Vita consacrata come ricerca continua di Qualcuno che chiama ad uscire da sé e a volgersi al progetto vocazionale della propria vita
L’antropologia teologica, basandosi sulla Rivelazione, ci insegna che l’essere umano, uomo e donna, è persona-in-relazione. Vuol dire che la sua caratteristica principale, ciò che
definisce tutto il suo essere è dato dal fatto di essere legato, indissolubilmente, a Dio e agli altri, di essere, cioè, in relazione, aperto costantemente al dialogo e all’interazione intersoggettiva con Dio e con gli altri. Con Dio, perché siamo stati creati da Lui, a sua immagine e somiglianza, persone libere e intelligenti, aperte, come il nostro Dio Trinità, all’altro, alla relazione, all’amore. Agli altri, perché alla luce della fede ci scopriamo fratelli, figli dello stesso Padre, Dio, fratelli in Gesù Cristo, resi uno nello Spirito Santo, per mezzo del Battesimo.
Ecco anche perché l’antropologia teologica fonda la nostra vita sulla vocazione: se siamo stati creati vuol dire che siamo stati amati, pensati, voluti dall’eternità non come frutto del caso vuoto e privo di senso, ma come protagonisti di un progetto, che è sempre un progetto d’amore, perché nasce dal pensiero di Dio, che è Padre e Madre, fonte prima dell’amore di cui siamo fatti e che siamo chiamati a donare agli altri sul modello dell’amore delle persone divine: Padre, Figlio e Spirito Santo, eterna comunione e relazione d’amore eterno, fedele, stabile, infinito.
In quest’ottica la persona consacrata, che liberamente e per amore, si dona a Dio per vivere interamente donata a Lui e ai fratelli nella Chiesa e nel mondo non può non essere concepita come ricerca continua di Dio, dell’assoluto, dell’amore sommo della propria vita. Alla luce della fede la persona consacrata si trova in una situazione ottimale per comprendere che la sua vita è in relazione continua con Dio. Che Lui è il tutto della sua vita. Che Lui è quel “Qualcuno” che ha bussato alla porta del suo cuore per cambiare completamente la prospettiva del suo essere-in-relazione. Nella vita consacrata è evidente il passaggio da sé all’altro. Abbiamo lasciato ogni cosa per seguire l’amato del nostro cuore. Se dimentichiamo questa tensionalità ci ritroviamo nel vuoto esistenziale. Facciamo cose che fanno tutti, siamo senza una famiglia visibile e gli ideali per cui spendiamo la nostra vita diventano sempre più fatui. Soltanto alla luce della fede possiamo dare valore alla nostra esistenza consacrata. Riprendendo la tensione verso Dio, il tutto della nostra vita, l’amore vero e sommo che ci ha attirate a sè scopriamo il senso profondo del nostro essere: donate, amate, consacrate, sposate, impegnate, inviate.
Il progetto di Dio per noi ci ha spinte fino a dare la vita per Lui e per i fratelli. La vocazione che abbiamo ricevuto è una vocazione all’intimità con Lui, a vivere, come la sposa del Cantico dei Cantici, in continua ricerca dell’amato, nella notte buia delle prove e delle desolazioni, o nel pieno giorno degli affari e delle preoccupazioni della quotidianità, nella sfida a trovarlo nei meandri esistenziali o temporali dove si nasconde, o negli interrogativi nostri e del nostro tempo, che ci spingono a osare di più, dandoci e dando, amore per amore, senza riserva, con fatica, con gioia, con perseveranza.
Soltanto la scoperta di una vita-in-relazione, senza perdere di vista l’altro, Dio e i fratelli, i fratelli in Dio, Dio nascosto nei fratelli, o solamente nascosto sotto i segni sacramentali, nella Parola o nel silenzio dell’adorazione e del cuore. Dio presente e sempre amante, Dio persona viva al nostro fianco, Lui fonte della nostra vita, perenne Tu che aspetta di incontrare il nostro io nel momento in cui ha il coraggio di uscire da sé per aprirsi a questo intimo e meraviglioso dialogo dove possiamo realizzare veramente il nostro essere, dove possiamo leggere tutta la nostra esistenza attraverso i suoi occhi, che sono sempre occhi che amano, che accolgono, che elevano, che santificano.
Il segreto di una vita consacrata riuscita sta in questo continuo ricercare quel Qualcuno che ci ha chiamate rientrando nell’intimo di noi stesse, come diceva Agostino, lì dove abita la verità. Aprendoci alla relazione con Dio, ascoltando la sua voce che ci indica la strada giusta, ritroviamo il nostro essere, la nostra vocazione, e la nostra storia personale acquista un senso nuovo: il progetto di Dio per noi. La nostra vita intesa come risposta all’amore per l’amore, non nel senso sdolcinato del termine, ma nel senso che tutto viene spiegato dall’immenso amore di Dio per noi, che guida e sorregge i nostri passi verso la pienezza dell’amore trinitario. La quotidianità, le giornate monotone, il lavoro, le ansie, i dolori, le prove sono parte di questo progetto. Nella prospettiva della chiamata divina diventano tasselli di un mosaico che, lentamente, costruisce il mistero della nostra vita come un’opera d’arte.
Se, come scriveva Teresa d’Avila, lasciamo il pennello in mano all’artista divino, sarà un capolavoro. Se, per timore di perderci, o per la smania di realizzare i nostri poveri progetti, prendiamo noi la mano, dimenticando la relazione con Lui, conserveremo tante certezze ma forse perderemo noi stesse e il progetto vocazionale che dovrebbe ispirarci. Se, al contrario, avremo il coraggio di abbandonarci, fino a perderci, nell’infinito dell’amore di Dio, allora ritroveremo in pienezza non solo noi stesse ma anche tutte le persone e le cose che abbiamo lasciato per Lui. Allora saremo in grado di leggere la nostra vita con gli occhi di Dio e contemplare, come la sposa del Cantico, la bellezza, l’altezza, la profondità e la sublimità della nostra vocazione.
Sr Daniela del Gaudio, sfi
Docente Pont. Università Urbaniana