«E’ urgente cambiare stili di vita e fare una revisione profonda del modello di sviluppo globale», ha detto il Papa all’Angelus dell’altra domenica con l’occhio e la mente evidentemente rivolti ai risultati deludenti del recente G20 di Seul. Sullo sfondo la crisi economica. Dalla crisi non si può prescindere. Quello di Benedetto XVI è un appello imperioso destinato a tutti gli uomini di buona volontà e in modo particolare ai credenti, perché si impegnino a:
- disegnare i tratti di una nuova società, a partire da alcuni ambiti irrinunciabili: il problema angoscioso del lavoro, la cura dell’ambiente, le nuove forme di impresa e la tutela della salute;
- riprendere efficacemente alcune grandi direttrici presenti nella Caritas in veritate;
- lasciarsene ancora ispirare per costruire concretamente nuovi cammini a servizio dell’uomo, della sua vicenda, del suo futuro;
- destinare maggiori risorse per la ricerca di base in agricoltura tropicale e la cura delle malattie;
- operare perché a nessuno manchino il pane e il lavoro;
- fare scelte che preservino l’aria, l’acqua e le altre risorse primarie come beni universali.
La priorità del lavoro tra crisi e risorse
Ma come riuscire a modificare stili di vita e abitudini, a partire dal punto di vista ambientale energetico? Come ridimensionare apparenza, esibizionismo, superficialità per valorizzare invece l’esistenza di ogni persona? Come rivitalizzare e riorganizzare le relazioni individuali e sociali? Si tratta di imparare ad accogliere e custodire la creazione come bene collettivo e dono che non ci appartiene, ma di cui abbiamo necessità per vivere; di abitarlo come si abita la propria casa, salvaguardandolo da attacchi violenti e distruttori.
Tutti conosciamo i dati della disoccupazione giovanile e della generale precarietà del lavoro in questo tempo di economia globalizzata, il cui rimedio più efficace paradossalmente sembra essere la famiglia, usata come ammortizzatore sociale. Sappiamo che dal consumo con facilità si passa al consumismo con il suo stile di vita individualista e superficiale. Ma nessuno in realtà è ciò che consuma. Se al posto della produzione di ricchezza viene posto il benessere complessivo della persona, tutto cambia. E allora possono cambiare anche gli stili di vita. Per mirare a questo, in partenza è necessario radicare la propria vita in una prospettiva trascendente, che vada al di là della storia (Notari); coltivare perciò uno sguardo capace di andare oltre, molto lontano, per poter meglio guardare anche ciò che è molto vicino.
Crisi, il “Sud” indifeso
La globalizzazione c’è e con essa facciamo i conti tutti, senza eccezioni. Ma è importante conoscere come funzioni il sistema economico mondiale; scoprire a scapito di chi e di che cosa si fondi la prosperità dell’Occidente, mentre i Paesi più poveri e marginali non escono dai loro problemi. Come gravati da una zavorra che li trattiene al suolo, infatti, non decollano, non si sviluppano. Sono invece le disuguaglianze a crescere, mentre si indeboliscono le aree già deboli.
Strade obbligate per la ripresa
Una nuova società può essere soltanto opera di tutti e di tutti insieme. Dalla crisi non si esce, se non insieme. E al di fuori dei valori forti della fraternità, del bene comune e della giustizia -che orientano le persone a realizzare nel concreto quotidiano il sogno di Dio sul tempo e sulla storia- non c’è sviluppo autentico. Anzi: alla lunga non c’è sviluppo tout court!
In questo scenario, il principale dilemma che i governi si trovano a fronteggiare consiste nel bilanciare i tagli con appropriate misure per rilanciare l’economia. Riforme basate su tagli a senso unico, al contrario, renderebbero l’uscita dalla crisi ancora più incerta e difficile, esasperando ulteriormente le tensioni sociali. Chi dice che la ripresa è iniziata mente, oppure fa riferimento al comparto bancario che incomincia momentaneamente a respirare dopo gli aiuti ricevuti dai governi e dalle istituzioni internazionali.
Guardare al futuro, radicati nella speranza
E’ urgente che la consapevolezza di questa situazione generi in ogni persona un consumatore critico, con il suo diritto ad essere informato sulle condizioni ambientali e sociali di produzione del bene acquistato e formato alla cittadinanza attiva e alla responsabilità per un nuovo stile di vita.
Bisogna umilmente ammettere che la liberalizzazione economica e le privatizzazioni, invece di creare benessere per l’intera umanità hanno generato l’opposto: la concentrazione del valore prodotto dall’intera collettività nelle mani di pochi, circa il 10%, e la riduzione in assoluta povertà del 20% della popolazione. Dare in mano ai Grandi Privati e alle Multinazionali le risorse da cui dipende la sussistenza dell’intera società è un crimine contro l’intero creato. Per uscire dalla crisi le soluzioni ci sono ma è prioritario mettere in atto un’“ecologia dell’educazione e delle relazioni” e che le riforme abbiano un unico obiettivo: la ridistribuzione della ricchezza!
Luciagnese Cedrone
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