A cinquant’anni dalla sua morte
« Merita il potere solo chi ogni giorno lo rende giusto», aveva scritto Dag Hammarskjöld nel 1951. Oggi pochi lo conoscono davvero. Eppure Hammarskjöld, personaggio straordinario e schivo del secolo scorso, ebbe responsabilità immense in un mondo attraversato da tensioni enormi, sempre al limite della catastrofe atomica (la crisi di Cuba si verificò appena un anno dopo la sua morte).
Chi era Dag
Personalità affascinante dotata di grandi capacità comunicative, è eletto segretario generale delle Nazioni Unite nel 1953 ed è riconfermato per un secondo mandato nel 1957. Muore il 17 ottobre 1961 in un incidente aereo nel corso di una missione per risolvere la questione congolese. Attentato, disgrazia, sabotaggio? La verità non sarà mai provata.
Ciò che sappiamo sulla sua persona si deve principalmente al suo diario pubblicato postumo:Tracce di cammino, Qiqajon, Bose, 2005. In esso è il resoconto dei rapporti di Hammarskjöld con se stesso e con Dio. Ogni pensiero è una riflessione interiore, da cui trapela lo sguardo, anche implacabile e sempre lucidissimo, con cui egli sapeva analizzare se stesso e la realtà.
Viaggiatore verso il profondo dell’animo umano
Non ci è dato di scegliere la cornice del nostro destino. Però siamo noi a immettervi il contenuto. Hammarskjöld, politico profondamente cristiano, dedica la vita al bene comune, traendo forza dalla propria religiosità. Nel suo operare è coerente costruttore della pace tra gli uomini e ricercatore della quiete in Dio.
Rivela una spiritualità che egli vive:
- nella solitudine e con riservatezza;
- nell’onestà della mente e nell’interiorità (che è il ‘viaggio più lungo’);
- nel meditare e ‘ruminare’ con costanza l’Antico e il Nuovo Testamento;
- nella tendenza a dimenticare il proprio io per agire unicamente come strumento di Dio;
- nel servizio sempre attivo e sereno verso la società;
- nella convinzione -come egli scrisse- che nessuna vita dia maggiore soddisfazione di una vita di servizio disinteressato al proprio Paese e all’umanità.
Lotta quotidiana per l’accettazione della volontà di Dio
Di sé scrive:«Dagli studiosi e dai pastori della mia ascendenza materna ho ereditato la convinzione che, nel vero senso del Vangelo, tutti gli uomini sono uguali in quanto figli di Dio e devono essere accostati e trattati da noi come i nostri signori in Dio».
Perciò «la tua posizione non ti dà mai il diritto di comandare. Solo il dovere di vivere in modo tale da permettere agli altri di seguire il tuo ordine senza esserne umiliati».
E nel 1954, a un anno dalla sua elezione a segretario dell’ONU prega:«Possa tutto il mio essere volgersi a tua gloria e possa io non disperare mai. Perché io sono sotto la tua mano. E in te è ogni forza e bontà».
L’eredità più preziosa
- È nell’oblio di sé e nella forza dell’amore. A se stesso ricorda: «Prega che la tua solitudine sia spronata a trovare qualcosa per cui vivere, che sia abbastanza grande per cui morire». E, forse, proprio la solitudine -arduo banco di prova per tutti- fu per lui lo strumento privilegiato per divenire uomo di comunione nello sforzo di rendere giusto il potere e, quindi, ‘meritarlo’.
- È nella sua umiltà. Quella di Hammarskjöld è l’umiltà dell’uomo grande, che considera la propria attività come una vera e propria missione per gli altri, e se stesso come un mezzo di Dio. Perché nessuno è realmente umile se non nella fede. In questo la sua vita è un esempio di coerenza.
- È nella rettitudine e integrità del servizio reso alla comunità. Il senso di tutto il suo operare rivela un testimone affidabile, che libera l’anima dall’affanno dell’azione e dallo stordimento dell’inessenziale; un testimone del Vero e Unico Nome di Dio. Scrive:«Gratitudine e prontezza. Non esitare, quando ti si chiede, di dare tutto ciò che hai… Nella condizione umana è un tradimento non essere e non dare in ogni istante il meglio di sé. Tanto più se gli altri credono in te!».
La stanza del silenzio
Secondo le sue stesse parole, ognuno di noi si porta dentro un nocciolo di quiete, circondato di silenzio. Per questo, una volta eletto segretario dell’ONU, Hammarskjöld volle che nel Palazzo di vetro -dedicato a lavoro e discussione al servizio della pace- ci fosse una sala dedicata al silenzio in senso esteriore e alla quiete in senso interiore. Secondo un antico detto, il senso di un vaso non è il suo guscio, ma il vuoto. In questa sala è proprio così. Essa è riservata a coloro che vi si recano per riempire il vuoto con ciò che riescono a trovare nel proprio centro interiore di quiete. Silenzio e consapevolezza permettono comunque di assaporare tutta la ricchezza del vivere il momento presente.
Luciagnese Cedrone
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