La rivoluzione dell’ascolto – in quel viaggio della vita che è essenzialmente dentro se stessi – prende il via dal grido silenzioso dei ‘vuoti a perdere’ disseminati sulle strade di tutti. Obiettivo: trovare, per sé e per tutti, la luce che rende la speranza e la voglia di andare avanti.
Per un magnifico e irripetibile viaggio
Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi presenza significa accettare il rischio dell’assenza (A. de Saint Exupéry).
Un immenso peso di lacrime è in tutto ciò che vive, mentre le strade e i luoghi delle nostre città sembrano diventare un teatro a cielo aperto, dove ciascuno finge di essere quello che non è nel disperato tentativo di trovare se stesso. Il frastuono urbano e mediatico confonde però e anestetizza le sensibilità più profonde dell’animo umano. Così – pur chiamati ogni giorno a ‘farci presenza’ per abitare la storia e non semplicemente subirla o evaderne – si finisce per non vivere. Si esiste appena, perché non si ama. In tale contesto di emergenza umanitaria che cresce proprio “sotto casa”, la strada può diventare il vero luogo dell’incontro e della conoscenza, del dialogo e della condivisione. Il luogo, insomma, da cui ripartire per essere presenti e imparare a guardare con amore chi ci sta intorno… E con l’impegno – secondo un detto francese – di: guarire qualche volta, curare spesso, consolare sempre.
A chi, poi, lungo la sua strada è donato di incontrare Dio, come alle folle che seguivano Gesù, è data anche la fiducia che, stando con Lui per rispondere al Suo Amore che è personale, qualcosa accadrà sempre nella vita. Il Cristo infatti parla nella verità agli uomini, dà loro di partecipare alla Sua compassione e di poter guardare gli altri come li guarda Lui. Nasce così la ‘casa’ dove si può guarire. Guarire se stessi prima di tutto: dal nervosismo e dalla fatica, dall’angoscia e dalla solitudine arida … E ricevere luce e forza per agire senza compromessi nella ferialità di una ‘vita normale’, senza protagonismi e senza vetrine mediatiche. Pur sapendo per esperienza e a proprie spese che nel cammino si incontrano ogni giorno “milioni di maschere e pochissimi volti…”.
Strada facendo, il senso della migrazione
Un viaggio – men che meno quello della vita – non si fa mai da soli. Ma nei rapporti umani – come diceva R.M. Rilke – il problema è che si sbagliano sempre le distanze tra sé e l’altro… Troppo vicini… o troppo lontani. A volte, lungo la strada, si scelgono i propri compagni. Altre volte ci si ritrova accanto a volti sconosciuti a vivere storie ‘in bilico’, di cui non si riesce proprio a cogliere il senso. E allora è un po’ come camminare su fili sospesi nel vuoto, alla ricerca di nuovi orizzonti. Ci sono i “non luoghi” in cui si incontrano gruppi informali di giovani: i gradini di una chiesa, il muretto, il marciapiede di fronte a un bar, la piazzetta… Luoghi tutti dove il più delle volte si realizza solo un tempo consumato, senza socializzazione. Il che spesso fa crescere il senso di profondo disagio e accentua l’isolamento, anche se di gruppo. Si può incontrare per strada anche qualche banda di ragazzini aggressivi, un po’ teppistelli, arroganti, ingestibili… Hanno lasciato la famiglia per maltrattamenti, povertà o per semplice avventura (solo per citare i motivi più frequenti). E si ritrovano in strada giorno e notte senza null’altro che la speranza di cavarsela e in grave stato di abbandono… C’è chi per cercare altre strade, si mette in cammino per la Giornata Mondiale della Gioventù (a Rio de Janeiro sono arrivati 3 milioni e mezzo di giovani italiani e una quarantina di vescovi!). E chi fa le valigie per motivi di studio, o per dare una svolta decisa al proprio futuro. Molti, dei tre milioni di disoccupati in Italia, sono costretti ad emigrare come ultima spiaggia di salvezza. L’impossibilità di costruire una vita indipendente fa nascere un’insoddisfazione troppo grande e il non vedere un futuro nel proprio Paese è una cosa che fa star male. Ma più forte è l’indifferenza – di cui il Papa nella sua giornata a Lampedusa ha chiesto perdono a Dio – verso fratelli e sorelle che “cercavano una via di speranza e invece hanno trovato la morte”.
… con il cuore del Papa: no alla globalizzazione dell’indifferenza
L’esperienza della finitudine, specialmente in questa stagione post-moderna, accomuna tutti gli abitatori del tempo. E la sofferenza del vuoto di senso, la mancanza di un orizzonte rispetto al quale orientare le scelte del vivere e del morire sono altrettanti volti dell’attuale condizione umana, qualunque strada ci si trovi a percorrere … “Portate gioia nelle periferie della vita!” invita tutti ripetutamente e con forza Papa Francesco. E ai cristiani ricorda: ”Uscite fuori dalle nostre strutture caduche che servono solo per farci schiavi … Non possiamo restare tranquilli e diventare cristiani inamidati!…”. Il Papa a Lampedusa ha rotto il silenzio sul Mediterraneo-cimitero di emigranti, invitando tutti a “risvegliare le coscienze perché quello che è avvenuto non si ripeta”.
Farsi compagni di viaggio…
In realtà è solo una la forza che fa partire ogni giorno il cristiano, e ha nome Dio. Diceva ai discepoli il Signore: “…non portate borsa, né sacca, né sandali…” (Lc 10, 4). Nulla di superfluo per essere discepoli. Solo un bastone cui appoggiare la stanchezza e un amico, uno almeno, a sorreggere il cuore per non perdersi a dubitare di se stessi. Senza cose. Semplicemente uomini. Guardando non alle difficoltà, ma all’orizzonte che si apre. Sono l’esperienza e il bisogno dell’Altro che aiutano ad uscire dalla prigionia della solitudine e dei frammenti. A volte però si riesce ad essere presenti solo nel silenzio e nell’impotenza. Eppure una stretta di mano, una carezza, un sorriso, se fatti a partire dal cuore, possono dire più di mille parole. Mentre difficilmente giovano a qualcuno parole astratte o facili consigli. Da qui in poi - scriveva Margherita Hack - speranza. La strada non c’è. Perciò la costruisco mentre procedo. Ecco la strada.
… dare un futuro all’ascolto e alla speranza
E Papa Francesco ripete soprattutto ai giovani: Per favore non lasciatevi rubare la speranza. Ma il rischio di cedere allo scoraggiamento oggi è forte per tutti. Occorrono per credenti e non credenti occhi nuovi per ‘vedere’ e riconoscere lungo il proprio cammino la presenza del dolore che invoca risposta dall’amore. E poi riflettere insieme sugli interrogativi sollevati dalla sofferenza. Esiste infatti nelle prove una misteriosa azione di Dio che è da scoprire se ci si vuole riappropriare di una nuova visione del mondo e delle cose. Ma è necessario aprirsi al mistero senza pretendere risposte nitide e logiche ai propri interrogativi; imparare in qualche modo a con-vivere con le domande, fiduciosi che, poco a poco, con il diradarsi delle nebbie si profili l’orizzonte. È proprio la presenza vestita di umanità, suggerisce Benedetto XVI, a far sì che il soffrire sia luogo di apprendimento della speranza. E allora, se nera è la notte e lontana è la casa, guidami Tu dolce Luce… Amavo scegliere la mia strada, ma ora guidami Tu, sempre più avanti! (J. H. Newman). La preghiera è la luce che permette di sognare strade e piazze che non siano più luoghi da percorrere velocemente con diffidenza e disinteresse, ma veri e propri laboratori di dialogo e confronto: improvvisati centri di ascolto e incontro. Antonio Machado ci affida il suo richiamo: Tu che sei in viaggio, sono le tue orme la strada, nient’altro. Mentre vai si fa la strada e girandoti indietro vedrai il sentiero che mai più calpesterai.
E quando la nostra meta sarà visibile all’orizzonte, forse guarderemo con tenerezza e con indulgenza ogni tappa di questo magnifico e irripetibile viaggio.
Luciagnese Cedrone
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