Il peso di ciò che diciamo – a noi stessi o agli altri, a voce alta o solo nella testa – imprigiona o dà libertà. Apre l’umano che è in noi a domande nuove o lo chiude alla fatica di trovare risposte.
Se sembra che io ti abbia sminuito, se ti è parso che non mi importasse prova ad ascoltare oltre le mie parole, i sentimenti che condividiamo (Ruth Bebermeyer)
Le parole traducono…
Noi siamo le nostre parole. E nulla ci traduce (o ci tradisce!) quanto le parole. Il fatto è che esiste una parte oscura in ogni creatura umana: come un abisso sconosciuto dentro la propria anima. Un mondo di emozioni, dove pensieri e sentimenti vanno in direzione opposta e non permettono alla persona di orientarsi. Così capita molto spesso – e a tanti – di voler dire parole che siano finestre di speranza dentro una visione più serena delle cose. Poi, nella battaglia fra pensieri ed emozioni, come cavalli selvaggi e imbizzarriti che non si lasciano domare, dai meandri della propria anima vengono fuori indomabili parole di rabbia e di accusa. Con effetti devastanti. Per tutti.
… quello che siamo!
Ogni incontro in realtà mette a nudo il rapporto che abbiamo con le parole, quelle giuste e quelle sbagliate, quelle che uniscono e quelle che dividono. Le parole possono “creare distanza o aiutare la comprensione dei problemi. Usate in contesti diversi, le stesse possono risultare appropriate, confondere o addirittura offendere la dignità dell’altro” (S. Trasatti). Quando si comunica perciò occorre consapevolezza del peso delle parole che si usano e che sempre interpellano alla responsabilità, sincerità e correttezza. È necessario insomma che ognuno si adoperi per guarire le proprie parole. E che lo faccia non per interessi personali, ma per cercare il bene degli altri curandosi di loro.
Spesso usurate e rovesciate
Una battuta val bene una massa. Ma non tutti sono massa, e anche quelli che elettoralmente lo diventano per un po’, non lo rimangono (M. Tarquinio).
Soprattutto in tempi fibrillanti di campagna elettorale, le parole dei politici sono quelle che più di tutte appaiono senza contenuti. Indubbiamente le parole per ‘dire’, essi le trovano. E il messaggio che mandano è sempre lo stesso: votami! Certo ci sono politici e politicanti; c’è il parlare politichese quasi inaccessibile e il turpiloquio dal forte impatto emotivo. C’è anche l’uso sapiente della metafora e la forza dello slogan riuscito. È necessario imparare a distinguere. Ma se ‘antipolitica’ oggi è parola malata che ha contribuito certamente ad arrugginire il prestigio delle nostre istituzioni e ad allontanare molti dalle urne, il vizio che essa denuncia è imparentato alla stessa politica, che, negli ultimi anni ha prodotto una propria lingua separata e rovesciata rispetto alla realtà; tanto scissa dalla vita da apparire soprattutto auto-referenziale.
Quello della speranza a danno della gente comune e soprattutto dei giovani è stato il furto principale compiuto nella nostra civiltà. Intorno si grida chiedendo: “Fatti, non parole!”. ‘Fatti’… ma a cominciare da chi? L’espressione è tanto inflazionata che più qualcuno si appella ad essa, meno le sue parole produrranno i fatti a cui si riferiscono le parole. Sembra così che l’unico destino delle persone sia oggi quello di omologarsi acriticamente all’opinione e ai comportamenti più diffusi. Il parlare di tutti si fa perciò semplice ‘chiacchiera’ e non oltrepassa la superficie delle cose, mentre la sete di rapporti veri continua ad affliggere l’umanità e ogni persona.
Necessario guarirne l’uso in se stessi…
Certo non c’è bisogno di inventare nuove parole per uscire dalla crisi di fiducia che ci blocca nel nostro agire. Basterà che per tutti libertà significhi realmente libertà, e privilegio – privilegio. Che la realtà torni ad irrompere nel Palazzo della politica, insieme a parole antiche, oggi tanto trascurate e negate: lavoro, scuola, sanità, famiglia, beni comuni, dignità riconosciuta ad ogni creatura… Che la realtà della vita contenuta in esse ritrovi lì spazio autentico e su questa via si evocherà nuova speranza! Ma anche nel quotidiano di ognuno la parola mette in luce la portata morale dell’agire. Che cosa può ridare profondità alle parole? Dove e come orientarsi? Certamente è necessario ripartire ogni giorno da se stessi e impegnarsi prima di tutto a non usare più le parole come pietre per colpire e uccidere. Fare spazio a quella solitudine che tanto ci fa paura aiuta a ricucire il rapporto con se stessi. Tornare ad ascoltarsi gli uni gli altri, senza avere risposte pronte e prefabbricate, lasciando l’altro libero di non dire e di essere come è, diverso da come potevo aspettarmelo…Allora, come un dono grande, ci si ritrova nel cuore parole guarite, così nuove che fanno brillare gli occhi perché lasciano intravvedere mete più alte e cammini più lontani. Tutto questo dà luce per prendere coscienza delle situazioni difficili intorno a noi e l’energia necessaria per non restare alla finestra a guardare.
…per un cammino di maturità affascinante!
“Chi ha imparato ad avere fiducia non trema, ha il coraggio di darsi da fare, di protestare quando viene detto qualcosa di spregevole, di cattivo, di distruttivo. E soprattutto ha il coraggio di dire ‘sì’ quando si ha bisogno di lui”(C. M. Martini).
Là dove è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, proprio il male tira fuori tante forze positive, il meglio dalle persone. Così chi è credente esprime la sua opinione. Interviene. Agisce. Sa che è chiamato ad aiutare il mondo a trovare una soluzione. Sa anche che è possibile spegnere fino in fondo la sete in-finita del cuore solo quando dal proprio ‘sentire più interiore’ si scopre in che misura si è conosciuti e amati personalmente da Dio. Allora si diventa liberi, davvero liberi. Non di fare quello che si vuole, ma liberi di amare. Di amare anche chi riconosciamo libero di voltarci le spalle. Proprio come Dio fa con noi. E il gioco della vita riprende e continua nell’intima relazione con Lui.
Luciagnese Cedrone
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