Comune a tutti gli uomini è vivere percorrendo il solco profondo della ricerca di un TU, in cui riconoscersi amati e amabili, capaci di un incontro vero che faccia fiorire tutto l’essere.
Tra le trappole della transizione…
Cambiamenti vorticosi caratterizzano il nostro tempo: avviati e certamente non ancora compiuti, tanti e così importanti come forse mai ce ne sono stati in uno stesso periodo storico. Non è facile, vivendoli sulla propria pelle, individuarne la direzione e separare il polverone che sollevano intorno, dall’essenziale che resterà nel tempo.
Dall’insieme certamente si ricava che il consumismo dell’occidente sta conoscendo una crisi che non è passeggera. La domanda inquietante, che rimane aperta e reclama il coinvolgimento di tutti a rispondere in modo adeguato, riguarda il punto di arrivo di tale crisi: sarà una maggiore sobrietà per tutti, o un consumo più sfrenato solo per pochi? Un dato comunque può essere considerato già acquisito: pur in una eterogeneità di problematiche, cresce a dismisura il numero dei tanti anonimi sconfitti della storia, quelli che non hanno voce e che sono facilmente riconoscibili dai loro sguardi arruffati e fatti profondi dalla sofferenza; tante sono le cadute nel girone dei più deboli e sempre di meno le vie d’uscita. In realtà dalla disoccupazione alla strada il passo oggi è sempre più breve. Soltanto una questione di tempo?
… e molte domande!
“Si sa che la gente dà buoni consigli/ se non può più dare il cattivo esempio”, cantava pessimisticamente Fabrizio de Andrè in “Bocca di rosa”. Ma il piccolo-grande miracolo delle sue storie è ancora nel fatto che esse rovesciano la prospettiva dei cosiddetti ‘normali’ che le ascoltano e fanno invece sentire ‘vicini’ – nei loro errori e nei loro drammi – i protagonisti di quelle canzoni. Immersi nelle contraddizioni del vivere che sono di tutti, si muovono in una realtà precaria e anche infelice. Sono ‘antieroi’, scampoli di umanità respinti che vivono ai margini… Eppure, pur sbagliando, cercano di “mettere l’amore sopra ogni cosa” e vivono quasi in pellegrinaggio verso l’utopia di una realtà fatta di convivenza e di comprensione.
È possibile – e in che modo – distinguere ciò che davvero conta per un cammino nel segno di un’autenticità umana a sigillo della propria esistenza? Per tutti – ne facciamo esperienza ogni giorno - è troppo facile sentenziare a priori sugli errori degli altri, farsi scudo delle regole violate da ‘quegli’ altri e chiudersi in un guscio vuoto che impedisce di fatto di vedere e riconoscere la propria povertà umana. Rimane allora al singolo altra possibilità al di fuori del riconoscersi impotenti di fronte alla miseria propria e all’ingiustizia di questo mondo?
Il vizio della normalità…
Tra i normali ‘giusti’ e ‘retti’ c’è tanto risentimento … tanta facilità a giudicare e condannare… tanti pregiudizi …, faceva riflettere H.J. M. Nouwen qualche anno fa. Nello stesso tempo egli rilevava quanto fosse difficile individuare e accettare in sé questo smarrimento pieno di rabbia repressa. Difficile perché strettamente legato al proprio impegno per evitare il ‘peccato’ ed essere ‘buoni’. Così la condanna degli altri e il rifiuto di ciò che realmente si è si rafforzano a vicenda in un circolo sempre più vizioso. In tale situazione diventa inevitabile perdersi nel labirinto interiore dei propri lamenti, fino a sentirsi la persona più incompresa, trascurata e poco amata del mondo. Lamentarsi infatti è qualcosa che si autoperpetua e il risultato è sempre l’opposto di ciò che si cercava. In realtà l’imperfezione è la vera realtà che ci accomuna tutti e non c’è crimine che non abbia il suo seme nel cuore dell’uomo. Percepire questo e ammetterlo fa nascere la compassione e il patire insieme.
… in un’ottica radicalmente diversa
“Quando seguo una catastrofe solo in televisione o sul giornale, mi sento sopraffatto e impotente. Quando invece aiuto qualcuno, sento la mia forza. Stare a guardare deprime, aiutare sorprende con l’esperienza di poter salvare una vita, contare sull’aiuto e sulla potenza di Dio”. Sono parole del cardinale C. M. Martini. Raccontano con chiarezza il cammino che egli ha pienamente compiuto nel tempo. Ma quando tali parole sono accolte dentro la propria vita in tutta la loro forza profetica, allora si fanno sentieri sicuri nel viaggio di ritorno verso la dignità, che rimane la parte più vera dell’uomo di ogni tempo e fondamento sicuro di una speranza che non tradisce. Ai politici l’esperienza di un’ottica sulla realtà così radicalmente diversa potrebbe indicare i sentieri giusti per riuscire ad ascoltare e raccogliere, in questo tempo di transizione, la voce dell’Italia contro la corruzione; per assumere finalmente forme migliori di rappresentanza e mettere in contatto bisogni e problemi concreti con il cittadino comune. Le istituzioni sociali e di beneficenza ne riceverebbero un’ulteriore spinta a sviluppare l’arte e l’ingegno che consentono a tutti gli uomini di buona volontà di rendersi utili. E tutti potrebbero riconoscersi il diritto a sentirsi finalmente forti aiutando qualcuno e unendosi per combattere contro le ingiustizie.
… e con le energie della verità vivente…
Per soccorrere il dubbio che tormenta e lacera l’animo umano è necessario un aiuto dall’alto. Lo vede con chiarezza il pensatore russo P. A. Florenskij, l’Agostino dei nostri tempi: “Esistono due mondi - egli scrive - e questo nostro mondo si cruccia nelle contraddizioni se non vive delle energie dell’altro mondo”. Trovare un cuore, un incontro, persino un libro, che aiutino a guardare più lontano, permette di orientarsi e di poggiare in qualche modo la fatica e la speranza. Ma la vita diventerà ‘buona’ se si lascerà incontrare dal mistero di un Dio che ha voluto sporcarsi i piedi con la polvere di questa terra per dirci che questa vita può essere vissuta in modo diverso e più bello, smettendo di farsi gli affari propri e cominciando a prendersi cura anche degli altri, a cominciare da quelli di cui nessuno si cura. L’amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto (Mt 25,40). Ma una vita centrata sui ‘piccoli’ ha bisogno – oggi più che mai – di qualcuno che la riporti a quell’essenziale, che è l’interiorità: la dimora che tutti condividiamo, anche quando non abbiamo dimora.
Luciagnese Cedrone
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