come arrivare, come raggiungere l’uomo di oggi? Percorrendo le stesse strade che l’uomo percorre, andandogli incontro sulla stessa lunghezza d’onda, per far emergere la luce e lo splendore, la meravigliosa impronta di Dio che lo attraversa.

Il convegno ha rilanciato tutto questo incoraggiando gli artigiani della pastorale alla ricerca appassionata, allo studio attento, a creare spazi di competenze in questo continente della comunicazione.

Credo che, se stiamo insieme, tutto questo può funzionare. Perché noi siamo quel corpo che, avendo come capo il Cristo, lavora e si dà da fare per l’avvento del suo regno. In questo corpo-chiesa, tutte le membra sono necessarie e utili a rendere efficiente ed efficace la sua missione di testimone.

Questo essere insieme, questo essere Chiesa, manca ancora alla nostra Chiesa.

Si parla di comunione, di comunità, ma, poi, in realtà tendiamo ad esaltare ciò che ‘ci’ appartiene e a dimenticare quello che molti altri compiono.

Voglio sottolineare che nel tanto che ci è stato donato, è mancato a livello generale, il riconoscimento di quello che nella chiesa fanno, nel settore della comunicazione, i religiosi e le religiose. Non dico questo per un desiderio di vanto o di vanagloria, ma perché è insieme che facciamo bella la chiesa.

Non era forse questo il fascino delle prime comunità cristiane? La simpatia che i gentili e i pagani avevano nei loro confronti, non era proprio nel vederli stare insieme, nel mostrarsi tra le genti come un cuor solo e un’anima sola?

Testimoni digitali con un cuor solo e un’anima sola. Il cuore, che nasce dal Cristo morto e risorto per noi. L’anima, cioè la passione per l’uomo di oggi, per la sua ricerca di verità e di giustizia, di pace e di fraternità. Ecco il cammino che insieme alla tecnica la chiesa deve imparare a percorrere con umiltà, avendo il coraggio, se necessario, di ricominciare sempre da capo con la speranza che lo Spirito che il Cristo morente ha donato non verrà meno.

                            suor Piera Cori – pastorella

A casa nella mia Chiesa

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
mag 10 2010

Eravamo in tanti al Convegno ecclesiale Testimoni digitali, provenienti da tutta Italia e tutti impegnati in vario modo nel mondo della comunicazione digitale o almeno “sensibili” alle varie opportunità che vengono offerte dalle nuove tecnologie. Abbiamo ascoltato sollecitazioni singolari, conosciuto esperienze interessanti, ci siamo confermati sui cammini intrapresi. Come Figlia di san Paolo, che opera nella Chiesa e nel mondo con un carisma ben specifico “annunciare il Vangelo con tutti gli strumenti della comunicazione sociale”, mi chiedo quale idea-forte conservo del Convegno, quale germoglio dovrò curare perché esso fiorisca e diventi fiore e frutto.  Infatti, dice Gesù: “… dai frutti li riconoscerete”. Sintetizzo l’esperienza vissuta in tre punti.

Al Convegno mi sono sentita a casa. E più volte, dentro di me, ho espresso grande riconoscenza non solo alla Chiesa ufficiale ma soprattutto al popolo di Dio rappresentato da tanti sacerdoti, religiosi e laici lì convenuti. Finalmente, permettetemi di dirlo, si considerano la modernità, le nuove tecnologie, il mondo della comunicazione in genere, non come realtà da guardare con sospetto e da demonizzare ma come opportunità, “luoghi teologici”, ambienti da abitare con responsabilità e naturalezza perché ci appartengono. Non si tratta, infatti, di scegliere un metodo o un altro per annunciare il vangelo, ma significa essere presenti, portare l’annuncio là dove la gente vive, soffre, ama, lavora, si diverte, ecc. Certo non sono ancora territori abitati da tutti, come d’altronde non lo sono più le parrocchie, ma sono spazi che saranno popolati e visitati sempre più.  E’ stato bello, lo confesso, perché, almeno questa volta, non ho dovuto giustificare e motivare a nessuno il mio essere “religiosa, consacrata a Dio” che opera nel mondo della comunicazione. Esercitare la “diaconia della cultura”, ha detto il nostro papa Benedetto XVI.  Grazie, santità, che sigilla un nostro modo di essere e operare da sempre, per vocazione. Questo è la prima e bella sensazione che porto con me. Sentirmi a casa nella mia Chiesa.

Come starci?

Anche se alcuni interventi, a mio avviso, si sono attardati nel ribadire la necessità di utilizzare le nuove tecnologie per l’evangelizzazione, (ciò significa che il concetto non è stato ancora pienamente assunto) ho colto lo sforzo di spingere in avanti la riflessione soprattutto da parte dei rappresentanti della Chiesa ufficiale: mons. Mariano Crociata,  mons. Claudio Maria Celli, mons. Angelo Bagnasco, ecc.  Internet, ci hanno detto, non è un mezzo da assumere perché altri sono diventati man mano obsoleti. No, internet è una cultura, un ambiente, un continente digitale. Non diciamo più, allora, che dobbiamo esserci in questi territori, è assodato perché, in forza dell’incarnazione, nessun luogo ci è precluso. Chiediamoci invece: Come esserci? Come starci? Domanda a mio avviso fondamentale cui non sarà mai data una risposta risolutiva.

Testimoni

Da Testimoni, suggeriva il tema del Convegno. Cioè da persone che hanno incontrato Gesù nella loro vita, sono state trasformate e ora desiderano condividere e comunicare anche ad altri questa esperienza forte, perché una cosa bella non si tiene per sé. Ma abbiamo questa esperienza forte da condividere? O pensiamo sia sufficiente annunciare una filosofia di vita, anche se evangelica, una morale cui attenersi, una serie di comandamenti cui obbedire? Forse per questo papa Benedetto XVI insiste continuamente sulla necessità di coltivare l’amicizia con Gesù, sulla preghiera intesa come colloquio personale e quotidiano con lui…  

Condividere e comunicare anche ad altri. Il desiderio di non tenere solo per noi ciò che abbiamo “visto e udito”ci porta a cercare gli altri, ad andare loro incontro, a condividere i loro spazi. Ma senza pesantezze, moralismi, affaticamenti. Se si vive una bella realtà, si comunica in maniera spontanea, senza artifici e costrizioni, con l’unico desiderio che anche altri possano sperimentarla ed essere felici come noi. Solo questo, a mio avviso, può motivare una vita che si “prende cura” e va continuamente “alla ricerca” degli altri. “Quante volte vi ponete l’interrogativo: come cammina, dove cammina, verso quale meta cammina questa umanità che si rinnova continuamente sulla faccia della terra? Sarà salva, sarà perduta per sempre” ci diceva quasi cento anni fa il nostro fondatore, Giacomo Alberione.

Coltivare la passione per l’uomo

…Lo ribadisce il papa. Un uomo molto diverso da quello di 50, 20, 10 o anche solo 5 anni fa. Un uomo che sta formando la propria coscienza (la parte più sacra del suo essere) e costruisce la sua persona immerso nel continente digitale, sollecitato da mille input e spesso disorientato. Questo è l’uomo da amare, l’uomo a cui annunciare le meraviglie della vita nuova che abita in noi. Ma non è un uomo lontano, da studiare e analizzare a tavolino. Quest’uomo lo conosciamo bene perché siamo noi, perché anche noi respiriamo e viviamo in questa realtà digitale e siamo tutti compagni di un viaggio che stiamo facendo insieme.

Passione per Dio e per questa umanità, il germoglio che coltiverò perché diventi fiore e frutto.

Sr Nadia Bonaldo

 

L’esperienza on-line di Nadia Bonaldo

«Il Vangelo nella cultura della comunicazione». Lo slogan, che campeggia sulla home page del sito www.paoline.it, è tutto un programma. Anzi, è proprio “il” programma delle Figlie di San Paolo, la congregazione femminile fondata dal beato Giacomo Alberione nel 1915 e impegnata a tutto campo nell’evangelizzazione con i mezzi della comunicazione sociale. Il sito, uno dei primi messi on-line da religiose, risale al 1995 ed è stato rinnovato non più tardi del 2008. Suor Nadia Bonaldo (vedi foto) ne è la responsabile, coadiuvata da una consorella e da circa 20 collaboratori esterni. «Don Alberione», spiega la religiosa, «ci invitava ad annunciare il Vangelo con ogni più moderno mezzo che la tecnica mette a disposizione. Oggi, questo mezzo non può che essere internet».

Le suore Paoline gestiscono numerose librerie, oltre che una casa editrice (con il noto marchio Paoline). Le religiose animano poi varie attività di promozione e formazione, tra cui il Festival della comunicazione, la cui organizzazione è cogestita con i loro confratelli Paolini.

«Nel sito», prosegue suor Nadia, «utilizziamo rubriche di attualità e di cinema, notizie sulle pubblicazioni e interviste con i nostri autori, comunicazioni su eventi culturali organizzati dalle nostre librerie o da altre istituzioni».

I numeri sono degni di tutto rispetto: 5 mila visite settimanali, per una media di tre minuti di permanenza per pagina. Le pagine più visitate sono quelle dove si può scaricare un file Mp3 con la liturgia del giorno. Quasi a dire che la liturgia della vita, cioè la quotidianità, e la liturgia della Chiesa si sposano bene anche in rete.                                                                       S.St.

(da Famiglia Cristiana, n. 19 – 19 maggio 2010, pag. 73)