Risvegliamo la passione educativa…La sete che i giovani portano nel cuore è una domanda di significato e di rapporti umani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita. (Benedetto XVI ai vescovi)
Due anni sono passati da quando Benedetto XVI denunciò la profondità dell’emergenza educativa. In una modernità fatta di linguaggi non sempre riconducibili ai vocabolari è un mondo nuovo -del virtuale e dei media- che si modifica a velocità impressionante coinvolgendo le nostre vite. Tutto oggi rende incerta qualsiasi opera educativa: profondi cambiamenti familiari con la loro incidenza sul vissuto esistenziale e sul processo di crescita; precarietà e diversità di riferimenti culturali; luoghi ed esperienze di vita che non sono più in grado di attivare relazioni interpersonali significative; isolamento e solitudine in aumento. In tale mondo l’educazione effettivamente va ripensata con passione e intelligenza pedagogica, perché per sua natura educare comporta creatività e innovazione.
La lezione audace di Benedetto XVI
Nel suo discorso ai vescovi, riuniti il 28 maggio scorso per la loro 61ma Assemblea generale, Benedetto XVI denuncia una crisi culturale e spirituale altrettanto seria come quella economica.
E la Cei, come chi, davanti a una casa instabile, decida di mettere mano alle fondamenta, mette l’educazione al centro della pastorale della Chiesa italiana dei prossimi dieci anni.
Gli Orientamenti pastorali, approvati dai vescovi per il decennio 2010-2020, saranno resi noti nei prossimi mesi.
Educare non è altro che rispondere alla domanda di senso che nasce da un incontro con la realtà. È coltivare il desiderio che spinge ognuno verso il reale, oggi sempre più multiculturale, per cui l’educazione o sarà interculturale o non sarà affatto. È, in fondo, un contagio di passione per l’uomo. Quella passione che il Papa chiede di risvegliare nelle nostre comunità e che non si risolve solo in una didattica.
A volte sembriamo vivere una strana resistenza a trasmettere ciò che abbiamo di buono e prima di tutto il senso del vivere. Come se l’anello fra le generazioni si fosse incrinato. Cosa è stato a infrangere una trasmissione antica, di padre in figlio, così che i padri balbettano e i figli sembrano spesso incapaci di continuarne la storia? Radice culturale di questo male oscuro, sottolinea a braccio il Papa, è una falsa idea di autonomia dell’uomo, come di un io completo in se stesso. L’uomo invece è creato per il dialogo e solo l’incontro con il Tu e il noi apre l’io a se stesso. Educare è suscitare la passione dell’io per ciò che lo circonda: per l’altro, per gli uomini, per il creato, per Dio. Se abbandonassimo questo a favore della neutralità staremmo fondamentalmente abbandonando l’educazione: abbandoneremmo cioè ciò che è necessario per essere pienamente umani. E i figli disorientati, in questo humus ereditato continuerebbero a cercare una direzione e degli argini senza trovarli, come un fiume smarritosi sulla strada del mare.
Educare non si risolve in una tecnica
Educare oggi richiede la capacità di comprendere che c’è una sfida in atto che è da raccogliere per poter divenire anelli di raccordo tra presente e futuro evitando così che si creino voragini tra generazioni. La sfida è coniugare i valori basilari della convivenza, frutto della nostra storia, con la modernità fatta appunto di velocità ben diverse da quelle attribuite alla storia.
Educare è un atto di amore nel quale l’educatore offre tutto se stesso nella testimonianza di quella verità che egli già vive e che presenta alla libertà dell’educando. Se l’educazione non è incontro di libertà inevitabilmente essa si trasforma in fondamentalismo. Il migliore antidoto al fondamentalismo è l’educazione… non qualsiasi educazione, ma che sappia tenere insieme verità e libertà. (card. Scola)
La proposta cristiana quindi passa attraverso relazioni di vicinanza, lealtà e fiducia. Richiede un rapporto che riconosca il valore dell’altro e dove l’altro non diventi schiavo delle proprie idee, ma sia persona che l’educatore accompagna al suo destino. Non si tratta di adeguare il vangelo al mondo, ma di attingere dal Vangelo quella perenne novità, che consente di trovare in ogni tempo le forme adatte per annunciare la Parola che non passa, fecondando e servendo l’umana esistenza.
Il primo problema di tutti oggi è quello di identificarsi, di interpretare se stessi e in un certo senso fissarsi. Ma la stabilità è una dimensione soprattutto interiore e soggettiva. Forse è semplicemente la capacità di tenere fede ad alcuni principi fondamentali: rispettare se stessi e gli altri, comunicare in maniera onesta, limitare la propria libertà individuale in nome di un bene collettivo superiore, sviluppare una tolleranza reciproca, esprimere in libertà le proprie opinioni…
In questo senso la famiglia, le scuole, gli oratori, le parrocchie sono luoghi ideali in cui è possibile imparare davvero a conoscere se stessi e gli altri, convivere con loro e, puntando su valori comuni, affrontare nel modo giusto il mondo liquido in cui viviamo.
Qualche orizzonte per l’oggi
I giovani hanno bisogno di una compagnia sicura e affidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezza e rispetto, proponendo valori saldi a partire dai quali crescere verso traguardi alti, ma raggiungibili (Benedetto XVI). È necessario quindi aprire la possibilità di
- un dialogo con i giovani, che sia anche progettuale, che li consideri veri soggetti di relazione autonoma: con il Signore, con la vita e quindi con la propria scelta di essere educati. Un dialogo che duri nel tempo, che non sia fragile e che sia credibile.
- un dialogo permanente tra le generazioni, che permetta a entrambe di esprimere il proprio sentimento (o ri-sentimento), esplicitando quindi anche le proprie aree di esasperazione. È implicito che dare voce implica desiderare di ascoltare la voce altrui.
- tendere sempre a condividere le differenze come esperienza della ricchezza umana nella reciprocità delle differenze.
E muoversi così insieme verso il prossimo decennio: sapendo che il processo educativo non è un fenomeno vistoso; utilizzando strumenti che forse non fanno notizia e senza mai perdere la fiducia nei giovani. Ma pronti anche a mettersi e rimettersi in gioco, impegnati a lasciarsi guidare dallo Spirito verso ciò che siamo: amore verso tutti e verso tutto, a somiglianza del Padre, al quale Gesù ha chiesto di farci perfetti, perduti nell’unità (Gv 17, 23).
Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it
Se l’educazione non è incontro di libertà inevitabilmente essa si trasforma in fondamentalismo ( Card. Scola). La libertà di comprendere se stessi orientando le nostre azioni verso il bene è indubbiamente il primo passo verso una crescita interiore. Tutto quello che noi impariamo lo trasmettiamo e questo crea educazione. La pace senza l’educazione al bene non potrà mai esistere. Milioni di dispersi e abbandonati in tutto il mondo, si rifugiano nell’ “estremismo”, professano l’odio e il male e tutto questo prende le forme di un fondamentalismo religioso incomprensibile. Tutte le religioni, anche chi non ha come esempio l’educazione del Vangelo, dovrebbero attenersi alle regole della solidarietà e del rispetto, ma c’è ancora chi non ragiona in questi termini e dunque c’è chi ritiene giusto l’odio verso il diverso. Il compito di ognuno di noi, cristiani, ebrei e musulmani è di abbattere questa piaga morale per sempre, per dimostrare che tutto è possibile.