Archive for novembre, 2011

Il nostro avvento

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nov 24 2011

Mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza

(canto al vangelo 1ª domenica di Avvento)

Quante volte il popolo della promessa, in cammino tra fitte tenebre, oppresso dall’ombra della morte e dalle tribolazioni della schiavitù, minacciato dalla tentazione, percosso e umiliato da mille contraddizioni, ha innalzato al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe questo grido:

mostraci o Dio la tua misericordia e donaci la tua salvezza”.

E’ il grido della speranza.

Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce.

E’ la luce della promessa che si veste di attesa di un dono futuro, ma che il popolo pregusta nel presente come nube che lo guida e lo copre con la sua ombra, o come palla di fuoco che nella notte gli apre un varco camminando davanti ai suoi passi.

La speranza del popolo eletto non poteva spegnersi dentro di lui perché sapeva che Dio mantiene le sue promesse. Pensiamo ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, a Mosè, a Maria. Noi oggi sappiamo che ogni promessa si è adempiuta in Cristo.

 Mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza

 A questo grido costante del popolo dell’Antico Testamento fa eco l’ultima parola della Chiesa sposa: Maranathà, vieni Signore Gesù.

Intravediamo qui come ogni tempo e qualunque momento del viaggio umano su questa terra sia attraversato da un brivido che va verso l’altro ed uno che scende verso il basso.

Noi gridiamo a te Signore, le tue mani si aprono e tu ci riempi dei doni della tua promessa (cfr Salmo144).

In questo nostro tempo, bello e tormentato, sembra però che l’uomo abbia smesso di implorare, forse il suo viaggio ed i suoi affari terreni lo hanno portato lontano, forse non vede più la luce che ancora brilla davanti a lui vicino o lontano, forse si è perduto nella selva intricatissima delle sue passioni, forse ha anche perso la memoria e non si ricorda più delle promesse di Dio; egli cammina a tentoni, gli cresce la disperazione dentro impedendogli di invocare.

Noi, religiose, camminiamo proprio in questo nostro tempo, in questo nostro mondo e siamo circondate sempre più da un panorama squallido: l’uomo fa da solo, non si ricorda di Dio, fa sempre di più a meno di lui, è indifferente e non si stupisce più per la sua  venuta in mezzo a noi, non pare neppure proteso verso un fine ultimo che inesorabilmente avanza.

Dilaga invece sempre di più una cultura materialista per la quale celebrare il  natale felice vuol dire concludere il pranzo con il pandoro bauli,  oppure ricevere o regalare un iPad o un iPhone, ecc.

Ma Dio ha suscitato il carisma della vita religiosa nella Chiesa perché fosse lungo la storia degli uomini, una memoria vivente del vangelo della speranza.

  Mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza.

Sono convinta che, oggi, per tutte noi religiose vivere l’Avvento del Signore acquista un significato molto forte quando riusciamo con la nostra vita, con la nostra testimonianza quotidiana e, con la nostra parola, ad aiutare i nostri fratelli “smemorati”. Essi hanno un Padre che li attende, un Fratello che vuole venire a dimorare nella loro casa e possono ricominciare a gridare: mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza: Gesù.

Una sorella infermiera si accorse che un paziente aveva molto bisogno di verità e di amore. Tutte le volte che veniva alla clinica per una visita o una cura si accostava a lui, e con delicatezza e discrezione gli dava il tempo per ascoltarlo fino al momento in cui poteva proporgli una parola di speranza, una parola del vangelo. Un giorno la suora venne a sapere che l’unica preghiera che quell’uomo conosceva era il “Padre nostro”, forse insegnatogli dalla madre. E così ogni volta il dialogo tra i due si concludeva con la preghiera del “Padre nostro”.

Dopo vari anni, lo stesso paziente ritorna alla clinica per un intervento chirurgico, ma prima di essere ricoverato chiede della suora  perché le vuole parlare.

Vuole accostarsi alla confessione sacramentale, dopo 60 anni che non lo faceva.

Al termine della confessione chiese al sacerdote di pregare insieme con lui il Padre nostro.

Mirabile incontro tra la misericordia di Dio e la creatura umana che ha ricominciato ad invocare; mirabile filo d’oro che la suora ha saputo tessere e trasformare per il fratello in memoria del vangelo.

Che sia questo, in ogni nostra giornata in mezzo ai fratelli, il nostro Avvento di Natale!

Sr Viviana Ballarin op

Presidente USMI Nazionale

Struggente nostalgia di futuro

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nov 18 2011

Niente ‘nuovo mondo, nuove idee’

Nuovo mondo, nuove idee: erano le parole d’ordine lanciate dai leader delle maggiori economie mondiali per il loro incontro a Cannes. Ma il summit dei ‘Grandi’ è poi terminato e nessuna ricetta o strategia risolutiva ne è uscita. Se è vero che gli eventi della vita, soprattutto quelli dolorosi, arrivano per farci cambiare rotta, nell’attuale mondo (economico e non solo!) la necessità di cambiamento rimane e anzi si fa sempre più urgente. La crisi di sistema infatti continua ad imporre una radicale rifondazione delle regole sulle quali basare l’economia del pianeta! E in noi rimane la struggente nostalgia di un futuro migliore del passato.

“Una sola cosa da fare”

Il vecchio maestro Ermanno Olmi confida: “Ho capito che c’è una sola cosa da fare oggi: cambiare, cambiare il mondo, certo, ma prima di tutto noi stessi. C’è in giro troppo disagio, ci sono troppe differenze, troppa vergogna, troppe cose inutili. Così come stiamo vivendo adesso, anche dentro di noi, si precipita solo in un baratro, a meno che ciò non sia già accaduto”. Impegnarsi per ‘cambiare’, coltivando in sé nostalgia di futuro, è un grande inno alla vita!

La storia insegna e chiede 

Ma  non esiste un mondo alternativo a quello in cui ci troviamo a vivere dal quale iniziare il ‘viaggio’ per cambiare. Il cambiamento può venire unicamente da quelle scelte concrete che in noi nascano da:

-         un senso di giustizia diverso da quello imperante;

-         il rispetto dell’altro, qualsiasi altro, ricordando che se il razzismo (di qualsiasi genere!) è una cattiva cosa, evitarlo è questione di civiltà;

-         il ritorno necessario all’onestà; e, per un cristiano, l’impegno nella carità;

-         in sintesi: il ripensare il nostro essere oggi al mondo, a questo mondo, per viverci con fondata speranza  e fedele impegno.

È la storia che chiede tutto questo, se non vogliamo che sia la storia a cambiare noi.

Incapaci di amare ‘per sempre’?

Come è avvenuto in fretta, per esempio, il trapasso da un’umanità che incentrava sul matrimonio i riti della maggiore età e del distacco dai genitori, alla nostra che si stacca più tardi e quasi senza accorgersene, andando a convivere un po’ per volta e si sposa, se si sposa, quando matura il libero convincimento al matrimonio. Le nozze sono scese al minimo storico ed è quasi possibile prevedere statisticamente la durata dell’unione. Aumentano anche i bambini nati fuori da tutti gli schemi della psicologia della coppia, senza che i compiti dei genitori siano integrati. Certo nel nostro ambiente liquido-moderno la fedeltà a vita è una grazia, inseparabile da varie disgrazie.

Futuro oscuro…

Il punto è che stiamo vivendo una deriva della società verso l’individualismo.

Così, con facilità:

- si passa da un desiderio di consumo all’altro secondo il modello dell’usa e getta;

- si misura ogni azione con il metro del consumo;

- ci s’impegna in un rapporto finché se ne ha voglia senza assumersi alcun tipo di

  responsabilità;

- si misura anzi la validità di una relazione secondo la clausola del mercato soddisfatti o

  rimborsati.

Famiglia e scuola, d’altra parte -come pure ogni altra istituzione- non sembrano più essere in grado di elaborare significati condivisi, né di assicurare la coesione necessaria a una vita serena e significativa.

…senza un cambio di rotta!

Il problema vero è che mentre fa paura il ‘per sempre’, in tutti rimane il bisogno di un amore pieno, fatto di relazioni solide e vere nelle quali tutto avvenga nell’autenticità, in piena rispondenza fra ciò che si sente e ciò che si fa. E senza perdere la propria individualità nel  confronto intellettuale ed emozionale che si vuole continuo.

I nostri giovani, soprattutto sugli ultimi punti, non sono disposti a compromessi. Certo questo li porta facilmente a lasciarsi al minimo problema per cercare nuove emozioni e nuove esperienze. Essi in effetti sono in parte il prodotto di questa società che siamo noi, del suo grado di complessità, delle incertezze che vive, di un futuro che oggi ha pochi punti di riferimento stabili. La rispecchiano. Noi li abbiamo riempiti di “niente” e oggi sono i più poveri tra i poveri. Eppure in essi possiamo intravvedere l’indicazione di nuove vie possibili per tutti.

Sono messaggi per tutti, per esempio, la ricerca infaticabile di autenticità; l’impegno pragmatico e appassionato per essere solidali; la generosità nel creare unione nei momenti difficili per essere più utili. La loro risposta semplice ed efficace al dramma dell’alluvione prova che dai giovani può ripartire anche la ricostruzione dell’Italia. 

Vivere è imparare ad amare

“Con tutto il denaro di questo mondo non si fanno uomini, ma con uomini che amano si può fare qualsiasi cosa” (Abbè Pierre). L’amore da sempre è la preoccupazione essenziale, confessata o no, di tutti gli uomini e di tutte le donne, sotto ogni cielo. Il bisogno di sentirsi utili a qualcuno che non può vivere senza di noi e con il quale condividere pienamente la propria avventura nel mondo.

Passi possibili

Una tra le poche cose in cui non si può normalmente fingere è nel fidarsi. Come nella fede, così nell’amore: o uno ci sta o non ci sta. Ma l’amore (come la fede) non è incorruttibile. Diventa invincibile solo se accetta continuamente di misurarsi e commisurarsi alle esigenze del bene e della felicità del prossimo; se si fa capace di piegarsi sulle sue necessità fino a lasciarsi toccare dai suoi desideri più veri e più profondi. E’ l’amore incondizionato che fa sbocciare nella persona un atteggiamento spontaneo e fiducioso verso l’esistenza, la sensazione rassicurante di protezione e nutrimento, il senso di dignità in quanto esseri umani a prescindere da identità e posizione sociale. E allora, ricchi di questo, si può guardare avanti.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Sublime natura dentro la storia

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nov 09 2011

La sfida: scavare e ‘ascoltare’ per capire

Non vi è nessuno dal quale non si possa imparare. Questa volta saranno forse le persone – i cui corpi sono stati trascinati a valle da fiumi di fango anche per chilometri prima di poterne uscire vive – a insegnare a noi. Se sapremo ascoltarle.

Negli ultimi cinquant’anni, un po’ dappertutto sul nostro Pianeta abbiamo:

-         sfruttato le risorse della Terra in maniera sconsiderata e opportunistica;

-         ridotto la materia a possesso egoistico e l’esistenza ad essere un’affannosa corsa a possedere il più possibile;

-         accresciuto a dismisura le distanze tra ricchi e poveri…

All’improvviso -in un territorio limitato della Liguria e della Toscana settentrionale molto vicino alla nostra vita quotidiana- si verifica una precipitazione di tipo veramente anomalo per la quale acqua e fango travolgono tutto: i beni di chi vi abita e tante vite umane. È la fine anche per uno dei nostri siti più prestigiosi presenti nella lista “patrimoni dell’umanità”: un concentrato unico di natura, storia e cultura, straordinario biglietto da visita dell’identità italiana fondata su bellezza e cultura. L’equilibrio delle Cinque Terre celebrato dall’Unesco si è rotto.

Insieme a tutto questo e ai dolori che diventano comuni, forse, rimane travolto anche quel caos che siamo tutti quando non permettiamo alla mano di Dio di riposare sul nostro capo. Questo, almeno, nell’attuale calamità possiamo augurarcelo.

Territorio a rischio di frane e tutela ambientale

L’alluvione ha provocato tale devastazione da ottenere il riconoscimento di calamità nazionale. L’evento quindi è stato di una gravità eccezionale. Ma tutte le regioni italiane sono più o meno a rischio di frane disastrose a causa dell’eccessivo consumo di suolo. Da anni infatti l’Italia è il primo esportatore mondiale di cemento e il secondo consumatore (dopo la Cina!) e ogni anno sul suo territorio sono cementificati circa 500 chilometri quadrati, pari a tre città di Milano. La gestione del territorio in sintesi è poco corretta.

Negli ultimi decenni si sono intensificati infatti abusivismo edilizio e interventi per regolare il flusso delle acque in aree a rischio di esondazione. Gli alvei dei fiumi e dei torrenti sono stati rettificati, ristretti e ingabbiati entro sponde di cemento, con gravi ripercussioni sulla fisionomia dei corsi d’acqua e sugli equilibri ambientali. Le precipitazioni, non riuscendo ad infiltrarsi più nel sottosuolo, ‘ruscellano’ in superficie e travolgono tutto.

L’attuale dissesto territoriale insomma, come molti che lo hanno preceduto, di naturale ha molto poco… Deregolamentazione, speculazione, illegalità sembrano purtroppo entrate a far parte integrante della nostra cultura. Non a caso l’Unesco sta valutando, da qualche anno, la possibilità di escludere molti dei nostri siti più belli dalla lista dei “patrimoni dell’umanità”. Abbiamo però la possibilità di decidere di cambiare rotta. E subito.

Assunzione di una responsabilità collettiva

L’attuale contesto di grave crisi economica e di civiltà, chiede che ognuno di noi:  

-         prima di agire si fermi a riflettere

-         cresca nella consapevolezza della situazione drammatica in cui abbiamo costretto il nostro Pianeta

-         si apra all’assunzione di una responsabilità collettiva.

Aprire dibattiti e lavorare insieme è la via. Non possiamo infatti delegare questa scelta ai politici, che spesso sono addirittura disinformati o in conflitto di interessi. E anche pensare di fare da soli è troppo poco, perché è sempre troppo facile ai singoli scegliere se stessi e aprire di nuovo la porta al caos.

Messa in sicurezza del territorio

La persona credente poi è chiamata a lasciarsi muovere da un’altra motivazione, che riassume tutte le altre: Dio affida la creazione all’uomo non perché eserciti ‘dominio arbitrario’, ma perché la custodisca come un figlio può prendersi cura del patrimonio del Padre (Benedetto XVI). Da tale consapevolezza nasce l’imperativo di attuare una gestione corretta del territorio che metta al primo posto la sicurezza dei cittadini coniugandola alla tutela ambientale. Perciò la necessità di:

-         ripensare a un governo del territorio, che in Italia è praticamente assente

-         mettere a frutto i grandi saperi tecnici e scientifici che possediamo per agire sul fronte della prevenzione

-         intervenire con rimedi che tengano conto anche dei nuovi cambiamenti climatici, dei quali oggi sono le popolazioni più povere a pagare il maggior prezzo.

È assurdo che si spendano miliardi di euro per risanare danni causati da emergenze idrogeologiche prevedibili e previste. E i reiterati annunci di condoni edilizi o sanatorie, per far cassa con gli oneri di urbanizzazione, non sono più tollerabili.

Speranze per una storia nuova

“Nell’agitarsi frenetico della società contemporanea, rallentiamo, appartiamoci e pensiamo, anzi, meditiamo”, invita il cardinal G. Ravasi. La riflessione certamente è condizione per ripartire – anche dopo la calamità di un’alluvione – nella libertà e nella fiducia. Ma anche alla fatica di dar vita a una nuova intelligenza comune unendo le forze in una direzione comune non esiste alternativa reale. Su questa via i nostri figli e nipoti vivranno forse in un mondo con meno energia e meno abbondanza. Ma forse con più efficienza energetica, più giustizia sociale e più felicità.

E’ un compito che tocca tutti, forse particolarmente chi, come i consacrati e le consacrate, hanno doveri e possibilità formative nell’ambito educativo, assistenziale, familiare, pastorale, catechetico, di evangelizzazione, di annuncio. E’ scritto nelle prime pagine della Genesi: “Il Signore Dio, prese l’uomo  e lo pose nel giardino dell’Eden perché lo lavorasse e lo custodisse”.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it