“Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù”. (Atti 1,14)
Gli eventi della Pasqua hanno sconvolto la vita degli apostoli e dei discepoli di Gesù: la tomba vuota; le apparizioni nel cenacolo a porte chiuse o sulla sponda del lago o sulla barca di Pietro; la promessa di un Consolatore; il saluto e la sua scomparsa tra le nubi nel cielo; il mandato di andare in tutto il mondo ad annunciare quello che avevano visto e udito.
La mente umana è troppo piccola per comprendere, soprattutto quando è così logico pensare che con la morte tutto è finito per Gesù, che probabilmente non è lui il liberatore tanto atteso.
Questi fatti sono così assurdi e fuori dal normale! Tutto pare smentire la fiducia e la speranza in lui.
Nella comunità che si era raccolta attorno al Maestro serpeggia un clima di smarrimento e un senso di fallimento. «Credevamo che fosse lui il liberatore, ma ormai tutto ci dice che non è così».
Non viviamo forse anche oggi una situazione simile a quella degli apostoli?
Le situazioni pesanti e complesse, a volte molto oscure, che affliggono la società e la Chiesa dei nostri giorni, ci sembrano davvero troppe. Tali situazioni potrebbero rafforzare anche in noi un lancinante senso di frustrazione, di disistima e di sospetto e trasformarsi, poi, in lamento o accuse per quel naturale atteggiamento polemico e proiettivo che a volte si scatena nella persona.
I discepoli, sgomenti dopo l’ascensione, salgono al piano superiore della casa, vivono insieme; Maria e le altre donne sono là con loro: questa è la splendida testimonianza di Luca.
In un momento terribilmente difficile per la Chiesa delle origini, Maria e le altre donne sono là, insieme, assidue e concordi nella preghiera.
Assidue: la loro presenza non è dunque saltuaria, ma costante.
Concordi nella preghiera: la loro è una presenza che favorisce l’armonia e l’unità nella piccola famiglia: armonia e unità intessute delle Parole di Gesù: di fede dunque e sicuramente di speranza.
E’ in questo ritmo e stile di vita che lo Spirito Santo irrompe con forza, penetra fin nelle fibre più intime di una comunità timorosa e spaurita e la trasforma in una coraggiosa chiesa abitata dalla carità e capace così di lanciarsi fino ai confini della terra, dove il maestro aveva promesso che sarebbe stato presente, accanto a lei, fino alla fine.
La paura lascia il posto alla certezza della presenza del Risorto là dove la chiesa è presente. E questo per sempre.
Maria e le altre donne stavano là
Ecco la nostra Pentecoste: essere presenti là dove la Chiesa è lanciata dalla potenza dello Spirito; essere là in silenzio forse, ma gridando con la forza della fedeltà e della speranza perché sappiamo che il Signore è risorto, è vivo ed abita in mezzo a noi.
Essere presenti nonostante tutto, senza lasciarci condizionare neppure dai peccati della chiesa; esserci perché il nostro Sposo è presente, perché si è fatto uno con tutti noi e noi vogliamo essere il suo prolungamento di amore casto là dove nessuno più crede che questo sia possibile; del suo amore obbediente là dove chi è mite è disprezzato; del suo amore povero là dove l’onestà e la trasparenza sono calpestate o non riconosciute.
La donna per la sua vocazione costitutiva è chiamata in ogni tempo ad essere presenza di sorella e madre, di fiducia e speranza soprattutto quando la fede dei fratelli vacilla; presenza di fedeltà contenta quando attorno a lei viene meno il senso di un impegno preso per Cristo; presenza di conforto e perdono quando il male ricevuto indurisce il cuore; presenza di pace e benedizione quando si crede con fatica che l’amore di Dio per noi è più grande del nostro peccato.
Anche oggi la Chiesa ha bisogno della presenza di donne consacrate che abbiano il coraggio di essere assidue e concordi nella preghiera per favorire la pentecoste in mezzo ai fratelli, testimoni perseveranti della Pasqua del Signore e canali liberi perché l’acqua che scaturisce continuamente dalla Fonte possa correre limpida e abbondante anche se è notte. (cfr. Plenaria UISG 2010).
M. Viviana Ballarin, op
Presidente USMI nazionale
E’ veramente profonda la tua riflessione, madre Viviana!
Sì, questa dovrebbe essere la nostra Pentecoste: SALIRE SUL PIANO SUPERIORE. Essere là in silenzio… essere presenti nonosatante tutto… esserci per essere il prolungamento dell’amore del Signore. ESSERCI anche se il salire comporta fatica.
L’esserci ovviamente richiede, a noi consacrate come per gli sposi, il “per sempre”. Comporta credere in ciò che si è, e diventare ciò che si è. Ma noi donne consacrate dell’oggi, vogliamo stare là dove nessuno più crede sia possibile stare, anche sullo sfondo se necessario, in silenzio, pur di essere presenza di pace, di gioia e di speranza.