‘Un po’ meno io, un po’ più noi’

Posted by usmionline
mar 04 2013

Ripensare, definire e salvare ciò che ci accomuna, si può: attraverso una silenziosa rivoluzione dei modi quotidiani di vita.

Mondo alla rovescia …
Le persone, in questa epoca dominata dal potere, si dividono tra i qualcuno e i nessuno; tra chi vive per farsi vedere e chi, quasi fosse trasparente, esiste ed è come se non ci fosse (V. Andreoli).
Il sistema politico in cui viviamo sembra essere centrato sul bene di parte – della propria parte. Ciascuno ha una sua visione del bene comune e la verità appare ai più come un campo di battaglia sul quale battersi per prevalere e affermarsi, magari su chi ci sta superando per meriti oggettivi.
L’enfasi posta sulle libertà soggettive ha portato infatti molti a fare dell’io individuale ed empirico il metro di giudizio primo e ultimo (per non dire unico) di ciò che è vero e buono. Si riconosce lo Stato solo quando deve riparare ai propri disastri… L’altro, il noi, l’umanità – presente e futura – sono messi fuori della visione personale, ridotti a “oggetto” o, comunque, a complemento dell’io. In sintesi: un’identità ‘contro’ gli altri. Così la demonizzazione dell’avversario, a tutti i livelli, frena e impedisce non solo l’attuazione del ‘bene comune’, ma persino il concepirlo, il ragionarci, discuterne…
Si ha la sensazione di vivere insomma in una specie di mondo alla rovescia… L’illecito in qualche modo è diventato normale; i politici fanno spettacolo, mentre comici, attori e cantanti si occupano della politica; il diritto è scambiato per il favore e chi dovrebbe dare il buon esempio si vanta delle sue malefatte; se poi ci si ostina a credere nella legalità si rischia di passare semplicemente per  ingenui o stupidi.

… e ‘bene comune’ alla prova dei fatti
Intanto oltre la metà degli italiani – secondo il rapporto Italia 2013 di Eurispes – non è in grado di mantenere la famiglia; lo stipendio non permette a quasi i due terzi dei lavoratori di sostenere spese importanti come un mutuo o l’acquisto di un’automobile; la famiglia d’origine resta fonte di sostentamento per quasi un lavoratore su tre, con l’aggravio dell’azzeramento del bene di coloro che ‘non contano’… L’esperienza di quello che chiamiamo ‘bene comune’ ne rimane stravolta e l’ambito in cui fino a ieri lo si poteva collocare, oggi appare come una “vecchia storia”; quasi una realtà spazzata via, o, nel migliore dei casi, un’astrazione con cui i politici (soprattutto!), ma anche gli intellettuali e qualche volta persino gli uomini di Chiesa si riempiono la bocca quando si trovano a parlare del sociale.
Difficile – anche a volerlo – in tale clima generale realizzare quello che già era stato l’invito di J.F. Kennedy agli americani: ‘un po’ meno io, un po’ più noi’. Per questo non serve certo ‘attaccare un cerotto etico sopra un sistema finanziario marcio, che pone il capitale al di sopra del lavoro’ (L. Alici).
Eppure è certo che Dio vuole essere amato da questi meschini, splendidi e liberi figli che noi siamo. Nel nostro difficile presente ciò non può significare che – prima di tutto – disponibilità costante a mettersi in gioco, a lavorare su di sé per diventare sempre più capaci di lavorare con gli altri e per gli altri.

La rivoluzione necessaria  
Una voce – che è anche luce – è presente nel cuore di ogni creatura umana, in qualsiasi tempo. Essa parla alla persona di un ‘oltre’ e di una rivoluzione necessaria a partire dal proprio comportamento. Sussurra di un sogno grande, contenuto nella realtà di tutti i giorni. Chiede di dare a se stessi spazio e tempo per poter essere riconosciuta e ascoltata. Orienta, così, e muove il comportamento verso la verità che è la più grande e costruttiva delle rivoluzioni. In tale percorso è necessario tener presente che “anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita” e che “la capacità di amare corrisponde alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme”, come ci ricorda Benedetto XVI. Abbiamo bisogno di sentire che l’Io è  anche Noi. Si tratta allora di ripartire con coraggio da tutti i fallimenti personali e sociali, con quel poco che ognuno ha e sa fare, per costruire un nuovo ‘io sociale’ a vantaggio di tutti. Su tale via la prima rivoluzione necessaria a tutti, oggi, è certamente l’onestà, anche e soprattutto quella intellettuale; via obbligata per quanti detengono il potere (a qualsiasi livello!) per diventare o ridiventare uomini. Rivoluzione poi sono la coerenza, il coraggio di ragionare con la propria testa, senza piegarla di fronte ai potenti, chiunque essi siano. E ancora: il rispetto di tutte le diversità, la ricerca sincera di una comunicazione solidale e non competitiva. Rivoluzionari sono il sorriso, l’umiltà…
Per tutti insomma si tratta di amare meno il potere, recuperando su tale via l’esperienza della grandezza dell’umano. Il che vuol dire: riservare, in sé e intorno a sé, spazio per il sapere, la compassione, la saggezzaTutto ciò che facevano i nostri nonni, prima che si scatenasse l’ubriacatura della ricchezza.

Le cose che contano davvero…
I beni più importanti per disegnare i tratti di una nuova società, restano la vita e l’amore. Per esperienza ognuno sa che, se sente il coraggio e il dovere di mantenere le sue promesse, è soprattutto perché un altro conta su di lui e si aspetta che egli mantenga la parola. Così sappiamo pure che la politica sana riposa su tale volontà di creare legami e di vivere insieme, fondendo la diversità in un progetto collettivo e condividendo il bene. Il nostro Paese ha bisogno di pensare e di riflettere su ciò che fa e su ciò che accade; di immaginarsi un futuro lavorando insieme per realizzarlo. Se tante illusioni in campo politico e sociale oggi sono cadute, un po’ ‘meno io’ da parte di tutti permetterebbe di cercare insieme piste concrete utili per rispondere ai bisogni autentici e alle attese delle persone.  

… per uno sguardo ‘altro’ sul nostro tempo
In ogni momento storico difficile sono i ‘piccoli’ – la cui vita è segnata appunto dalla ‘minorità’ e dalla debolezza – i più disposti a dare e a ricevere benevolenza e aiuto, a legarsi perciò all’altro perché sentono che da soli si è perduti. La formula della fragilità – segno evangelico di contraddizione – è la stessa che permette l’amore. Farla propria non è automatico per nessuno. Il credente nel cercare di viverla nel concreto quotidiano si sa preceduto da una Parola più forte che la sua, una Parola che rassicura e dà forza nel cammino, se ci si affida ad essa. La sola Parola che può sottrarre all’angoscia di non saper più sperare dopo aver dato fondo ad ogni speranza.

Luciagnese Cedrone
 usmionline@usminazionale.it

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