Archive for luglio, 2013

“La terra non basta per l’uomo”

Senza categoria | Posted by usmionline
lug 31 2013

9923La diversità – cercata e accolta – relativizza e arricchisce, rende più pensosi e più consapevoli, distoglie dalla concentrazione spasmodica sulla vita terrena con la lungimiranza di chi pensa al futuro.

Davvero la diversità divide?

Una verità molto semplice di cui ognuno può fare esperienza ogni giorno: non è la diversità che divide. Essa anzi è proprio ciò che rende possibile l’incontro con, quello che mette in comunicazione e in comunione, l’obiettivo verso il quale con tutte le forze cerchiamo di muoverci in ogni istante, anche quando camminiamo per strade che di fatto ce ne allontanano. In realtà ciò che dà senso e fondamento all’intera esistenza umana e alla vita di ogni uomo è l’esperienza di relazioni vere, quelle che si realizzano non malgrado, ma grazie alle diversità e rimanendo in esse. Se questo è vero (come è vero), allora è proprio chi si trova a dover lasciare la sua casa, o a non averne ancora una, che contribuisce oggi più che mai a portare alla luce tale verità, perché “la patria del senza patria è l’altro’ (Flusser). Quell’altro che si fa approdo e non barriera, inizio e non fine di ogni speranza.  

Sull’onda dell’allarmismo…

Eppure nell’epoca della più grande mobilità della storia, stiamo assistendo a una massiccia e  crescente violazione dei diritti umani nei confronti di chi non ha terraferma_1casa: rom, immigrati e ‘senza fissa dimora’ sono gli ‘incriminati di dovere’ quando viene compiuto un reato. La legge Bossi-Fini in Italia non riconosce gli immigrati come soggetti di diritto. Li ammette solo come forza-lavoro, pagata a basso prezzo e da rispedire al mittente, quando non serve più. Le economie ne richiedono l’assunzione definendoli irregolari e dando loro un’identità che li fissa in una posizione di inferiorità e di mancanza di diritti: un esercito di invisibili ricattabile e sfruttabile.E questo nella quasi indifferenza dei cittadini italiani, che - in nome di una fantomatica ‘sicurezza sociale’ – sembrano aver fatto propria la trilogia: ‘immigrazione – criminalità e terrorismo – insicurezza’. In ogni angolo della terra peròzizzania e buon grano sono profondamente intrecciati, nascosti nel cuore di ognuno e di ogni cultura. Ed è quella zizzania che fa crescere un po’ dappertutto quei ‘fazzoletti di  periferia’ dove si ritrovano a vivere persone alle quali5807-barboni più che un tetto, manca un ‘focolare’. Persone sulle quali si posa quotidianamente solo lo sguardo fugace di chi passa o che vive lì accanto, e non vede e non osserva, perché non vuole osservare. Eppure è guardando i margini e le periferie che si scopre il centro. E attraversando l’altrove si può scoprire il proprio dove … Questo però se si ha il coraggio di lasciarsi aprire da chi si incontra, e non con un’apertura programmata a partire dai propri gusti e dalle proprie misure!! L’unità fra le persone non è mai esistita, come ci piace fantasticare, solida e immutata nel tempo. Essa va invece costruita, verificata, ristrutturata…

… l’ospitalità in azione è la sfida!

schermata-05-2456061-alle-23-29-44Non si tratta di sopportare eroicamente la diversità, in nome di una pseudo-convivenza pacifica e con tutto il fastidio e la diffidenza che essa comporta, per superarla però appena possibile. Via per costruire l’unità è farsi umilmente capaci di ospitare in sé l’altro che è sempre ‘diverso’. Darsi da fare cioè per creare insieme un ‘posto’ sicuro dove ospite e ospitato possano fare esperienza di fiducia e di accettazione reciproca, in cui sia possibile un’intima conoscenza reciproca. Il che richiede un vero esodo da se stessi, dal proprio piccolo mondo e opinioni verso il mondo considerato dalla prospettiva dell’altro. Lasciarsi disturbare dal mistero che l’altro è e spogliarsi della pretesa di possederlo e di manipolarlo richiede un passaggio che è rottura con l’essere concentrati su se stessi e non risulterà certo indolore.

Raul Follerau a questo proposito invita a riflettere: “Pensate a voi stessi, e poi pensate a voi stessi e infine ancora a voi stessi. E’ il vostro universo. Va bene. Ma allora non dite più che siete cristiani”. Non sarà che la verità di Dio uni-trino non ha ancora rivoluzionato realmente la mentalità dei cristiani, la loro coscienza, il modo di pensare e di vivere le relazioni? Non viviamo tempi facili, ma cristiani si è proprio nelle bufere storiche – grandi o piccole che siano – tenendo davanti agli occhi il criterio della croce, che permette l’unica esperienza davvero indicibile e affascinante della vita.

E muoversi verso l’unità nella vita comune

L’unità, parola  chiave del Vangelo, non è certo un elemento naturale nella vita insieme. È invece impegno interiore e sfida continua ad ascoltarsi a vicenda. Nel multicolored crowd #2percorso per imparare a farlo, il compito più delicato è quello delle persone che nel gruppo sono rivestite d’autorità. A loro infatti spetta di trovare la via per coinvolgere, attraverso il dialogo, nelle decisioni da prendere; di condividere le responsabilità interpellando chi forma il gruppo e accettando discussioni e consigli. È loro il compito di saper decidere e poi far sì che le decisioni prese siano eseguite. Nel momento in cui il sentire comune riesce a toccare il cuore di tutti i componenti di un gruppo, allora, dal magma delle differenze, si può arrivare alla costruzione di una decisione che ne esprima in qualche modo la passione. Certo non si può costringere nessuno all’unità, ma si può operare per promuoverla.

Purtroppo nel nostro quotidiano così limitato è più facile muoversi insieme verso una falsa unità. Questo succede quando l’autorità chiede un parere ad altri e non ai membri del proprio gruppo. Sollecita, magari con sincerità, la saggezza del proprio gruppo, ma si aspetta solo la replica di ciò che è già deciso. Impone insomma l’uniformità, che in genere il gruppo accetta: per tradizione, per interesse sociale, o semplicemente per abitudine. Così avviene che, preoccupato di dare risposte orientate a fare un unico punto di vista, chi riveste l’autorità non è in grado di cogliere le domande vere del gruppo. Il consenso in realtà non è mai condiscendenza. E soprattutto ci si può donare realmente solo a un gruppo che non si limita a tollerare le differenze, ma le cerca. Allora il consenso dei suoi componenti non perde vigore nel momento della prova.

I costruttori autentici e segreti della storia
santi 3Il progresso vero dentro la storia è nelle mani di tanti comuni santi anonimi, che non si lasciano fermare da ciò che ai più appare impossibile. La loro è una presenza leggera, che non dà giudizi. Sempre disponibili ad agire sulla propria coscienza, apprendono le differenze e le rispettano. Sono persone che abitano nel Vangelo e sono abitate dal Vangelo, dal quale attingono la certezza che ancora, sempre, una porta si può spalancare e niente è irrimediabilmente perduto se scaturisce dall’amore. Chi di noi non conosce o non ha conosciuto una di queste persone? Capaci di dedizione infinita, mantengono intatta la loro amabilità nonostante la durezza della vita. Sanno fare tutto questo, apparentemente in modo inspiegabile, nella gioia. E dopo di loro è più facile e più bello essere umani.   

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

 

Altruismo 2.0

Senza categoria | Posted by usmionline
lug 19 2013

‘Volontari ad ore’ volano alto! Partono da presupposti culturali diversi, e sono accompagnati da un sentire positivo e inarrestabile dell’esistenza. Orientati verso un Oltre, agiscono per il bene comune e un mondo migliore. E sperimentano una gioia più matura e più forte della fatica e del dolore.

Nuovo orizzonte cercasi

The_cleaning“È grande vanto dell’umanità essere giunta a intuire l’esistenza di comportamenti che sono al  di sopra del piacere, del guadagno e dell’interesse; comportamenti che non hanno prezzo perché sono al di là di ogni apprezzamento terreno” (C. M. Martini)

In un mondo che va sempre di fretta e dentro una crisi fatta di troppe parole, zero fatti (o quasi!) e tanto interesse personale, il volontariato si evolve e anche in Italia diventa a ore. Sono i “volontari liquidi”, che cercano di bruciare in alcuni gesti il proprio patrimonio di calcolo e tristezze. Veloci, elastici e… migliori! Danno una mano, ma non accettano legami, perché non sopportano (o non possono  permettersi) un impegno fisso. In genere si limitano a un servizio mordi e fuggi. ‘Liquido’ si sta rivelando la formula giusta per questo nostro tempo. Di fatto risveglia bontà tra gli animi più insospettabili, in persone che non avrebbero mai pensato d’impegnarsi nel sociale. È il via al boom dei network della solidarietà flessibile! Altruismo 2.0, dunque: si consulta in rete il calendario di chi ha bisogno e chi vuole si prenota in base alle proprie possibilità e competenze: un nuovo modo per passare il tempo libero, un vaccino di gratuità che ridà alla società servizio vero e credibilità… In sintesi: un nuovo orizzonte!  

‘Chi posso aiutare oggi?’   

SOCIALE in giudicarie - officina del sogno“Solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano  davvero”(Mahatma Gandhi). In realtà, radicati come siamo tutti nella società attuale particolarmente individualista, è facile pensare che dietro a ciò che il volontariato offre debba esserci necessariamente un guadagno. Si dà un estremo valore al guadagno immediato e si è restii perciò di fronte alla possibilità di fare esperienze che generano affetto, riconoscenza e possono aprire nuovi orizzonti sociali. D’altra parte quante sono le storie di truffe che arrivano alla cronaca e rendono difficile credere alla buona fede di chi opera onestamente! Così molti restano chiusi all’esperienza del volontariato. Per quello che li riguarda pensano di non avere il tempo, né le capacità necessarie.

Migrare dentro gli spazi di gesti liberi e totali

Volontariato2Si sta davvero come le foglie sugli alberi. Le stagioni passano e cambiano per tutti: così anche  la vita, la forza fisica, la mente … In ogni tappa e in tutti è la fame almeno di un sorriso, di una voce che in qualche momento cruciale domandi con il cuore: come stai? La fame di un semplice gesto, che pur muto e senza eco, risulta più utile di tante azioni clamorose. Perché ogni esistenza umana è abitata da una solitudine in-finita, mai finita, non solo nei luoghi di coppie separate, figli contesi, anziani soli… Anche nello spazio del vicino della porta accanto o in quello della persona che lavora nello stesso ambiente. Ovunque è possibile creare e vivere luoghi dove non si applica la legge del conto e dimenticare se stessi dietro il mistero del ‘tu’. Tali ‘luoghi’ quando ci sono, sono regno di Dio. E quando si mettono insieme costituiscono una rete di realizzazioni che realmente può cambiare qualcosa di importante sulla faccia della terra. Certo siamo perennemente in condizione di lotta, tuttavia abbiamo la certezza che la forza dello Spirito non ci mancherà mai ad orientarci.

Perché lo fai?’   

“Quello che ricevo è più di quello che do”, dice chi ne fa esperienza. Qualcosa di ‘mitico’ quindi,  che si riceve dalle persone cosiddette ‘senza’, delle quali ci si fa compagni: senza tetto, senza cibo, senza salute, senza amore, senza voglia di vivere…! Persone delle quali non ci si pre-occupa, ma semplicemente ci si occupa, come e quando si può! Se ad un volontario ad ore infatti si chiede di essere o di diventare esperto di qualcosa, è di fraternità. La sua grandezza è riuscire a riconoscere le ferite di qualcuno, farsi vicino e curarle per quello che gli è possibile. In questo modo ognuno immette nella società i valori in cui crede. Succede allora che anche la propria esistenza viene investita da quell’autenticità del vivere che il volontariato – ricevuto o donato – porta con sé.

Sabato altruista nell’ItaliaAltruista

registerCosì la rete americana HandsOn, già attiva in 12 Paesi (dall’Olanda alla California) e 250 città solo nel 2012 ha messo in moto 2,6 milioni di persone e prodotto un impatto economico di 600 milioni di dollari. La prima organizzazione nata in Italia è stata MilanoAltruista, dove in 24 mesi i suoi volontari sono cresciuti di sei volte. Poi è stata la volta della capitale con RomAltruista. Qui tutti i progetti si possono fare in gruppo e se l’esperienza piace si può continuarla. La maggior parte delle attività infatti si ripete con cadenza fissa. C’è chi al sabato sera non ha impegni e cucina per quelli che vivono sotto il cielo della stazione. Chi nel suo pomeriggio libero aiuta i rifugiati a studiare l’italiano e chi trova ai piedi di una persona anziana la migliore aula del mondo per imparare. In tutti i casi un’avventura straordinaria dello spirito, che consente di essere più autenticamente se stessi, più liberi e più responsabili.

Il cuore oltre il servizio…   

“Dovessi scrivere io un trattato di morale avrebbe cento pagine, novantanove delle quali assolutamente bianche. Sull’ultima poi scriverei: Conosco un solo dovere ed è quello di amare. A tutto il resto dico no”. È un’affermazione di A. Camus, cercatore – nella sua vita e in tutti i suoi scritti – di una salvezza sì ‘intrastorica’, ma che in sé conserva i brividi della trascendenza, nella convinzione che ogni persona reclama il volto di un essere e il cuore meravigliato della tenerezza. È anche una testimonianza che chi ha fede – fosse pure soltanto nel mistero dell’uomo – avverte che la sola strada possibile per 1255604ruc39w07u4una umanità che ha un destino più alto, è sperare in una società non necessariamente perfetta, che forse non ci sarà mai sulla terra. Ma in una società più giusta, più buona di quella attuale, che si costruirà con l’impegno di tutte le persone oneste e di buona volontà. Certamente ognuno può fare di più e meglio perché ognuno è chiamato a qualcosa di “più” bello nella vita. Altrettanto certo è che tutto ciò che viene costruito solo per amore rimane per sempre e nulla potrà distruggerlo. Può cambiare davvero una società difficile e complessa come la nostra. Attraverso un andare più in là che non corrisponde esclusivamente al bisogno, ma piuttosto a una chiamata più alta. È la speranza che vogliamo reciprocamente affidarci.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

 

Lettera Enciclica Lumen Fidei

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lug 09 2013

 

Lumen fidei Piccola

All’uscita della prima Lettera Enciclica di Papa Francesco (29 giugno 2013), qualcuno si è chiesto: ha senso indire un Anno della Fede (Benedetto XVI) e un documento ufficiale sulla Fede quando tutto il tempo del cristiano è un percorso di fede?

Perché, allora, i due Papi – in notevole sincronìa – proseguono in tale impegno dottrinario e pastorale?

Per comprendere, allora, la scelta del Magistero Pontificio occorre rivedere alcune situazioni che nel recente periodo sembrano essere divenute sempre più problematiche.

Una prima questione riguarda il significato della Fede in sé.

Se sul piano teorico nessuno ha osato confrontarsi con i Papi Ratzinger e Bergoglio, sul versante delle prassi, dei comportamenti, delle scelte contingenti, si è strutturato un indirizzo di pensiero che, nei fatti, non segue l’orientamento cattolico.

In alcuni fedeli, ad esempio, si è ritenuto utile accentuare un fideismo che, nel tempo,  non ha reso più bella la Chiesa, Sposa di Cristo.

Nel fideismo l’idea centrale è che fa tutto Dio. Il credente  rimane fermo. Attende. Non è chiamato a partecipare alla costruzione del Regno. Fa tutto la Grazia. L’essere umano deve solo aver fiducia in azioni improvvise e liberanti del Signore. Il fideismo, dunque, per evidenziare al massimo la Presenza di Dio pone in ombra l’impegno umano, la risposta a una vocazione.

In altre situazioni, il comportamento è caratterizzato da una linea opposta. Quella dell’indifferenza. L’indifferente non manifesta negazioni. Non fa polemica. Non si pone in contraddittorio con coloro che operano nelle comunità ecclesiali.

L’indifferente non è neanche spettatore. Valuta la Chiesa come una delle tante associazioni che nascono e muoiono nel modo. Punto.

Esiste, poi, una linea di comportamento che confonde la fede con la filosofia. La filosofia privilegia il ragionamento. E in più casi è stato dimostrato, nei secoli,  come la dottrina cattolica ha profondamente valorizzato il contributo della ragione.

Ma i passi di taluni filosofi non  condividono una fede ragionata, ma sospettosa. Per tale motivo si preferisce piuttosto esaltare il libero arbitrio, il metodo dubitativo, le tecniche di iniziazione  all’armonia del sé e alla sintonìa cosmica.

Alcuni filosofi, quindi, affermano di essere in cammino verso la verità, ma non riescono a superare un orizzonte immanente. Tutto è concentrato in schemi umani. In logiche umane. In conclusioni verificabili nell’immediato.

La fede, però, è stata anche letta come desiderio di eternità. E in questo senso, molti autori si sono agganciati ai riti naturali, ai culti ancestrali che privilegiavano ciò che vedevano (o che temevano).

In tal senso tutta la dottrina cattolica è stata messa in discussione: da Cristo che muore e che  risorge come altre divinità pagane, allo stesso significato del pane e del vino, alla verginità della Madonna.

Nei luoghi di sepoltura di diverse popolazioni si è arrivati  a scolpire l’entrata in pietra di aree sepolcrali con il disegno di una porta.

Anche l’acqua è divenuto sia un segno di separazione tra la città dei vivi e quella dei morti, sia un rito cultuale di purificazione, sia un immagine di vita.

A questo punto  la riflessione sulla Fede si è inserita in credenze ferme oggi davanti a sepolcreti che non comunicano nulla.

Una seconda questione riguarda la Fede cattolica.

Essa non è un trattato di auto-controllo. Non indica le fasi di tecniche liberanti in un oggi problematico. Non si pone come dottrina politica che svela finalmente il segreto di una liberazione totale.

La Fede, nel Magistero pontificio, basato sulla Parola di Dio e sulla Tradizione,  non spinge verso un’auto-salvezza. E non pone al centro lo sforzo umano.

La Fede è un incontro. Con una Persona viva. Che ha parlato. Che è entrata nelle case. Che ha mangiato con l’umanità presente in Palestina nell’Ora dell’Incarnazione.

Però, la Persona di Cristo non si è limitata “a fare amicizia”, ad essere “un semplice fratello”, a ideare forme nuove di comunità religiose capaci, ad esempio, di proseguire l’esperienza degli Esseni.

La Persona di Cristo è segno. Orientamento. Fonte di liberazione dal peccato e dalla morte.

Il segno non rimanda a consigli di semplice applicazione di norme di comportamento.

Il segno non è neanche un suggerire miglioramenti a vite comunitarie costruite intorno alla sinagoga, all’elencazione di precetti, al rispetto di formalismi.

Cristo è il Segno per eccellenza perché nella Sua unica Persona si trova vera umanità e autentica divinità.

Il Signore della Storia entra nelle storie umane ma le pone davanti all’annuncio della Buona Novella. Del Vangelo.

Il Signore Gesù è orientamento perché non addita solo dei traguardi, delle nuove prospettive, e  una novità in Lui, ma perché si presenta come il Figlio talmente amato dal Padre che addirittura diventa sacramento del Padre. Parola del Padre. Manifestazione del Padre. E, contemporaneamente, perché promette l’invio dello Spirito Santo. Il Paraclito.

Gesù di Nazaret, poi, è colui che libera dal peccato e dalla morte.

Tale aspetto, ancora oggi, non è sempre compreso dai fedeli. Perché?

Forse, perché – in assenza di una visione della Storia della Salvezza -  si arriva a ritenere che Cristo è un mero “protettore”. Qualcuno da invocare solo quando l’esperienza terrena diventa “valle di lacrime”.

Ciò ha in sé qualche elemento  di verità. Ma tale dinamica ha senso se il fedele si fa accompagnare in un itinerario di fede, di speranza, e di carità. Altrimenti, l’emotività prende il sopravvento.

Davanti a un mondo moderno, specie nella ricca area occidentale, che non ha scrupoli a investire su santoni, fattucchiere, portafortuna, analisi di segni zodiacali, carte, fondi di caffè, voci dall’oltre-tomba, e che non esita a consegnare capitali per una liberazione da fatture e malocchi, i due Pontefici del nostro tempo hanno chiesto a tutti i fedeli di invertire la rotta.

È questa la terza questione da affrontare. Che significa invertire la rotta?

Significa prima di tutto non cercare né sapienza umana né episodi “straordinari”. L’incontro con la Persona di Gesù avviene nel silenzio.

Nel raccoglimento. Nella partecipazione alla vita sacramentale. Nell’ascolto della Parola. Nelle opere di carità.

Forse, alcuni fedeli non si rendono conto che ogni giorno, quando il sacerdote celebra l’Eucaristia, avviene un miracolo straordinario.

Se “quello” è un miracolo che getta luce, grazia e che ribalta la stessa storia umana, che serve andare alla ricerca di altri fatti prodigiosi?

Ricordo ancora la figura affaticata di san Pio da Pietrelcina. Usciva dalla sacrestia. Si era già incurvato e in un’ora molto mattiniera iniziava a celebrare la messa.

Andava avanti rispettando i tempi previsti per quella celebrazione nella chiesetta di Santa Maria delle Grazie.

Poi si arrivava al momento della Consacrazione. Lui iniziava a recitare la formula. Tutto proteso in avanti. E si fermava.

Con i suoi occhi intensissimi fissava la particola che stava consacrando.

Che avveniva in quel momento?

Egli vedeva Gesù. Era consapevole della Sua Presenza.

Con l’andar del tempo il superiore, per obbedienza, gli ordinò di proseguire. E lui ubbidì.

Perché tale episodio mi torna continuamente in mente?

Perché in padre Pio c’era una continua testimonianza sacerdotale che richiamava al primato di Dio.

Forse, ma lo dico sottovoce perché non voglio criticare nessuno, le nostre moderne chiese parlano poco di una fede vissuta anche nel progetto di alcuni ambienti.

Forse, e lo affermo ancor più sottovoce, gli abiti indossati da alcuni sacerdoti e da taluni religiosi sembrano testimoniare il desiderio di entrare nel mondo con abiti laicali ove si fatica a individuare il prete (manca talvolta anche un piccolo Crocifisso).

Forse, e qui parlo proprio a fatica, è difficile pensare che i fedeli possano comprendere la centralità di Cristo nella Chiesa se, entrando in un luogo di culto, trovano al centro del presbiterio una sedia elegante riservata al celebrante e, spostato a destra, un tabernacolo disadorno.

Su questo punto sarebbe utile rileggere la lettera che proprio san Francesco di Assisi indirizzò ai sacerdoti.

Nel contesto sommariamente accennato si potrebbe far riferimento anche a degli stili che non aiutano a vivere la Fede.

Ha senso insistere su vesti liturgiche “all’ultima moda”?

Quale significato possono avere le croci ove il design evita di presentare il Crocifisso per accentuare i due assi della croce con curve eleganti?

E che valore di insegnamento può essere attribuito a Crocifissi di tipo gianseniano ( mani legate in alto a significare che la Salvezza è per pochi)?

In molti casi, alcuni richiami a un ritorno più rispettoso delle immagini religiose (di ogni tipo) sono stati accolti come una resistenza alla modernità. Come un non capire i “nuovi linguaggi”, le nuove “forme di comunicazione”.

Penso che non sia così.

E l’Enciclica Lumen Fidei lo conferma.

Pier Luigi Guiducci
Università Pontificia Salesiana