Gli Indios plasmano e toccano continuamente la loro terra. Con saggezza la curano perché sanno che in essa è raccolto sicuramente non solo il loro presente e futuro, ma soprattutto quello del pianeta e dell’intera umanità. Noi abbiamo bisogno di loro per una reciprocità più o meno consapevole esistente fra noi: la foresta, elemento vitale ed essenziale alla sopravvivenza di tutti, non esiste senza gli indigeni.
Nella foresta le cose possono parlare
Abitano una natura selvaggia, rude e imponente, in cui è racchiusa la bellezza della diversità, il fascino dell’unità, la perfezione della stessa natura. Vivono in gruppi ridotti, di tipo tribale. Occupano aree molto vaste e attualmente diminuiscono continuamente di numero, perché si sta riducendo l’estensione degli ambienti primordiali che costituiscono la loro patria. All’epoca del caucciù -l’Ottocento- è seguita, infatti, nelle loro terre, l’epoca dei cercatori d’oro. Poi sono arrivati i trafficanti di terreni. E ancora i raccoglitori di noci, e poi i cercatori di legni pregiati, di minerali… Così fino ad oggi. L’uomo bianco cerca di usare l’indio solo per produrre, far produrre e far funzionare il suo sistema capitalistico. Se la sua ricerca di risorse implica inganno, inquinamento, malattie, morte, distruzione… tutto questo non sembra riguardarlo. Le vittime in fondo sono ‘solo’ gli Indios (che egli considera ‘minori, incapaci, pericolosi, superstiziosi…’) e la loro Terra.
‘Il Perù dei piccoli sfida i giganti del petrolio’, leggiamo su Avvenire del 28 ottobre 2010. I nativi affrontano come possono la sfida dell’uomo bianco per difendere i loro diritti ancestrali. Non cedono. Mantengono le loro feste, danze, celebrazioni come mezzi per ricreare il loro soggetto collettivo e continuare a essere i popoli che desiderano essere. Resistono ballando. Ma fino a quando?
Intanto nel nostro Occidente, insieme alla tecnologia che scandisce i tempi e ai progressi scientifici considerati ovvi e scontati, i valori spirituali e prima di tutti il valore della verità e dell’amore, cedono il passo all’ingordigia, all’avidità, all’ansia di possesso senza limiti. E i rapporti umani rischiano di impoverirsi sempre più.
Amazzonia: una diversa prospettiva
Il 6 ottobre 2010, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani in Senato, si è svolta la presentazione del volume ‘Amazzonia una diversa prospettiva: lasciamoci educare dagli Indios’, a cura della onlus Impegnarsi Serve. Nell’incontro – a cui hanno partecipato fra gli altri: l’on. Beppe Fioroni, mons. Roque Paloschi vescovo di Roraima, la professoressa Giuliana Martirani e padre Giordano Rigamonti – è stata sottolineata la necessità di «guardare con gli occhi degli Indios le cose che noi non riusciamo più a vedere». «Ci misuriamo infatti -ha detto l’on. Fioroni- su ciò che abbiamo e non per ciò che siamo. Ma un altro mondo è possibile per dare senso alla nostra vita. Bisogna però creare un nuovo modello di sviluppo». Ed ha concluso:«Qualcosa di diverso si può non solo predicare, ma anche realizzare».
Lasciamoci educare dagli Indios
L’Amazzonia in realtà è per noi come uno specchio, capace di riflettere debolezze, di smorzare presunzioni. Gli Indios sono un richiamo a quella umanità, forse sopita in noi, che ha bisogno di tornare a credere nella finitezza dell’uomo. «Siete troppo impegnati ad esistere e dimenticate l’essere» ha detto mons. Roque Paloschi. Gli Indios invece vivono semplicemente l’essere parte di un ecosistema, che conosce tempi e condizioni non imposte dall’uomo. La povertà e la sobrietà fanno sperimentare loro la bellezza delle cose, l’attenzione all’altro e all’Altro. Sanno che il Signore li ha posti in questo mondo perché ne avessero cura, non per distruggerlo. L’anziano tra loro è un valore aggiunto irrinunciabile, testimone nella staffetta generazionale: custode della memoria e della cultura e anello fondamentale tra passato e futuro, per cui non sarebbe mai emarginato. Tra loro non esiste la privacy, ma il loro modo di vivere la comunità a 360 gradi non è invadente, si basa su regole ben precise che comunque fanno sempre riferimento alla condivisione. Gli Indios hanno un concetto di ospitalità profondo e ben radicato.
I missionari, che condividono con le popolazioni indigene il rapporto fra cielo, terra e sottosuolo, sono amati e accolti. Per tutti questi motivi e per mille altri è importante riuscire a vedere e ascoltare la loro vita. Lasciare che la sapienza da cui essa è animata diventi un richiamo a comprendere dove sta veramente la persona e i suoi bisogni e a riscoprire la capacità relazionale che è dentro ogni uomo. Una bussola, insomma, che orienti a ritrovare lo spazio mentale per sognare per noi e per gli altri; ad investire capitali, talenti e speranze su un modello di sviluppo che nelle concrete circostanze della vita si ispiri al Vangelo.
Luciagnese Cedrone
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