Archive for gennaio, 2013

Memoria comune che si fa profezia

Senza categoria | Posted by usmionline
gen 28 2013

L’egoismo non può funzionare come bussola di una civiltà. Nella nostra Penisola i primi segni di un popolo – altruista per costituzione – che comincia a svegliarsi dal ‘Grande Individualismo’ e riscopre che siamo ‘programmati’ per aiutare ed essere utili, anche senza contropartite.

Smarriti in un labirinto di lacrime…
Per decenni, rimuovendo il desiderio vitale di stare insieme e facendo ruotare scelte, pensieri e sentimenti intorno al proprio ‘io-io-io’, nel nostro Occidente ci si è illusi di costruire il benessere personale e una nuova civiltà. Ma nella realtà abbiamo finito solo per dare alimento all’egoismo. La politica, ricondotta dai più ad un uso strettamente personale del potere e del denaro pubblico, ci ha cacciati in un tunnel. La speculazione finanziaria e la gestione dissennata delle nostre città – pensate e costruite, dal Rinascimento in poi, come villaggi/spazio condiviso, dove circolare e vivere insieme – hanno via via evidenziato la progressiva esclusione del ‘noi’ e la crescita dell’egoismo metropolitano. Il ‘Grande Individualismo’ ci ha fatto perdere il senso e il piacere dello ‘stare insieme’ e anche l’energia, le idee, la solidarietà, che arrivano alle persone dal vivere ‘la comunità’. Quella comunità, di cui si fa esperienza nel quotidiano, che si chiama famiglia, parrocchia; o fabbrica, dove i lavoratori sono stati i portatori di una cultura collettiva; e anche piazza, bar, partito, sindacato… tutti luoghi, profondamente italiani dello stare insieme.

… fra ‘io’ e ‘noi’
Ma proprio oggi, nel pieno della crisi planetaria che stiamo vivendo, un ‘nuovo’ nasce sotto i nostri occhi, nel silenzio, senza troppa pubblicità. Un ‘nuovo’ piccolo come il seme di senape, ma che promette fioriture e frutti. Una luce infatti scava sotterraneamente nelle coscienze di un numero sempre maggiore di persone e, facendole capaci di superare il timore di perdere le proprie sicurezze, chiama lentamente tutti fuori dal tunnel, verso una nuova civiltà. Segnali quotidiani di un cambiamento in atto – per quanto incompleto e non ancora ben organizzato – sono già visibili. I giovani ne sono l’avamposto perché per essi la strada della felicità è fatta di cose semplici come stare con gli amici, praticare sport, trascorrere i pomeriggi in chiacchiere e risate: la possibilità, insomma, di avere molte relazioni sociali. Ce lo fa sapere un’indagine dell’Università di Essex sulla stampa inglese e ce lo conferma l’esperienza quotidiana. La cosa non sorprende più di tanto il credente il quale sa che la storia ha una direzione e non si può smarrire perciò in un labirinto di lacrime. In filigrana in ogni tempo e situazione c’è infatti il progetto buono di Qualcuno che continua ad amare ogni creatura e a guidarla quando essa realmente e consapevolmente si affida alla forza della Sua luce.

Un richiamo per tutti a vivere con attenzione il presente, perché, se “la più grave epidemia moderna è la superficialità” (Raimon Panikkar), il vero credente non evade, ma intercede (cammina in mezzo) prendendosi cura dei germogli che nascono.  

Nell’orizzonte segnato dalla luce…
Parola d’ordine di tale incipiente rivoluzione, sembrano essere alcuni verbi che parlano di comportamenti impensabili fino a poco tempo fa. Condividere spazi, alimenti e idee attraverso le tecnologie della Rete. Sperimentare una nuova concezione del lavoro e dei luoghi in cui svolgerlo. Scambiare oggetti e servizi. Recuperare materiali riciclabili. Tagliare gli sprechi. Riscoprire gli orti urbani e lanciare quelli verticali: gli avveniristici ‘grattaverdi’ di New York. Provare il fascino efficace del baratto, contro il piacere individuale del possesso. E creare reti per distribuire i pesi dell’assistenza a malati e anziani, là dove lo Stato non può o non vuole arrivare. Il tutto in nome della tutela dell’ambiente comune; dei prodotti sani che arrivano sul mercato a chilometri zero; del piacere di costruire qualcosa a più mani…   Così, davanti a molti verbi, quelli che in passato segnavano il trionfo dell’«io», oggi c’è il prefisso “co”: co-abitare, co-ltivare insieme…

… nuovi modi di stare insieme
“INSIEME”: un’avventura unica che fa nascere relazioni, costruisce comunità, realizza sogni che da soli sono impossibili; e mentre spinge a trovare risposte nelle scelte collettive, permette di scoprire che non abbiamo sempre bisogno di strisciare una carta di credito.

Così è in atto, per esempio, il ripensamento dello spazio urbano, dove sono cresciute separatezza e solitudine; a Ferrara una mobilità tutta a pedali, nelle strade di Zurigo, si viaggia senza cartelli segnaletici. Automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni nella loro mobilità urbana, cominciano a riconoscere reciprocamente di avere uguali diritti e di poter con-vivere, senza un conflitto permanente e senza prevaricazioni reciproche. La multinazionale Nestlé in Italia (ma anche questo è solo un esempio!) ha varato il progetto “Novanta giorni”, grazie al quale quando la scuola è chiusa i dipendenti possono portare in azienda i loro bambini, affidandoli a qualche educatore e ritrovandoli poi alla mensa. Solo Roma conta già almeno un centinaio di orti comunitari. Attraverso molti siti internet è possibile scambiare di tutto: dagli elettrodomestici ai vestiti, alla musica … Il benessere passa per scelte condivise! La civiltà dell’io comincia a cedere il passo a quella del noi. Ed è una luce buona in fondo al tunnel. In essa l’Italia potrà giocare un ruolo da protagonista se non dimenticherà la sua storia, un “made in Italy” degno di essere esportato in tutto il mondo.

Società senza più egoismi?
Persino la scienza oggi sta sfatando il mito che recitava ‘egoisti si nasce altruisti si diventa’. No, egoisti non si nasce, l’homo sapiens è cooperativo. Alcuni scienziati hanno individuato il gene dell’altruismo: AVPR1A, che regola un ormone del nostro cervello. È un gene attivo, funzionante e molto diffuso. Ad ogni suo gesto corrisponde una vera e propria sensazione di benessere fisico e persino di gioia. I bambini – gli esperti lo hanno dimostrato – sono portati per natura alla condivisione, alla generosità, all’altruismo. Simpatizzano, tendono ad allearsi più che a scontrarsi, a stare insieme più che a dividersi.  Ed è solo crescendo che l’istinto altruistico si fa più selettivo e rischia anche di scomparire quando l’io con i suoi colpi prende il sopravvento.  

Il cielo interiore dell’adulto perciò è popolato di paure, ma anche di attese. Se egli cerca con cuore sincero il senso dei suoi giorni, saprà aprirsi a un ascolto così vero da produrre nel suo cuore un cambiamento profondo (… il credente lo chiama ‘conversione’!). Attento alla qualità dei giorni e dei rapporti, alle domande mute degli altri e alla loro ricchezza, egli sarà generoso di giustizia, di pace, di onestà: un terreno sempre più fecondo di umanità, portatore di una profezia a misura d’uomo là dove ognuno è chiamato a vivere.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Potere e fragilità del comunicare

Senza categoria | Posted by usmionline
gen 17 2013

È possibile oggi uscire dalla frammentazione dell’individualismo e tornare a guardare il prossimo come qualcuno a cui dare, prima di pretendere? La strada sembra essere l’uso fedele della ‘parola’ nella verità della propria vita.

Tra diversità e divisione
Comunicare è parola che inquieta e mette letteralmente in crisi, perché riguarda la comunità e l’essere in comunione, così insostituibili per la felicità dell’uomo. Troppe volte lasciamo che la nostra ‘comunicazione’ sia formale, vuota, debole, priva di un autentico coinvolgimento. Si parla per parlare, si gira attorno alle cose che stanno a cuore e si svicola… più o meno condizionati da preoccupazioni di opportunità. Così si evita di lasciarsi inquietare, ma si finisce poi per non comunicare.

“…È tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, Signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?” (Pirandello). Eppure la sfida più urgente della nostra civiltà – ce lo ricordava spesso il card. Martini – è imparare a comunicare e a convivere con i ‘diversi’: gli ‘altri’ della propria famiglia e della comunità di cui si fa parte e anche le persone che si incrociano per caso per strada o delle quali si conosce solo l’esistenza. La vera appartenenza di tutti infatti è al mondo globale e se si è pensanti l’incontro vero diventa possibile con tutti. Imparare a comunicare è la via necessaria per non imbarbarire nella chiusura e nella paura.

Quei diritti che restano negati
In un mondo globalizzato in cui le persone si muovono e si mischiano, l’incontro e il confronto diventano un’esigenza e una sfida che non possiamo più eludere… Circa un miliardo di esseri umani – un settimo della popolazione globale! – sperimenta oggi la sorte migratoria. Certo, fin dalla preistoria, i gruppi umani hanno abbandonato ambienti inospitali per cercarne di più propizi. Ma oggi l’emigrazione – con il continuo calvario di rifugiati e profughi che l’accompagna – è una galassia in agitazione. Dai due deserti affacciati sul ‘mare di mezzo’ arrivano urla disperate. Eppure nessuno sembra ascoltarle. I cristiani il più delle volte sanno dire solo: “poverini”. Trafficanti di uomini del ventunesimo secolo, più spietati dei negrieri del 1700, continuano ad agire più o meno indisturbati e a provocare la morte di migliaia di persone nel Mediterraneo. La dignità umana non è evidentemente compresa nel prezzo. L’allarme mediatico – che pure accompagna i nuovi sbarchi e le tragedie – finisce ogni volta con l’essere eco solo di se stesso, a cui subentra, indifferente e beffardo, il silenzio. Eppure ricordarsi dei dimenticati è mettersi accanto a Dio che non dimentica nessuno (Vladimir Ghika).

Intanto la mobilità cambia la vita, le relazioni, l’amministrazione… Ci chiediamo: sapranno i Paesi europei rispondere finalmente alla necessità di un maggior presidio umanitario nel Mediterraneo? Vorranno, insieme, impegnarsi a varare nuove misure normative affinché chi riesce a sbarcare non sia più costretto a vivere nell’illegalità? E noi, che non abbiamo direttamente in mano il potere, rimarremo solo a guardare, accettando supinamente tutto come se davvero non ci fosse niente da fare? Continueremo a vivere su due binari: quello ideale e quello reale?

In realtà ogni incontro, persino un semplice contatto, quando è vissuto da persona autentica, attenta agli altri, dimentica di sé e capace quasi di fiutare le situazioni difficili, può riempirsi di gusto e di ricchezza interiore. E lascia un segno nell’altro e nella storia.

Rendersi familiari gli uni agli altri
 “Il nostro futuro – ha scritto mons. Cesare Nosiglia nella sua coraggiosa lettera pastorale dedicata ai Rom e ai Sinti – è vivere insieme, come una grande famiglia”. In una famiglia si vive insieme, eppure nessuno è uguale ad un altro. Questo è il sogno di Dio. Di quel Dio che ascolta il grido del povero e che in Gesù ci ha mostrato il volto, le mani e il cuore di una persona umana aperta a tutti sempre e comunque; quel Dio che, a chi vuole seguirlo, ha comandato di amare anche i nemici e le persone che ci hanno fatto del male. Il cristianesimo ama le differenze e il cristiano non è e non può essere un uomo comodo, né per se stesso né per gli altri.

La consegna
È quella di rendersi reciprocamente familiari perché non siamo stranieri ma concittadini e familiari di Dio (Ef 2,20). Non si tratta di inventare gesti eccezionali; piuttosto di superare la tentazione dell’autosufficienza, evidente in ogni vita comunitaria e spirituale vuota e ripetitiva,  giocata prevalentemente in gesti esteriori. Imparare a vivere insieme richiede di coltivare la propria capacità di accoglienza nella vita quotidiana fino a creare rapporti in cui ciascuno ha qualcosa da ricevere e qualcosa da dare; fino a riconoscersi come diversi per guardarsi negli occhi e comunicare davvero. “Addomesticarsi”, insomma, reciprocamente e progressivamente, senza voler imporre a qualcuno quello che pensiamo sia buono per noi. Ma per riuscirvi è necessario incontrarsi nella verità e non in superficie.

La più grande impresa umana
L’esperienza dice che un confronto vero può verificarsi solo se ciascuno accetta di guardare le proprie fratture e lacerazioni. Nel quotidiano però è più facile scegliere di… non andare a fondo. Questo perché anche il dialogo interiore non è sempre facile. La diversità altrui istintivamente non ci piace dato che in qualche modo minaccia tutto quello che siamo riusciti a comprendere e a fare fino a quel momento.

Se la divergenza di opinioni può creare certamente una spaccatura nei rapporti umani, quando la si accoglie con disponibilità, dà più forza al pensiero, lo stimola e pone la base per un nuovo percorso. Sottrarsi al confronto invece rende ogni comunità meno… comunità. Chi siamo veramente infatti è in gran parte determinato dal rapporto che siamo disposti a costruire con le idee di chi ci sta vicino; quasi un combattimento quotidiano che sviluppa la personale capacità di pensare e di incontrare l’altro. Ma qualche volta, nonostante l’apertura sincera per un dialogo autentico, ci si ritrova respinti. Anche questo, però, insieme a tutte le difficoltà per una comunicazione degna di questo nome, può essere un bene e una benedizione perché obbliga ad andare ancora di più al cuore della comunicazione senza orpelli inutili.

Certo non è sufficiente la buona volontà per incontrare l’altro. Ci vuole anche umiltà. Quella umiltà che è capace di piegare in sé ogni pretesa di avere il metro di valutazione del mistero della vita. E la certezza di valere davanti al volto di Dio: il più potente antidoto contro il veleno della sfiducia. E poi… tempo! Ci vuole il tempo della vita!!!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Pellegrinaggio di fiducia sulla terra

Senza categoria | Posted by usmionline
gen 07 2013

Non hanno soluzioni facili da offrire. Si incontrano a Roma, dopo le tappe di Rwanda e Congo. Cercano di creare legami di comunione e di amicizia così necessari dappertutto sulla terra, impegnati come sono ad aprire nuovi percorsi di fiducia per una festa di vita insieme.

Semi per qualcosa di grande

Il pellegrinaggio di fiducia sulla terra, animato da Taizé per il 35° incontro internazionale ecumenico, dopo 25 anni è tornato a Roma. Dal 28 dicembre 2012 al 2 gennaio 2013, 42 mila giovani di tutta Europa – e non solo – hanno gioiosamente invaso la Caput Mundi, come un’ondata di preghiera. Rinunciando a qualche comodità per concentrarsi sull’essenziale, insieme essi hanno cercato nella fede la forza per costruire un mondo di pace, di giustizia e di fratellanza.

Da parte loro le famiglie romane, le parrocchie, gli istituti religiosi e persino gli anziani soli hanno letteralmente aperto le porte delle proprie case ai ragazzi. Segni, questi, di una Chiesa che dà fiducia e spazio; prova che si può vivere da fratelli superando paure, egoismi e diffidenze; conferma che la fiducia in Dio quando è autentica porta a trovare la forza interiore che fa divenire più umani e a rifiutare consapevolmente tutto ciò che disumanizza noi stessi e gli altri.

I giovani al momento dell’arrivo a Roma hanno ricevuto da frère Alois, priore di Taizé, le “Proposte 2013″che li hanno ‘messi’ sulla strada: 1. Parlare insieme del nostro cammino nella fede. 2. Cercare dove incontrare Cristo. 3. Cercare come affidarsi a Dio. 4. Aprirci senza paura all’avvenire e agli altri. Obiettivo di tutto il‘cammino’: scoprire le sorgenti di fiducia in Dio.

Il programma è realizzato dai pellegrini nelle quattro tappe previste. Essi hanno potuto infatti vivere intensi momenti di preghiera comune e di scambio reciproco nelle parrocchie e nelle basiliche maggiori della città; insieme hanno scoperto nei diversi quartieri dove erano ospitati segni viventi di speranza; si sono incontrati a gruppetti per confrontarsi su temi spirituali, artistici e sociali; hanno visitato catacombe e altri luoghi significativi della fede; hanno pregato con il papa Benedetto XVI per la pace; infine con la “festa dei popoli” hanno inaugurato il nuovo anno, risvegliando in sé le energie creative necessarie per uscire dalla mediocrità.

Dall’inquietudine alla fiducia
Uno sguardo troppo cinico verso la vita impedisce a tanti oggi di cogliere la dimensione fondamentalmente buona dell’umanità. La fede/fiducia – così in crisi nel nostro tempo – permette invece di superare le insidie del tempo e la stanchezza della storia. Frère Alois ha spiegato ai giovani che la fiducia in Dio contiene una chiamata: “accogliere in grande semplicità l’amore che Dio ha per ciascuno, vivere di questo amore e prendere il rischio che questo implica”. Il fatto di rendersi umilmente conto che così si fa l’esperienza della verità divina – ognuno a partire dal livello in cui si trova – modifica sensibilmente la fiducia che si può avere nella società e in se stessi.

Tra diversità e divisione …
Tutti siamo in viaggio verso una comunione più personale con Dio e una comunione più profonda gli uni verso gli altri, specialmente verso i più poveri. Eppure a causa delle divisioni presenti anche nelle nostre comunità cristiane, il sale del messaggio evangelico sta perdendo il suo sapore. La divergenza di opinioni troppo spesso costituisce una spaccatura nei rapporti umani perché minaccia tutto quello che ognuno è riuscito a comprendere e a fare fino a quel momento. Non sempre però la diversità è preludio di divisione. Se è accolta con disponibilità rinvigorisce il pensiero, lo stimola. Può diventare la base per un nuovo percorso. Certo la capacità di pensare in modo diverso dagli altri rimanendo però aperti e disponibili con chi la pensa diversamente è la più grande e impegnativa impresa umana. Richiede cuore grande, forte passione, sensibilità e soprattutto consapevolezza critica come banco di prova per le idee capaci di custodire il domani.

… necessaria nuova consapevolezza critica
Dal Pellegrinaggio di fiducia ci viene dunque un forte invito a ripensare tutto ciò che avevamo dato per scontato riguardo alla vita; a lavorare e ben pensare in un mondo diviso e in crisi per ridefinire il proprio posto in questo mondo e vivere al meglio nel nome di Dio.

I ragazzi, che si sono fatti pellegrini di fiducia per creare legami di comunione e d’amicizia,ripartono da Roma con il mandato di essere annunciatori di fiducia presso ogni uomo e ogni donna che incontreranno sul loro cammino. Ma quello stesso mandato è per tutti, ovunque ci si trovi a vivere. Come pure per tutti è la chiamata a riconciliare ciò che appare incompatibile –resistendo alla tentazione della rassegnazione o della passività –perché Cristo, venuto per riconciliare ciò che sembrava per sempre perduto, sulla croce ha teso le sue braccia a tutti. È Lui la via che spiega l’uomo all’uomo. Lui la nostra pace.  E la riconciliazione comincia quando finalmente guardiamo tutti insieme verso di Lui.

… per la più grande impresa umana
 “Ravviva il dono di Dio, che è in te”, ripete anche oggi a ciascuno l’apostolo Paolo. Credere è accogliere lo sguardo di fiducia che Dio ripone su ciascuna e su ciascuno di noi, è osare affidarsi al Suo amore. Un messaggio per molti difficile da capire e che nessuno comunque può pretendere di comprendere fino in fondo. Possiamo solo prenderci con fedeltà del tempo per ascoltarlo attentamente. Allora ci sarà donato di fare l’inaudita esperienza di essere amati. E se la nostra esistenza non è un caso, se la vita è un dono, se non siamo mai soli, allora non c’è più bisogno di dimostrare il valore della propria esistenza, o di erigere mura di autodifesa. L’altro non è più una minaccia. E anche l’instabilità della vita non fa più paura! Per la loro fede, fantastici giovani cristiani in Africa (ma non solo!) rimangono in piedi pur vivendo nel caos, nella paura e anche nell’abbandono. A noi suggeriscono di rifiutarci di fare separatamente ciò che possiamo fare insieme. Il pellegrinaggio di fiducia sulla terra continua insomma anche nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Abbiamo bisogno gli uni degli altri nella vita delle nostre comunità dal momento che tutti in un certo senso siamo dei poveri. Cercare insieme umilmente il Suo Volto fa crescere nella solidarietà. Ci accompagna nel nuovo cammino la domanda posta ai pellegrini da Frère Alois: È possibile continuare a casa ciò che abbiamo vissuto qui? Come fare riferimento a Dio nella propria vita quotidiana?

Rispondere con coerenza è mettersi sulla via per esserGli testimoni fino alle estremità della terra.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it