Il Vangelo di Giovanni che viene proclamato nel giorno di Pasqua di quest’anno esprime bene l’esperienza sfolgorante e inaspettata che sconvolge la vita dei discepoli ancora paurosi e increduli, rinchiusi nella casa, dopo i terribili fatti della passione e della morte in croce del loro Maestro.
La prima persona a rendersi conto che qualcosa di grande è accaduto è Maria di Magdala. Al mattino di buon’ora, recatasi quando era ancora buio al sepolcro, lo trova vuoto. Sbigottita e spaventata va da Pietro e Giovanni e comunica loro la notizia, ma in modo distorto, travisato dai suoi molti pregiudizi che non le permettono di vedere: “hanno portato via il corpo di Gesù!”.
Il fatto della risurrezione non può essere compreso e raccontato con le sole categorie umane. Eppure i discepoli avevano vissuto a lungo con Gesù, lo avevano seguito nelle sue predicazioni, avevano assistito ai miracoli da lui operati, lo avevano sentito pregare e soprattutto avevano osservato il suo stile di vita ed i criteri delle sue scelte. Nonostante tutto questo ancora non comprendono.
C’è qualcosa in questo vangelo che colpisce: Maria di Magdala corre dai discepoli per raccontare quello che ha visto; Pietro e Giovanni corrono al sepolcro per vedere che cosa è accaduto. Corrono, guardano, ma non vedono fino a quando Pietro non entra dentro il sepolcro, e ciò significa: dentro l’esperienza del Cristo, dentro il mistero della sua Pasqua. Anche di Giovanni si dice che credette solamente dopo essere entrato nel sepolcro vuoto. Neanche l’amore umano più sincero è sufficiente per entrare nella logica dell’amore infinito di Dio.
Possiamo allora concludere che il dono della fede che fa vedere e conoscere nella verità accade in noi nella misura in cui entriamo in comunione con Gesù e prendiamo parte alle sue sofferenze e alla sua morte in croce.
L’annuncio della Risurrezione non è possibile quando, da stolti direbbe il vangelo, vogliamo evitare questa tappa della vita di Cristo, la tappa del dolore, della fragilità, dei limiti, della morte.
Viene spontaneo allora fare memoria di uno degli ultimi pensieri rivolti da Benedetto XVI ai consacrati e consacrate del mondo lo scorso 2 febbraio; pensiero che vogliamo fare nostro e soprattutto che vogliamo impegnarci a vivere in questa Pasqua del Signore Gesù:
“Carissimi, vi invito a una fede che sappia riconoscere la sapienza della debolezza. Nelle gioie e nelle afflizioni del tempo presente, quando la durezza e il peso della croce si fanno sentire, non dubitate che la kenosi di Cristo è già vittoria pasquale. Proprio nel limite e nella debolezza umana siamo chiamati a vivere la conformazione a Cristo, in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo, la perfezione escatologica (ibid., 16). Nelle società dell’efficienza e del successo, la vostra vita segnata dalla «minorità» e dalla debolezza dei piccoli, dall’empatia con coloro che non hanno voce, diventa un evangelico segno di contraddizione”.
Sr M. Viviana Ballarin, op
Presidente USMI nazionale
Vice presidente UCESM