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PAPA BENEDETTO E LA VITA CONSACRATA

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feb 21 2013

Profonda emozione per la sua statura morale e grande tenerezza per il suo aspetto fisico segnato dalla fragilità dell’età avanzata, sono i sentimenti che più volte ho provato nell’avvicinarmi a Papa Benedetto quando, in alcune occasioni, ho avuto la gioia di incontrami con lui. Ed ora, presente alla solenne celebrazione eucaristica in San Pietro il 2 febbraio scorso – festa della vita consacrata – non avrei certo potuto immaginare che sarebbe stata l’ultima volta che il mio sguardo si sarebbe incontrato con il suo mentre, tra le centinaia di suore che mi circondavano, qualcuna esclamava a gran voce: “Grazie, Santità!”.
Davvero GRAZIE, Papa Benedetto, per il messaggio che hai voluto consegnarci in questo ultimo 2 febbraio. Lo portiamo nel nostro cuore come un dono prezioso, quasi un’eredità spirituale che proviene dal tuo amore per noi.

Lo riascoltiamo per coglierne la profondità e fissarlo nella memoria.

“Vi invito in primo luogo ad alimentare una fede in grado di illuminare la vostra vocazione. Vi esorto per questo a fare memoria, come in un pellegrinaggio interiore, del «primo amore» con cui il Signore Gesù Cristo ha riscaldato il vostro cuore, non per nostalgia, ma per alimentare quella fiamma. E per questo occorre stare con Lui, nel silenzio dell’adorazione; e così risvegliare la volontà e la gioia di condividerne la vita, le scelte, l’obbedienza di fede, la beatitudine dei poveri, la radicalità dell’amore. A partire sempre nuovamente da questo incontro d’amore voi lasciate ogni cosa per stare con Lui e mettervi come Lui al servizio di Dio e dei fratelli (cfr. Vita consecrata, 1).

In secondo luogo vi invito a una fede che sappia riconoscere la sapienza della debolezza. Nelle gioie e nelle afflizioni del tempo presente, quando la durezza e il peso della croce si fanno sentire, non dubitate che la kenosi di Cristo è già vittoria pasquale. Proprio nel limite e nella debolezza umana siamo chiamati a vivere la conformazione a Cristo, in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo, la perfezione escatologica (ibid.,16). Nelle società dell’efficienza e del successo, la vostra vita segnata dalla «minorità» e dalla debolezza dei piccoli, dall’empatia con coloro che non hanno voce, diventa un evangelico segno di contraddizione. 

Infine, vi invito a rinnovare la fede che vi fa essere pellegrini verso il futuro. Per sua natura la vita consacrata è pellegrinaggio dello spirito, alla ricerca di un Volto che talora si manifesta e talora si vela: «Faciem tuam, Domine, requiram» (Sal 26,8). Questo sia l’anelito costante del vostro cuore, il criterio fondamentale che orienta il vostro cammino, sia nei piccoli passi quotidiani che nelle decisioni più importanti. Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni; piuttosto rivestitevi di Gesù Cristo e indossate le armi della luce – come esorta san Paolo (cfr Rm 13,11-14) – restando svegli e vigilanti.

La vita consacrata nel pensiero del Papa
Ripercorrendo a grandi linee questi otto anni di pontificato, possiamo notare che la vita consacrata, nelle parole del Papa, viene ricondotta al suo nucleo originale che è la forma di vita assunta dal Cristo. L’approccio cristologico è costantemente richiamato.

Il primato di Dio
Nell’omelia del 2 febbraio 2006 Papa Benedetto afferma: “Come la vita di Gesù, nella sua obbedienza e dedizione al Padre, è parabola vivente del “Dio con noi”, così la concreta dedizione delle persone consacrate a Dio e ai fratelli diventa segno eloquente della presenza del Regno di Dio per il mondo di oggi. Il vostro modo di vivere e di operare è in grado di manifestare senza attenuazioni la piena appartenenza all’unico Signore; la vostra completa consegna nelle mani di Cristo e della Chiesa è un annuncio forte e chiaro della presenza di Dio in un linguaggio comprensibile ai nostri contemporanei. È questo il primo servizio che la vita consacrata rende alla Chiesa e al mondo. All’interno del Popolo di Dio essi sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella nostra storia”.

          Il 22 maggio del medesimo anno parlando ai superiori e alle superiore generali, conferma: “Appartenere al Signore vuol dire essere bruciati dal suo amore incandescente, essere trasformati dallo splendore della sua bellezza; la nostra piccolezza è offerta a Lui come sacrificio di soave odore, affinché diventi testimonianza della grandezza della sua presenza per il nostro tempo che tanto ha bisogno di essere inebriato dalla ricchezza della sua grazia”.

         Il 2 febbraio 2010, dopo aver ricordato il significato della celebrazione, aggiunge: “La vita consacrata, testimonia ed esprime in modo “forte” proprio il cercarsi reciproco di Dio e dell’uomo, l’amore che li attrae; la persona consacrata, per il fatto stesso di esserci, rappresenta come un “ponte” verso Dio per tutti coloro che la incontrano, un richiamo, un rinvio. E tutto questo in forza della mediazione di Gesù Cristo, il Consacrato del Padre. Il fondamento è Lui! Lui, che ha condiviso la nostra fragilità, perché noi potessimo partecipare della sua natura divina”.

Importanza della Parola di Dio
Grande importanza Papa Benedetto ha dato alla pratica della lectio divina poiché la vita consacrata nasce dall’ascolto della Parola. Nell’omelia del 2 febbraio 2008 afferma: “Lo Spirito Santo attira alcune persone a vivere il Vangelo in modo radicale e a tradurlo in uno stile di sequela più generosa. Ne nasce così un’opera, una famiglia religiosa che, con la sua stessa presenza, diventa a sua volta “esegesi” vivente della Parola di Dio. Cari fratelli e sorelle, nutrite la vostra giornata di preghiera, di meditazione e di ascolto della Parola di Dio. Voi, che avete familiarità con l’antica pratica della lectio divina, aiutate anche i fedeli a valorizzarla nella loro quotidiana esistenza. E sappiate tradurre in testimonianza quanto la Parola indica, lasciandovi plasmare da essa che, come seme accolto in terreno buono, porta frutti abbondanti. Sarete così sempre docili allo Spirito e crescerete nell’unione con Dio, coltiverete la comunione fraterna fra voi e sarete pronti a servire generosamente i fratelli, soprattutto quelli che si trovano nel bisogno. Che gli uomini possano vedere le vostre opere buone, frutto della Parola di Dio che vive in voi, e diano gloria al Padre vostro celeste (cfr Mt 5,16)!”

         Sempre sullo stesso tema nella celebrazione del 2 febbraio 2011 esordisce: “Cari fratelli e sorelle, siate ascoltatori assidui della Parola, perché ogni sapienza di vita nasce dalla Parola del Signore! Siate scrutatori della Parola, attraverso la lectio divina, poiché la vita consacrata “nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come sua norma di vita. Vivere nella sequela di Cristo casto, povero ed obbediente è in tal modo una «esegesi» vivente della Parola di Dio. Lo Spirito Santo, in forza del quale è stata scritta la Bibbia, è il medesimo che illumina di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola vuole essere espressione, dando origine ad itinerari di vita cristiana segnati dalla radicalità evangelica” (Verbum Domini, 83).

I consigli evangelici
  Nell’omelia del 2 febbraio 2009 Papa Benedetto esplicita il significato dei voti religiosi prendendo come paradigma la testimonianza di san Paolo (eravamo nell’anno paolino): “… Dalla sua stessa voce possiamo conoscere uno stile di vita che esprime la sostanza della vita consacrata ispirata ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Nella vita di povertà egli vede la garanzia di un annuncio del Vangelo realizzato in totale gratuità (cfr 1 Cor 9,1-23), mentre esprime, allo stesso tempo, la concreta solidarietà verso i fratelli nel bisogno. Al riguardo tutti conosciamo la decisione di Paolo di mantenersi con il lavoro delle sue mani e il suo impegno per la colletta a favore dei poveri di Gerusalemme (cfr 1 Ts 2,9; 2 Cor 8-9). Paolo è anche un apostolo che, accogliendo la chiamata di Dio alla castità, ha donato il cuore al Signore in maniera indivisa, per poter servire con ancor più grande libertà e dedizione i suoi fratelli (cfr 1 Cor 7,7; 2 Cor 11,1-2); inoltre, in un mondo nel quale i valori della castità cristiana avevano scarsa cittadinanza (cfr 1 Cor 6,12-20), egli offre un sicuro riferimento di condotta. Quanto poi all’obbedienza, basti notare che il compimento della volontà di Dio e l’«assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le chiese» (2 Cor 11,28) ne hanno animato, plasmato e consumato l’esistenza, resa sacrificio gradito a Dio. Tutto questo lo porta a proclamare, come scrive ai Filippesi: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno » (Fil 1,21).

E nel 2012 Papa Benedetto aggiunge: “I consigli evangelici, accettati come autentica regola di vita, rafforzano la fede, la speranza e la carità, che uniscono a Dio. Questa profonda vicinanza al Signore, che deve essere l’elemento prioritario e caratterizzante della vostra esistenza, vi porterà ad una rinnovata adesione a Lui e avrà un positivo influsso sulla vostra particolare presenza e forma di apostolato all’interno del Popolo di Dio, mediante l’apporto dei vostri carismi, nella fedeltà al Magistero, al fine di essere testimoni della fede e della grazia, testimoni credibili per la Chiesa e per il mondo di oggi”.

La vita comunitaria
Riprendendo le affermazioni già scritte in altri documenti del magistero, fin dall’inizio del suo pontificato Papa Benedetto ricorda la particolare importanza della vita comunitaria: “Parte costitutiva della vostra missione è la vita comunitaria. Impegnandovi a realizzare comunità fraterne, voi mostrate che grazie al Vangelo anche i rapporti umani possono cambiare, che l’amore non è un’utopia, ma anzi il segreto per costruire un mondo più fraterno” (10 dicembre 2005).

La missione apostolica
Nel febbraio del 2007 il Papa invita a riflettere come la missione scaturisca dalla contemplazione: “Dedicandovi esclusivamente a Lui, voi testimoniate il fascino della verità di Cristo e la gioia che scaturisce dall’amore per Lui. Nella contemplazione e nell’attività, nella solitudine e nella fraternità, nel servizio ai poveri e agli ultimi, nell’accompagnamento personale e nei moderni areopaghi, siate pronti a proclamare e testimoniare che Dio è Amore, che dolce è amarlo”.

         Nel 2009, portando la testimonianza di san Paolo ai religiosi e religiose raccolte nella basilica di San Pietro, Papa Benedetto afferma: “Altro aspetto fondamentale della vita consacrata di Paolo è la missione. Egli è tutto di Gesù per essere, come Gesù, di tutti; anzi, per essere Gesù per tutti: «Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22). A lui, così strettamente unito alla persona di Cristo, riconosciamo una profonda capacità di coniugare vita spirituale e azione missionaria; in lui le due dimensioni si richiamano reciprocamente. E così, possiamo dire che egli appartiene a quella schiera di “mistici costruttori”, la cui esistenza è insieme contemplativa ed attiva, aperta su Dio e sui fratelli per svolgere un efficace servizio al Vangelo.

Necessità della testimonianza 
Papa Benedetto ha richiamato più volte la necessità della testimonianza autentica della vocazione religiosa. Il 18 febbraio 2008 ai membri della UISG e USG ricorda: “Gli uomini d’oggi avvertono un forte richiamo religioso e spirituale, ma sono pronti ad ascoltare e seguire solo chi testimonia con coerenza la propria adesione a Cristo. Ed è interessante notare che sono ricchi di vocazioni proprio quegli Istituti che hanno conservato o hanno scelto un tenore di vita, spesso molto austero, e comunque fedele al Vangelo vissuto “sine glossa”.

Il 2 febbraio 2010 continuando la riflessione sulla necessità della testimonianza dice: “Le persone consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere testimoni della misericordia del Signore, nella quale l’uomo trova la propria salvezza. Esse tengono viva l’esperienza del perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il proprio peccato. Per questo, anche per l’uomo di oggi, la vita consacrata rimane una scuola privilegiata della “compunzione del cuore”, del riconoscimento umile della propria miseria, ma, parimenti, rimane una scuola della fiducia nella misericordia di Dio, nel suo amore che mai abbandona. In realtà, più ci si avvicina a Dio, più si è vicini a Lui, più si è utili agli altri. Le persone consacrate sperimentano la grazia, la misericordia e il perdono di Dio non solo per sé, ma anche per i fratelli, essendo chiamate a portare nel cuore e nella preghiera le angosce e le attese degli uomini, specie di quelli che sono lontani da Dio.

         Segno di contraddizione
Il 2 febbraio 2007 il Papa, consapevole delle difficoltà che i consacrati incontrano nel mondo, asserisce: “Per natura sua la vita consacrata costituisce una risposta a Dio totale e definitiva, incondizionata e appassionata. E quando si rinuncia a tutto per seguire Cristo, quando gli si dà ciò che si ha di più caro affrontando ogni sacrificio, allora, come è avvenuto per il divin Maestro, anche la persona consacrata che ne segue le orme diventa necessariamente “segno di contraddizione”, perché il suo modo di pensare e di vivere è spesso in contrasto con la logica del mondo, come si presenta nei mezzi di comunicazione sociale, quasi sempre. Si sceglie Cristo, anzi ci si lascia “conquistare” da Lui senza riserve”.

         Il Papa non passa sotto silenzio le gravi difficoltà che la vita religiosa odierna si trova a dover affrontare al suo interno, sia per lo scarso numero di giovani vocazioni, sia per l’invecchiamento. Intervenendo su questo tema afferma: “Non lasciatevi scoraggiare, ma affrontate queste dolorose situazioni di crisi con serenità e la consapevolezza che a ciascuno è richiesto non tanto il successo, quanto l’impegno della fedeltà. Ciò che si deve assolutamente evitare è il venir meno dell’adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione” (20 settembre 2008).

Il Papa dimostra sempre grande stima per le persone consacrate e il 2 febbraio 2010 asserisce: “La vita consacrata è importante proprio per il suo essere segno di gratuità e d’amore, e ciò tanto più in una società che rischia di essere soffocata nel vortice dell’effimero e dell’utile (cfr Vita consecrata, 105). La vita consacrata, invece, testimonia la sovrabbondanza d’amore che spinge a “perdere” la propria vita, come risposta alla sovrabbondanza di amore del Signore, che per primo ha “perduto” la sua vita per noi. In questo momento penso alle persone consacrate che sentono il peso della fatica quotidiana scarsa di gratificazioni umane, penso ai religiosi e alle religiose anziani, ammalati, a quanti si sentono in difficoltà nel loro apostolato… Nessuno di essi è inutile, perché il Signore li associa al “trono della grazia”. Sono invece un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo, assetato di Dio e della sua Parola”. 

Necessità della pastorale vocazionale
Papa Benedetto all’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma su Famiglia e comunità cristiana (6 giugno 2005) invita: Un ultimo messaggio che vorrei affidarvi riguarda la cura delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: sappiamo tutti quanto la Chiesa ne abbia bisogno! Perché queste vocazioni nascano e giungano a maturazione, perché le persone chiamate si mantengano sempre degne della loro vocazione, è decisiva anzitutto la preghiera, che non deve mai mancare in ciascuna famiglia e comunità cristiana. Ma è anche fondamentale la testimonianza di vita dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, la gioia che essi esprimono per essere stati chiamati dal Signore. Ed è ugualmente essenziale l’esempio che i figli ricevono all’interno della propria famiglia e la convinzione delle famiglie stesse che, anche per loro, la vocazione dei propri figli è un grande dono del Signore. La scelta della verginità per amore di Dio e dei fratelli, che è richiesta per il sacerdozio e la vita consacrata, sta infatti insieme con la valorizzazione del matrimonio cristiano: l’uno e l’altra, in due maniere differenti e complementari, rendono in qualche modo visibile il mistero dell’alleanza tra Dio e il suo popolo”.

Caro Papa Benedetto, al termine di questa sintesi delle parole che in questi anni hai rivolto a noi, ci sia permesso esprimerti la nostra gratitudine per averci tenute nel tuo cuore e per la stima che ci hai dimostrato. Più volte infatti, nella celebrazione del 2 febbraio, hai affermato che quella era “una preziosa occasione per lodare il Signore del dono inestimabile della vita consacrata alla Chiesa e al mondo”.

Sii certo che sarai sempre presente nella nostra preghiera perché ora la tua vita “nascosta al mondo” è più preziosa che mai per la fecondità spirituale della Chiesa.

A te la nostra eterna gratitudine.

                                               Madre Orsola Bertolotto
Superiora generale Murialdine di san Giuseppe
Consigliera USMI nazionale

Fra conflitti dimenticati e nuovi

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feb 18 2013

Emergenze umanitarie complesse accompagnano infinite situazioni di conflitto armato nel mondo. Ma cosa sappiamo davvero di queste “guerre lontane”? E soprattutto, cosa può fare ognuno di noi? Come?

Venti di guerra nel mondo                       
Spirano periodicamente nel mondo “venti di guerra” fra la pace da una parte e l’economia globalizzata dall’altra. L’una e l’altra insieme non possono essere risolte, perché a favore dell’economia gioca l’interesse dei poteri forti. Questi appoggiano le guerre per sfruttare risorse naturali ed energetiche (petrolio, acqua, terra..), o per esportare armi e continuare così a produrle. Le armi, in realtà, se prodotte e commercializzate in grandissime quantità, non possono che servire alle guerre.

Sul Pianeta Terra ci sono Paesi in condizioni di conflitto interno, aperto o latente, per instabilità politica e miseria. Ci sono conflittualità diffuse e continue per motivi etnici. Guerriglie – fatte di attentati e agguati terroristici – dimenticate quando il mondo ricco non ha interessi in quelle Terre. Nessuno le ferma. Non se ne parla nemmeno. Solo i reporter di guerra sono testimoni in esse dei diritti violati e delle violenze sui civili. E spesso subiscono per il loro lavoro ritorsioni e attentati.  

Rispetto a situazioni “vecchie” di conflitti armati degenerati in guerre vere e proprie, si registra, soprattutto a partire dal 2011, l’avvio di nuovi conflitti, in numero il più elevato dalla fine della II guerra mondiale. Cominciano tutti senza memoria critica dei precedenti. In Siria, per esempio, da quando sull’onda della ‘Primavera araba’ ebbero inizio le proteste, tutto il Paese e tutta la popolazione sono al fronte, senza tregua e senza speranza. Un massacro dopo l’altro fra il regime assolutista di Assad e i ribelli che rivendicano riforme per una maggiore democrazia. Da allora le stime parlano ormai di 60 mila morti – nella stragrande maggioranza civili presi tra i due fuochi – ed esodi di intere popolazioni. Le Potenze Occidentali si limitano a sostenere l’opposizione armata aspettando il crollo del regime di Assad per logoramento. Nella quasi indifferenza  del mondo.  

“Interventi umanitari”, o guerre neo-coloniali?
 Fra le guerre più recenti è quella di Parigi nel Mali (Africa sub sahariana) con il consenso – ex post – degli alleati europei. Nelle intenzioni dichiarate del governo francese doveva essere una semplice operazione di polizia. Ma se pensiamo alla vicinanza con il Niger – regione ricca di oro, petrolio e uranio – non è difficile cogliere tra le radici dell’intervento il progetto di controllare le risorse naturali di quei territori. Di fatto in poco, pochissimo tempo, il conflitto si è esteso (Nigeria, Libia …), trasformandosi in un intervento massiccio che rischia ora di diventare internazionale. Così dall’Afghanistan si passa al Sahara-Sahel. E l’islam armato, anziché essere contenuto, è stato dilatato!

Si parla di interventi “umanitari” da parte delle potenze europee, fatti “a fin di bene”, per “esportare la democrazia”, per cacciare “odiosi tiranni”… Ma constatiamo che al posto dei precedenti subentrano altri tiranni, forse solo più servizievoli nei confronti delle potenze occidentali. La politica in realtà appare fissa sul militare, mentre l’interventismo sta diventando, sul modello americano, un habitus anche europeo. Mancano invece un pensare ampio e una veduta cosmopolita, un’apertura al diritto internazionale. E anche la gente comune fatica a riflettere su questi fatti. Constata supinamente.

Guarire le relazioni…
Come si può, insieme, contribuire a mettere fine alla notte dell’irresponsabilità che sembra avvolgerci? Benedetto XVI esorta i potenti della terra: “Si trovi finalmente il coraggio del dialogo e del negoziato”.

Per ognuno però esistono meravigliose risorse umane che attendono silenziosamente solo un’opportunità e una decisione personale per allenarsi a costruire la pace nel quotidiano …

… per concreti bilanci di pace
 - Ognuno è quello che respira, legge, studia, ciò di cui riempie le proprie giornate e i propri pensieri. Lo è nel bene e lo è nel male. In tutto ciò che si è e si fa, la pace è un cammino costante. Non un’utopia generica, ma un obiettivo da ricercare con il massimo impegno, attraverso gesti concreti e quotidiani nei quali ognuno si compromette realmente.
- Ogni persona può sempre scegliere se seguire da lontano il corso degli eventi o assumere con coraggio la responsabilità della propria esistenza; se affrontare la tentazione più grande – che in ogni tempo è forse quella di estraniarsi da tutto, rassegnandosi alla realtà dei fatti – o dare all’oggi che interpella risposte concrete, con quel coraggio che è virtù da coltivare quotidianamente. Non si può pensare di cambiare il mondo se non si parte e riparte ogni giorno da se stessi.
- I confronti di idee fra persone che tendono alla stessa verità (anche se la comprendono diversamente!) costituiscono la bellezza della vita. Mentre infatti consentono di scambiarsi i  pareri, rafforzano il desiderio di continuare a cercare la verità e guariscono le relazioni.

Certo può accadere (e accade spesso!) che in uno pseudo-confronto qualcuno si batta, più o meno consapevolmente, solo perché l’interlocutore abbia torto, sia sminuito, perda, ne abbia un danno… Una recita, insomma, una farsa più o meno riuscita, ma in tutti i casi sicuramente sterile per qualsiasi rapporto e per la pace interiore.

È necessario rileggere insieme i fatti mettendosi dalla parte degli sconfitti, delle vittime, della gente, della pace, “avendo in corpo l’occhio del povero” – direbbe don Tonino Bello. Dalla fede viene ai credenti un supplemento di coraggio per impegnarsi a fondo a trasformare il mondo. Affidati a un Altro, potremo muoverci senza paura nella realtà complessa del nostro tempo verso l’oltre possibile.  

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Notizie ‘ansiogene’ e realtà

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feb 07 2013

Le scene di aggressività e competizione selvaggia come influiscono sul nostro modo di porci in relazione con noi stessi, con gli altri, con la vita? Quali conseguenze può produrre un uso inappropriato dei media?

Che gli uccelli dell’ansia e della preoccupazione volino sulla vostra testa, non potete impedirlo; ma potete evitare che vi costruiscano un nido. (Proverbio cinese)

Iter dei media: realtà – mediazione – rappresentazione
I media oggi sono partner onnipresenti per tutti, tanto che l’epoca attuale è stata definita “società della comunicazione”. Nel bene e nel male fanno parte della nostra vita quotidiana e non possiamo e non vogliamo certo farne a meno. Usati bene, potrebbero essere strumenti formidabili per stimolare la consapevolezza delle persone verso rapporti umani più aperti e collaborativi; per tradurre in concreto i principi democratici della libertà, dell’autodeterminazione e della cooperazione; per costruire legami sociali e un ambiente in cui riconoscersi.

Violenza nei media, crimini sceneggiati …
Ma come parla oggi l’informazione pubblica? L’Italia e il mondo sembrano essere fatti di sola cronaca nera, scandali, scontri politici, gossip. Leggere un quotidiano o vedere un TG è esperienza paragonabile al sentire un bollettino di guerra. Titoli shoccanti, insistenza su particolari morbosi e immagini raccapriccianti sollecitano emozioni negative, spesso senza aggiungere nulla alla comprensione dei fatti. Perfino nei cartoni animati e in tre quarti delle fiction la pistola è il principale mezzo di comunicazione con l’altro, quasi l’ideologia di un mondo, la forza, l’osanna per chi vince.

La violenza sembra essere il simbolo incarnato del mondo che abbiamo di fronte. Una visione cupa e minacciosa, che giornali e TV, con la rappresentazione sbilanciata che danno della realtà, contribuiscono a creare e rafforzare. A chi giova?… In fondo sappiamo per esperienza che si reagisce al male se c’è qualche speranza di riuscire a cambiare le cose. Ma se viviamo in un mondo in cui la mafia vince sempre, il furbo prevale in tutti i casi, i politici sono tutti corrotti, gli ospedali funzionano male dappertutto … allora non resta che rassegnarsi e chiudersi in se stessi; oppure farsi furbi e disonesti, appunto, come ‘tutti’.

… e intossicazione emozionale
La gran parte dei media in realtà punta più agli indici di ascolto che a quelli di consenso, privilegiando il tornaconto economico, o politico, rispetto all’utilità sociale. L’offerta culturale che ne deriva è perciò spesso incentrata su ingredienti dai ‘sapori’ forti, ma di scarsa qualità e con gravi effetti collaterali.

- Ricerche scientifiche dicono che la visione di un film con scene di violenza provoca in genere nella persona un sonno agitato con sogni sgradevoli e introduce col piede sbagliato al nuovo giorno. La persona, inoltre, porta nel suo quotidiano i residui di ciò che aveva inquietato il suo animo. Così facilmente diventa più sospettosa, irritabile, chiusa verso gli altri; propensa più a vedere i rischi che non la bellezza di ciò che la circonda.

- Per tale via si ingenera nelle persone (in particolare nelle più sensibili) un atteggiamento ansioso del tipo ‘viviamo proprio in un brutto mondo’.

- Soprattutto sono i bambini che, nel loro comportamento a volte isterico e incontrollabile, risentono pesantemente della violenza, pur grottesca, dei cartoni animati di supereroi e simili.

- A volte nemmeno l’atteggiamento critico è sufficiente per proteggersi dai condizionamenti dei media. Può capitare infatti che, seguendo un certo programma, ci si ritrovi dentro commozione o ammirazione per un certo personaggio pur sapendo razionalmente che non le merita affatto.

Eppure facilmente si continua a lasciarsi guidare passivamente, per ingenuità o per pigrizia, da ciò che si vede, si sente e si legge e ognuno rimane così sostanzialmente indifeso di fronte agli effetti che ne derivano nella propria vita.

Come operare allora per restituirsi una visione del mondo più umana e più reale? Certo è necessario imparare ad utilizzare i media in modo sempre attivo e consapevole, rifiutando di abbandonarsi passivamente a menù prestabiliti da altri; scegliendo autonomamente una ‘dieta’ personalizzata dei programmi e decidendo le dosi con cui assumerli. È una opzione impegnativa e faticosa, ma il risultato vale la pena.

Collera da esprimere e… collera da reprimere
Come opera per la formazione della coscienza civile e politica dei cittadini una società che acquista, consuma, si lamenta, grida negli stadi, protesta nelle piazze … per scoprire che alla fine di tutto questo i suoi sentimenti e le sue azioni sono inconcludenti?

Le emozioni sociali suscitate dai mass media sono prevalentemente di tipo negativo: paura, invidia, vergogna. Soprattutto vi è presente la rabbia – che si esprime nei titoli e nelle immagini – insieme all’ira con cui vengono descritti i fatti! E l’ira suscita ira. Ci sono anche sentimenti positivi (mitezza, autocontrollo, giovialità, pace…), ai quali viene però dedicato molto meno spazio. La mitezza sembra essere anzi del tutto estranea non solo ai mass media, ma anche alla realtà attuale. Ci è necessario e urgente riscoprire la forza della mitezza che resiste e domina l’ira trasformandola, eventualmente, in una eccitazione giusta per sconfiggere ciò che non va. Ma la cultura di oggi confonde la mitezza con l’apatia indifferente, con la debolezza indulgente di chi dice ‘sì’ a tutto perché vuole essere d’accordo con tutti e con tutte le opinioni; di chi teme di affermarsi solo per paura di essere frainteso, giudicato, di non essere amato e accettato…

…per essere cittadini della civiltà dell’amore
Mitezza in realtà è l’atteggiamento che permette di superare la frustrazione, l’irritazione e lo scoraggiamento di fronte all’apparente sterilità della propria azione e della paura. Viverla è una meta da raggiungere, ardua, difficile, ma non impossibile e comunque è imprescindibile per il cristiano, perché la politica – come gestione della terra umana e cura del bene comune che si riassume nella pace – secondo la beatitudine evangelica sarà affidata ai ‘mansueti’, ai nonviolenti attivi, che oggi sono diseredati ed emarginati.

Il giornalista, che nella sua professione non vede solo il lavoro che gli dà da mangiare ma anche il piccolo quotidiano contributo alla costruzione di una società migliore, può molto. ‘Essere miti’, secondo la beatitudine evangelica, è domanda di quella radicalità che fa sentire acutamente anormali rispetto all’ordine violento e selvaggio in cui domina la supremazia onnivora del profitto. È la buona novella che attraverso il cuore, la mente e la mano di ogni uomo di buona volontà, ogni giorno si rinnova sulla terra..

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it