Può la creatura umana nei suoi giorni imparare almeno un po’ a morire? Prendere il coraggio nel cuore della propria notte? Uscire da sé con passo libero, avviarsi per sentieri nel sole e sentire la propria vita rotolare armoniosamente nelle mani di Dio?
Oltre il duro calle…
Nei giorni del mese di novembre, ogni anno riprende forza nella storia personale di tanti (se non proprio di tutti!) il tema più reietto della civiltà di questo tempo, che è però il tratto costitutivo della condizione umana: quello della morte, l’assurda contraddizione originaria dell’esistenza, secondo la definizione di Karl Rahner. Vivere -anche quando ci si volesse illudere che non è così- è convivere con l’idea che tutto prima o poi finirà. C. M. Martini in uno dei suoi pensieri disseminati negli scritti degli ultimi anni riflette: “…la morte è come una sentinella che fa da guardia al mistero. E’ la roccia che ci impedisce di affondare nella superficialità. E’ un segnale che ci costringe a cercare una meta per cui valga la pena vivere”. Eppure la prospettiva di dover passare prima o poi per questo ‘duro calle’ ed essere ridotti in vana cenere, spaventa tutti senza eccezioni. A volte, soprattutto quando è troppo viva e dolorosa nella propria carne l’esperienza di un lutto, anche solo richiamarla alla memoria risveglia con forza la paura di non essere amati e di non saper amare. E getta nella depressione. Allora si cerca di vivere senza fermarsi a pensare. Ma come evitare l’angoscia se tutte le gioie e tutti i dolori della propria vita si perdono in terra con il corpo e le ossa mortali? Se è così a che servono? È logico pensarli inutili, come anche sentire tutto inutile. E, più o meno consapevolmente, prende il via nella persona quella lotta con il tempo che non concede di illudersi. Lotta impari. Apparentemente. La persona sperimenta la sua totale impotenza di fronte alla morte che incombe e si fa sempre più imminente; che è nel lento deteriorarsi della mente e del corpo; nel perdere il controllo dei propri movimenti, nel diventare un peso per gli amici… Intanto ognuno continua a sentire che la sua vita gli appartiene, ma gli è tolta ogni possibilità di controllare il proprio destino.
…liberi dalla paura
Sono tanti allora i modi di riempire il tempo per illudersi di possederlo, tanti gli espedienti per esorcizzare l’angoscia di ciò che sfugge dalle mani: frenesia di fare, divertirsi e cogliere ogni attimo; ostentazione di sicurezza, accumulo di potere, ricchezza… Quando poi non si può proprio tacere, facilmente si trasforma la morte in spettacolo per esorcizzarne il pungolo doloroso. Così trionfa la maschera che, a scapito della verità, fa scomparire i segni del lutto. Ma la paura -radicata profondamente nella possibilità di non essere amati affatto e di non appartenere a nulla che duri- rimane nascosta sotto la superficie dell’autocontrollo, o dello stordirsi nel piacere.
“Dire” la morte…
Come sarà il mio tramonto? -chiede Papa Francesco- Lo guardo con speranza? Vivere è una grande lotta per la resa completa di sé. E davvero “forte è colui che sa di essere debole” e si lascia educare da questa consapevolezza.
Il cardinal C. M. Martini, che non amava i discorsi facilmente consolatori e trovava sempre il modo di parlare al credente e al non credente che è in ogni persona, ci ha insegnato ad amare la morte come passaggio necessario per trovare la luce. “Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio”. E se l’oscurità fa comunque e sempre un po’ paura, ciò che ci attende dopo la morte è un Mistero il quale richiede un affidamento totale che conduce alla Vita. Non si tratta di un’operazione soltanto emotiva, ma di una battaglia sempre più reale nello sforzo di ritrovare il senso al di là del naufragio. Il compito più importante della vita, insomma, almeno quando si crede che la morte non sia la dissoluzione totale della propria identità.
…ripartendo da Dio
Dio è la Vita e la Risurrezione, perché con il suo amore crocifisso ha vinto la morte, ricorda papa Francesco. L’annuncio è paradossale: Dio ha fatto sua la morte per dare a noi la vita, aprendoci la possibilità di trovare la luce attraverso la fede. “Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore” (1 Cor 15, 36) e non si dà vita senza morte, che diventa perciò un passaggio necessario. L’invito di Paolo è a considerare e vivere ogni attimo come un tempo di semina e un seme d’eternità. Il che può significare tante cose. Per esempio imparare nel proprio concreto quotidiano a non cullarsi nella presunzione di sapere già ciò che è e rimane avvolto nel Mistero; sbloccare in sé il coraggio di porsi le domande ultime, senza presumere di risolverle pienamente in se stessi; ritrovare la passione per le cose che si vedono, leggendole nella prospettiva di quelle che non si vedono; superare la non giustificata esaltazione dell’io che caratterizza il nostro tempo e contrapporvi un esodo dell’io, molto più significativo dal momento che la verità non si possiede mai, ma è la Verità a possedere la persona che le si apre. Dio parla al cuore di chi è aperto a vivere la vita come santa inquietudine e ricerca.
Nell’orizzonte della vita…
Su tale via facilmente si scopre che il “tu” del prossimo e quello di Dio, che si affaccia a noi nel volto degli altri, sono l’unica ragione vera di vita. È l’amore, infatti, che, se procura molta sofferenza e fa presentire in modo totale l’assurdità della morte, è però più forte della stessa morte e rende liberi di vivere nella speranza. Fare amicizia con la propria morte, riconoscendola pienamente come parte integrante della propria umanità sembra essere la base di tutte le altre possibilità di fare amicizia. Ma anche se è entrata a far parte della vita fin dalla nascita, la morte rimane nel corso dell’esistenza grande sconosciuta e nemica. Rassicura il fatto che lo stesso Gesù, sperimentando con noi l’intera assurdità della morte, non l’ha affrontata come un bene desiderabile: “Tutto è possibile per te. Allontana da me questo calice” (Mc 14,36).
…come una promessa!
Dio è più grande del cuore dell’uomo e sta oltre la notte. È nel silenzio che turba davanti alla morte e alla fine di ogni grandezza umana; è nel bisogno di giustizia e di amore che ognuno si porta dentro. È il presentimento e la nostalgia di un Altro che accolga e faccia sentire amati. In fondo morire è lasciarsi prendere per mano per essere riportati nell’Amore da cui si era partiti. Riaprire gli occhi dentro la Sorgente limpida che ci ha generati e riconoscere in essa le lacrime – che non sono perdute – della propria vita mortale. Incontrare un Cuore al quale rimettere tutto ciò che si è e un Volto a cui guardare senza timore. Con questo Amore nel cuore, la vita può essere vissuta come una promessa sicura.
Luciagnese Cedrone
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