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Leadership in tempi difficili

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apr 27 2015

10653874_1021649361184095_7176100715287269243_nRinnovare oggi il modo di gestire la fraternità per essere segno  che  la comunione fra diversi  è possibile. Con sé non prendere nulla se non un tratto del Volto del Figlio di Dio e renderlo riconoscibile nel modo di vivere insieme… E fecondare in silenzio la storia.

Svegliarsi per svegliare…
Quando ci si trova a vivere nel ‘passaggio’ fra due epoche e in un contesto com’è l’attuale di  paura e di chiusura, non è facile ‘vedere’ il senso della vita quotidiana e percepire nei propri giorni la presenza di un Mistero amico che sempre accompagna. E se è di tanti oggi trascinare la propria vita nel narcisismo, è la vita collettiva poi che continua a convincere e a trainare, nel bene e nel male. Il fatto è che ognuno porta in sé il bisogno di sapere e di sentire che la propria persona e la propria vita sono preziose per qualcuno. E ciò che primariamente si cerca – anche quando poi ci si perde per strada – ha per obiettivo relazioni autentiche. Il problema che davvero sollecita tutti è chiarire la possibilità di comprensione e di comunione tra le persone. La santità comunitaria oggi è necessaria forse più ancora di quella individuale, per dire al mondo che è possibile crescere insieme nella diversità anche se non ci si è scelti. Le comunità cristiane sono chiamate ad essere segno che la comunione tra diversi è possibile. E l’autorità in esse è esattamente al servizio di questo progetto.

… il compito vero dell’autorità
IMG_1040In rapporto a tale contesto, l’Assemblea Nazionale quest’anno è stata preziosa. Ha esaminato l’esercizio dell’autorità come servizio pasquale nella vita religiosa, indicando strade concrete per un cambiamento intelligente e illuminato della dinamica comunitaria alla luce della Parola. Ogni vita insieme (anche quella dei consacrati) naturalmente è sempre convivenza umana alle prese con i problemi dei singoli, destinati a complicarsi nella relazione. Cercare di rispondere al suo disagio con la forza pacata e creativa della riflessione è tipico di chi vuole accedere alla verità. Non potrebbe essere diversamente se si sta parlando di comunità religiose, che, per definizione, nascono attorno alla Parola e di essa si nutrono. I modelli biblici permettono di gettare uno sguardo positivo sulla convivenza dei consacrati per cogliervi quello che impedisce o ritarda la condivisione dei cuori e intravvedere la direzione da prendere.

In una nuova gestione della fraternità …
Comunità nuove vengono solo da una nuova gestione della fraternità, che conduca con mano ferma e calda verso il superamento di sé,
bimbo-dorme-con-il-canefacendo convergere energie e competenze nella direzione di un obiettivo comune. Il leader efficace, all’interno di una comunità religiosa, prima  di tutto tiene conto delle persone, delle loro esigenze e bisogni. Sa che le persone sono sempre più importanti del servizio che rendono. Agisce per loro e con loro con la forza della convinzione (e anche della provocazione), ma sempre rispettando il singolo e la sua libertà. Si mette in sintonia, percepisce, risponde con empatia; aiuta a trovare la giusta relazione tra le persone per conciliare le differenze e viverle come ricchezze; intento a promuovere un clima di fiducia reciproca, si propone come stimolo permanente di crescita e di conversione reciproca.

… corresponsabili tutti della ‘casa comune’ 
Nella comunità cristiana ognuno è chiamato a realizzarsi nella Parola e in una rete di relazioni, a vivere perciò nei sentimenti dell’altro, facendo proprie la gioia, la sofferenza, la speranza di chi è accanto e nello stesso tempo rimanendo se stessi, per giungere insieme ad un comune sentire. Gesù dà a ciascuno un’autorità  e a uno il compito di vegliare, ma per ognuno il primo compito è diventare e sentirsi figli di Dio. Nessuno quindi nella comunità è senza autorità e senza un compito da svolgere. Obbedienza allora è accoglienza quotidiana e faticosa della via evangelica alla libertà. E una buona leadership dipende principalmente dal rapporto che c’è tra il leader e coloro che le obbediscono, da vivere come servizio a Dio e ai fratelli.

La tentazione del potere: malattia dell’autorità
“Come mai la tentazione del potere sembra così irresistibile?” – si chiede H. Nouwen. Può darsi che il potere sia un comodo surrogato del compito faticoso dell’amore. Di fatto la tentazione di esercitarlo per un fine personale è sempre e per tutti in agguato. Sembra più facile controllare gli altri che amarli. Occorre proprio esserne coscienti. D’altra parte è facile scambiare la diversità per superiorità/inferiorità; considerare merito proprio quel di più d’intelligenza, di amore e far pesare questo sui meno dotati. Ma obbedire a Dio comporta libertà, solitudine e ”chi dice di stare in Lui, deve anche vivere come è vissuto Lui” (1Gv 2, 3-6).

Unico spazio di rifioritura…
È lo spazio che si riserva nella vita comune ad un colloquio autentico – nel quale poter  esprimere critiche, sofferenze e disagi – che può riaccendere i membri. Se questo spazio manca, sono fiumi di chiacchiere e pettegolezzi, che alimentano divisioni e problemi organizzativi. Il diritto alla critica fa parte di chi ha ricevuto un carisma, dono che certo non è da considerare possesso. Restare asserviti però a volte è più confortevole dell’essere liberi. D’altra parte gli obbedienti affascinano i superiori, ma vero obbediente è chi vuole obbedire, come vero orante è chi vuole pregare. Malattie della fraternità – cultura della lamentazione, ansietà, sconforto (che poi sono frutto della mancanza di fede!) – sono forza che distrugge. Per curarla c’è una sola medicina: la saggezza che nasce da cuori capaci di leggere la realtà lealmente e con onestà, senza illudersi di poter piegare le situazioni alle proprie visioni, né tantomeno di dirigerle attraverso le proprie paure; senza ‘mangiare’ insomma le persone, utilizzandole per… nutrirsi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERALa possibilità di conflitti e di delusioni comunque è parte naturale della crescita, da accogliere e gestire sperimentando il processo pasquale per diventare adulti. C.M. Martini  confessa: “Quando mi capita di ascoltare i lamenti di chi si sente messo all’ultimo posto, non valorizzato, di chi si sente magari disprezzato e insultato, mi accorgo che ciascuno di noi, io stesso, rischia continuamente di ritornare all’ovvietà, di dimenticare le Beatitudini, di allontanarsi dalla via di Gesù”. Per essere in relazione occorre ‘essere’: né perdersi nella tentazione di possedere l’altro distruggendolo, né annullare se stessi nell’altro. Ma scoprire se stessi nell’altro, senza fuggire da sé, anzi approfondendo la propria vita interiore… E io che cosa sono disposto davvero a mettere in conto?

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

 

Quel bisogno di essere ‘connessi’…

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apr 20 2015


jappoSoli, isolati e -disconnessi- si muore. Perché vivere è
essere-insieme: vibrare con ognuno, percepirne privazione, disperazione, gioia e – lontani dalla razionalità del calcolo e della convenienza – esserne commossi fino alle viscere. Ma l’arte di ‘connettersi’ rimane costantemente e inguaribilmente da imparare e reimparare…    

Un’epoca senza compassione?  
Smania di visibilità e di apprezzamenti, domande nel cuore senza risposta… Nella terra arida della vita di tanti si vive più o meno consapevolmente una quotidiana guerra emotiva gli uni contro gli altri. Feriti, risentiti – e prigionieri dell’ansia, della rabbia e del biasimo che ne derivano – si conosce la più intensa delle sofferenze. Si vivono insomma giorni di lacrime, chiusi come si è nel proprio giudizio e incapaci di vedere e/o di reggere i propri punti di difficoltà. Risulta troppo difficile fare posto a quell’emozione che fa uscire letteralmente da se stessi. E al cuore viene a mancare la capacità di riconoscersi in quegli altri che appaiono diversi e difficili. La possibilità di comprenderne il dolore e di condividerlo tende a svanire, insieme al senso di umanità. Inevitabilmente, in tale situazione, la connessione umana - che si esprime nello spiraglio di uno sguardo, nella luce di un sorriso, nella presenza che interroga e chiede di rispondere, come ha ben detto Levinas – si blocca.

In realtà lo stesso termine ‘compassione’ oggi è caduto in disuso. D’altra parte non è propriamente semplice cercare il sapore del bene in situazioni dove spesso l’unica cosa salata sono le lacrime. Una cosa però è certa: questa terra con i suoi poveri e le sue spine, con il suo sangue e la sua fame è il cielo di Dio (E. Ronchi); e i semi che nel suo grembo marciscono in realtà danno vita a frutti nuovi. La fede ce lo dice e i discepoli del Signore – chiamati come sono in quest’ora storica ad essere seme di Dio in terra – non possono dimenticarlo. Sapranno essi seguire Cristo, icona della vera compassione? E sull’esempio del Maestro sapranno vivere una vicinanza totale alla sofferenza degli uomini e delle donne che incontrano sul loro cammino, diventare luogo dell’azione di Dio, arricchire l’eredità dei secoli?… O vivranno rassegnati nell’impotenza?

Lungo una strada oggi poco battuta… 
È tanto comune preferire non interrogarsi veramente e non interrogare la storia. Accettare i fatti senza andare a fondo dei problemi e quindi senza una vera speranza. Semplicemente cercare di tirare avanti, per … sopravvivere e con tanta fatica. E intanto magari limitarsi a ‘guardare’ la realtà e le persone facendo solo chiacchiere e pettegolezzi che ‘uccidono’ (papa Francesco).

… qualcuno sa ‘vedere’ e ‘connettersi’
untitledSolo l’occhio contemplativo di chi si fa discepolo di Cristo – assicura Massimo Grilli - sa vedere  tra le possibili macerie della storia il fiore che sboccia e, sul tronco secco della propria
vita o della propria comunità, il germoglio di cui parla Isaia.
Certo è che tutto trova senso se si vive nell’amore, anche il negativo della vita, anche riconoscere i propri giorni pieni di promesse non mantenute. Perché non siamo Dio. Il Vangelo ci dice che solo Dio è compassionevole, non noi (H. Nouwen). E la fede vera non si nutre dei propri meriti, ma rimette la crescita nelle mani di Dio. In ogni caso mettere in discussione se stessi e le proprie certezze apre realmente al cammino di Dio e permette anche, se è necessario, di ricominciare da zero.

Lungo la via dei discepoli…
La compassione non è un valore qualunque; è al centro del Vangelo, nel quale ogni ansia umana trova risposta. Può dare forma ai rapporti anche nel nostro mondo, che funziona in modo terribilmente utilitaristico. L’autentico compito dei cristiani, in ogni tempo, è spendersi per il grande sogno di Cristo: la universalizzazione della tenerezza nel mondo. Questo e non altro, Gesù ha affidato a quel pugno di fratelli-amici che ha chiamato a seguirlo per portare al mondo la ‘buona notizia’ del Vangelo… Ripensarsi a partire dagli interrogativi che stavano a cuore a Lui, Figlio di Dio, quando camminava fra le nostre case e seguiva con tenerezza e amore il cammino di ogni uomo.

1422059950_10947255_1558042994452929_8018057496822169169_nCon la compassione ci sono sempre inizi, che non hanno mai fine. Ma forse tutto sta nel fare un primo passo per uscire dalla sensazione che non ci sia più tempo per fermarsi, guardare l’altro, accoglierlo, ascoltarlo… E fermare così quel tempo che rinchiude progressivamente l’essere umano nella solitudine. La saggezza poi sa che cosa contribuisce alla sofferenza e ciò che le mette fine; sa individuare anche nelle situazioni più disperate il vero, il buono e il bello, che magari è piccolo e fragile, ma accende la luce e alimenta la speranza. Salva perciò la compassione dall’essere solo un’emozione e non si ferma sul piano della… buona intenzione! Perché la fede intensa – confidava Martini a Scalfari – è una passione, è gioia, è amore per gli altri e anche per se stessi, per la propria individualità al servizio del Signore.il sentimento oggi forse più inattuale può tornare protagonista

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Fra Parola e parole umane

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apr 07 2015

Ogni persona è incline a rimpicciolire le speranze e a ridurle di giorno in giorno di fronte alle delusioni. Ma quando si apre il cuore alla Parola nella verità, si arriva anche al cuore della libertà; tutto il resto si offusca e non conta più, insieme alle parole che fanno male. E la vita si trasforma in un’avventura di crescita e di bellezza. 

Per rimanere nell’amore…
insiemeIn un tempo di sradicamenti come il nostro, troppi sono i canali comunicativi bloccati o intasati. Questo in ogni ambiente, compresi i conventi. E una folla di solitudini grida il proprio bisogno di essere guarita. Alla radice di tale incomunicabilità umana – suggeriva C. M. Martini – c’è una visione grandiosa e affascinante dell’ideale comunicativo, ma anche sbagliata per eccesso. Si vuole cioè troppo e subito…ciò che nessun comunicatore umano può dare. Le comunità religiose in tale contesto hanno qualcosa da aggiungere, una direzione da indicare ad un mondo angosciato e distratto? Sono ancora in tal senso profezia di speranza?

“È proprio l’amore di Dio che dà senso ai piccoli impegni quotidiani e anche aiuta ad affrontare le grandi prove … È il vero tesoro dell’uomo!”, dice per esperienza papa Francesco. Per ognuno in realtà l’inizio della vocazione è accorgersi che Qualcuno gli sta sorridendo. Allora quando la persona si ritrova in cappella con tutto il proprio essere, la sua solitudine si colma di presenza e i problemi si immergono in un invisibile, incomprensibile mistero d’amore. Il tempo vissuto e quello che attende come un dono da riempire di vita sono lì. Il che consente di mettere in fila le priorità. Poi sotto lo sguardo di Dio – quello che davvero definisce ognuno – è più facile fare le ‘cose’, o cercare almeno di farlo. E la persona conosce la gioia di essere invasa da un amore che è oltre ogni misura.

Ma se in passato molte cose – silenzio, meditazione, adorazione … – erano ovvie e, così, facilmente diventavano una routine, oggi sono necessari momenti contemplativi più consapevoli, espliciti, personali per poter fare esperienza dell’unico Amore che conta e comunicarlo. Le persone consacrate oggi si pongono controcorrente solo con il loro “rimanere nell’amore” (Gv 15,9). Cosa questa quanto mai necessaria se si pensa alla fretta, alla frenesia, spesso alla superficialità dominanti un po’ dappertutto, nelle quali “si sono perse le risposte profonde della vita dell’uomo. E quel che è peggio, si sono dimenticate le domande” (Z. Bauman), che pervadono il destino dell’uomo.

… uscire allo scoperto!
“Comprendere le cose in modo nuovo apre nuovi modi di vivere” riflette T. Radcliffe. Gesù, inviando i discepoli ad annunciare la buona notizia del suo Amore, non discute con loro di piani satsag3714_zps56274beao di strategie. Sembra quasi che non gli interessi quello che ognuno fa. Solo chiede: “Mi ami tu?”. In altri termini: hai fiducia in me? E ancor prima: batte davvero il tuo cuore, o nel tran tran quotidiano si è fatto vuoto, desolato, ‘indurito’?… Perché in realtà “l’opposto della gioia non è il dolore, è la durezza di cuore” (T. Radcliffe), quella che rafforza l’egocentrismo e blocca; invade i pensieri e i sogni; fa credere di essere il centro del mondo e riempie di arroganza; facilmente fa troppo pieni di parole, congetture, supposizioni, astrazioni, giudizi che rischiano sempre di ‘ustionare’ il prossimo… E via elencando! Papa Francesco invita a guardarsi dentro nel guazzabuglio e chiedersi: “Hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose?”. Certo per un cuore che non ha conservato l’inquietudine della ricerca diventa decisamente difficile percepire nel quotidiano il “seguimi” di Cristo e orientarsi alla sua luce; come pure capire il prossimo e il mondo. E probabilmente anche se stessi. Il cuore, infatti “da sempre, arriva dove la mente si ferma. Non perché sia migliore. Segue solo un’altra strada” (B. Severgnini). Ed è forse per questo che della propria storia – come scriveva Pavese – “non si ricordano i giorni; si ricordano gli attimi”, quelli nei quali sono in azione i ricettori dell’empatia.

Lo strumento dell’empatia
emozioni-1Il dono naturale di condividere gli stati d’animo è concesso a molti, ma non a tutti. Tra i fortunati, c’è chi lo coltiva e chi lo trascura. Eppure una bussola emotiva può mettere in grado di leggere le situazioni a partire dalle radici e l’intelligenza emotiva, come strumento umano per comunicare, funziona. Certo essa è un po’ come la fiducia: può essere tradita perché le emozioni  - che arrivano sempre prima dei ragionamenti e dei fatti – hanno due facce, una oscura e l’altra luminosa. L’esperienza dei grandi ‘populisti’ di ogni epoca ha molto da raccontare su questo… In genere, comunque, alle radici del fallimento comunicativo è l’atteggiamento di fondo del voler dominare e identificare con sé (scimmiottatura della vera comunicazione!!) come pure la fretta di comunicare; o il cercare di salvarsi con tutti senza però impegnarsi con nessuno; l’agire in modo che nessuno possa criticare il proprio comportamento e navigare tra le parti senza compromettersi… Ma così non si vive.

Comunicare: arduo, ma possibile
Sono le parole buone che guariscono e benedicono. Ed è chi ha sopportato un grande dolore che riesce a pronunciare le più forti parole di vita, quelle che aiutano a scoprire la verità di sé e della natura umana, e a raccogliere le persone per fare comunità vive. La sfida certo richiede profondità, attenzione alla vita, sensibilità spirituale… Ma quando si comunica mettendo in imagesgioco se stessi e accogliendo l’altro per quello che realmente è, certamente si diventa punto di riferimento per chi vive accanto. Il coinvolgimento personale infatti è la radice stessa dell’affidabilità.

Perplessi e confusi come tutti, i consacrati – lasciando che il Vangelo riporti il proprio cuore al silenzio – possono testimoniare che Gesù è maestro della comunicazione per chi si dispone a seguirlo nel cammino della speranza indicato da lui. Con Gesù comunicare rimane certamente arduo, ma possibile e gratificante. Così scegliere di incontrare chiunque non abbia nessuno aiuta a purificare le parole dal veleno implicito. E i propri fallimenti, accolti dalle mani di Dio, diventano parte del viaggio verso di lui. Soprattutto possono costruire comunione con tutti gli uomini che aspirano a qualcosa di più di quanto non sia puramente umano. Questo ‘di più’ si può solo chiedere come un dono. E intanto fare la propria piccola parte.

  Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

La grande transizione

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apr 01 2015

orme_di_Cristo  La grande transizione

nella riflessione di Luigino Bruni, 

che, su un tema attinente,

sarà relatore  all’Assemblea Nazionale USMI

dell’8-10 aprile 2015.

 

 

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