In ricerca dell’Unico e Necessario

Posted by usmionline
dic 03 2014

“Vivere è cercare Dio. Vivere veramente è trovarlo”… Guarire dalla malattia della solitudine, dalla tirannia del fare, dal fascino della quantità e, lungo i sentieri del silenzio, ritrovare il fascino della comunione con Dio e con i fratelli.

Nel tempo della notte

20140321_65495_99-382488-000004h“Se si ha l’essenziale, non ci si fissa sui dettagli. Ma se l’essenziale non c’è, ci si riempie la vita di soprammobili” (M. Danieli). Questo vale per tutti, non esclusi i consacrati, perché se la vita religiosa è vita profetica, è proprio perché essa appartiene al popolo di Dio, respira la stessa ‘aria’ e conosce le stesse tentazioni.

Oggi è proprio la ricerca dell’essenziale ad essere in crisi. In altri termini: la perdita del gusto di cercare il senso per vivere e morire trascina con sé la più radicale crisi di senso. Tanto vale bruciare l’istante e vivere l’immediato – è il sentimento dominante. Ma se ne ricava solo un “tempo di frustrazione, nel quale inesorabilmente tutto ciò che raggiungi, che mordi fuggendo, ti lascia cadere nel nulla, insoddisfatto di te” (G. Vattimo). Urgenza di questi nostri giorni è un assoluto bisogno di sapere perché si vive. E per riuscirvi rimane una sola via: ripristinarne la ‘ricerca’ là dove si fosse smarrita, a partire dal proprio cuore, lasciando che vi entri il Vangelo con tutta la sua forza liberatrice. Si tratta della stessa via tracciata nella storia da tutti quelli che fanno ‘casa’ ed esperienza di vita con Dio. Per esempio don Puglisi, ucciso per il suo costante impegno evangelico e sociale e così vicino ai nostri giorni! Egli trovava l’Unico e Necessario nella ricerca del Regno di Dio attraverso il Vangelo e nient’altro, nulla preferendo all’amore di Cristo. “Essere testimoni – richiamava – è necessario oggi soprattutto per chi conserva rabbia nei confronti della società che vede ostile…”. Un impegno totalizzante, quindi, che conduce ad una condizione di libertà, da riguadagnarsi ogni giorno. Per ogni credente – anche nel tempo della notte in cui scorre l’anno della vita consacrata – in quelle situazioni limite fatte di sofferenza, di colpa e di morte è la chiamata a riconoscere il significato di tutto ciò che si vive e si sperimenta per rendere testimonianza tangibile del Regno.

Una parola chiave per ‘ripartire’: solitudine

Negli ambienti più diversi del nostro mondo occidentale la tentazione di un attivismo più o meno sfrenato sembra aver contagiato proprio tanti, aprendo la strada a un nuovo idolo: mani(2)l’azione, il gettarsi nell’agire fino a non avere più il necessario distacco dal proprio operare… È scelta inconsapevole per non pensare? O per la necessità di essere necessari, quasi a proteggersi dalla solitudine? O, chissà, per l’illusione di essere significativi per gli altri? La solitudine, comunque, in tutto questo e forse più di ogni altra esperienza, esprime il lungo imparare dalla vita, che – secondo l’espressione di J. Garrido – ci convince della finitezza di ogni cosa; e vi riesce soprattutto quando la morte rivela la relatività di ciò a cui temerariamente ci si vorrebbe aggrappare come a garanzia di sicurezza. Affrontata con realismo credente e con fedeltà a Gesù Maestro, la solitudine si rivela parte importante dell’imparare a “contare i propri giorni” e dona una calma saggezza, quasi un definitivo conforto. Conduce insomma al punto di vedere se stessi come una ‘cosa’ che Dio ha voluto dire rivolto a questo mondo. E su tale strada si conoscerà la gioia di farsi compagni di viaggio per ogni fratello che, da straniero, attraversa la terra della propria vita; la gioia di far sentire a suo agio chiunque si incontri lungo il proprio cammino restituendo ad ognuno la possibilità di dirsi in verità e in totalità. Per riuscirvi però è necessario riscoprire personalmente la Parola, lasciarsene raggiungere, abitare, trasformare … Perché solo questo consente – in un tempo stanco di chiacchiere – di vivere le parole che si pensano e si dicono come piccoli passi per rimettere in ordine le priorità e tagliare ciò che non serve.

Gli idoli nella logica dei ‘primi’ …
9788898037148gGli anni vissuti non sono senza significato per la vita spirituale, anzi!… Perché Dio agisce proprio attraverso l’esperienza che la vita porta o consente ad ognuno. E ognuno, senza saperlo, nel suo cammino lascia entrare in sé degli idoli, i quali finiscono per popolare il suo cuore. Così succede che le sensazioni che li accompagnano o le si rifugge, oppure si è autentici e le si affronta. Ma se non si mette a fuoco alle radici il proprio malessere, facilmente si pensa a trovare le colpe fuori: negli altri, nelle strutture … fino a quando sport preferito diventa la maldicenza, che in modo sottile ed efficace fa sentire sempre innocenti e mai responsabili. Questo vale per tutti. Per i religiosi in particolare è più difficile smascherare i propri idoli perché in loro sono, in genere, più interiori e meno riconoscibili. D’altra parte per loro è più difficile anche restare a mezz’aria o barcamenarsi alla meno peggio. Così la prima tentazione che si sperimenta è rifiutarsi di guardare a se stessi; poi la fuga da se stessi; infine la fuga dalla vita comunitaria; si dice ciò che piace ai superiori e si agisce secondo quello che si immagina sia il loro desiderio… Su tutti gli idoli, comunque, il più pericoloso è fare le cose come se si fosse perfettamente osservanti, fingendo una interiorità che non c’è. Fino a quando le proprie convinzioni diventano più importanti dei fratelli e dell’incontro del proprio oggi con l’oggi di Dio. Ma Dio, che ama ognuno secondo il suo bisogno, urge contro le pareti meschine del cuore dei suoi figli e – presto o tardi, senza preavviso e sempre a modo suo – interviene nella vita di ogni creatura; fa a pezzi i suoi idoli e, se impietosamente ne svela la grettezza del cuore, è per rivelarle di nuovo l’Amore che fa vivere. E la crisi, che è lacerazione e sofferenza, vissuta alla luce e con la grazia di Dio, ridona la libertà che guarisce.

… e quelle crisi che non arrivano mai per caso
samaritanoLe reazioni coerenti certo non si improvvisano nei momenti più bui della crisi, quando tutto sembra perdere significato, persino la preghiera, e il rischio è andare a fondo. Eppure, quando si arriva ad accettare che non ci sia via d’uscita ad una situazione, proprio allora ci si accorge che la via d’uscita c’è. Uno spogliamento più radicale infatti può salvare perché lascia spazio a Dio di rivestire la creatura con la sua grazia e di incontrarla come medico delle sue ferite quale Egli realmente è. La risposta a Dio in realtà si rigenera solo dalle basi e per questo ognuno ha bisogno di confrontarsi con la propria storia e di indagare i luoghi che il cuore cerca di non guardare. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero. Davvero le crisi sono momenti speciali nell’essere discepoli di Gesù.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

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