Leggere e interpretare la realtà con gli occhi di Dio e il cuore gonfio di passione per la vita mette in cammino verso Colui che ha fatto nuove tutte le cose. Ed è la pace nel cuore e nella storia.
La Pacem in terris vera come cinquant’anni fa
Un testo di straordinaria qualità, capace di parlare a chi ha una fede e anche a chi quella fede non ce l’ha, eppure cerca realmente una via d’uscita alla crisi che stiamo vivendo. Un invito mai abbastanza accolto a operare per la pace. Quasi un ‘testamento’ di Giovanni XXIII, che di sé poteva dire in verità: Ovunque ho messo piede, ho messo anche il mio cuore, perché tutto il mondo è la mia famiglia! Con tale enciclica Papa Roncalli promosse un’azione capillare per sostenere contro l’istinto bellicoso la possibilità della pace, o addirittura l’ineluttabilità della pace (Loris Capovilla). Di fatto dalla sua pubblicazione ad oggi il testo è punto di riferimento per chi considera la pace bene primario e con tutte le proprie forze si impegna perché come tale essa sia perseguita a favore dell’intera umanità insieme alla lotta contro la fame. È più che mai attuale rivisitare oggi questa enciclica, che si rivolge alla famiglia umana. Ancora una volta essa ci fa misurare la distanza tra ciò che potrebbe essere e ciò che è la realtà, confermandoci nella consapevolezza che la libertà in ogni tempo è la prova più difficile per ogni persona. Per chi è discepolo di Cristo o si vuole mettere in cammino per diventarlo, vera sfida rimane la propria umile disponibilità all’azione dello Spirito per diventare libero. Allora il primato di Dio si tradurrà in una sostanziale pace interiore e in comportamenti sereni, umani e pacificanti all’interno di ogni relazione, a partire da quella familiare.
La pace è un’arte che si impara, a partire dalla famiglia
Addolorati e umiliati da tante situazioni quotidiane, spesso ci portiamo dentro inquietudini e rancori che non riusciamo a superare. I sentimenti negativi – incompatibili con la pace – finiscono per costruire e rafforzare relazioni conflittuali o, al più, di equilibrio passivo. In esse le opinioni si dividono e si contrappongono, i pensieri si smarriscono, i cuori rimangono turbati, le coscienze lacerate. Come purificarsi dai fermenti di ostilità e di partito preso, da antipatie e pregiudizi, dal desiderio di primeggiare?
”La pace è un’arte che si impara”, rassicurava Don Tonino Bello. E si impara cominciando a piantare – ovunque si riesca ad arrivare – i pilastri giovannei della casa della pace: ricerca della verità, soffio della libertà, fame e sete di giustizia, potere della convivialità delle differenze. Su tali pilastri – testimonia Tonino Bello – si possono con sicurezza riannodare le relazioni spezzate e le ferite di ogni storia personale, familiare e comunitaria.
Umanizzare il valore della pace
La pace “è possibile, perché le persone, nonostante i limiti che le attanagliano, sono esseri capaci di bene e di dialogo” (mons. M. Toso). La stessa vita quotidiana ci richiama di continuo al fatto che si può costruire solo sulla vicendevole fiducia. Non sono infatti le difficoltà ad affondare le famiglie e le comunità. Sono piuttosto l’arroganza, la sufficienza e la falsità che fanno smarrire il senso della realtà e colorano gli atteggiamenti e i comportamenti delle persone con la presunta sicurezza di essere il ‘Bene’ che combatte contro il ‘Male’. Sicurezza sempre sospetta e certamente non rispettosa della verità. Tutti, proprio tutti infatti siamo uguali, tutti differenti e tutti in relazione… Ognuno perciò può fare qualcosa per umanizzare la pace: in questo non c’è nessuna prima fila. Ma forse a noi – nel nostro tempo un po’ sbandato e, nel fermento per un cambiamento radicale, anche alla ricerca di grandi valori – manca proprio la fresca fiducia nella possibilità di cambiare costruttivamente. Come risvegliarla?
… e convertirlo in vita quotidiana
La maggioranza delle persone nel nostro Paese ha buon senso, ma rischia di essere scavalcata, come le vicende di piazza ogni tanto dimostrano. Certamente un modo di agire politico ha separato l’autorità dalla effettiva autorevolezza dei comportamenti e la rappresentanza democratica dalla reale rappresentatività dei bisogni e degli interessi dei cittadini. Ma è altrettanto vero che noi stessi, ognuno per la sua parte, può farsi responsabile della distruzione di quell’edificio invisibile che è la pace. In fondo spesso si trova più ‘comodo’ nascondersi dietro mille alibi e rimanere inerti nelle situazioni concrete, che dovrebbero invece essere corrette. Si sta a guardare, ci si lamenta. Magari si assumono atteggiamenti tattici tanto per superare un’emergenza. Si protesta, si esprime disillusione e rabbia, si punta anche (e giustamente!) il dito contro chi ne è responsabile, si chiede agli altri di ‘cambiare’. Ma nel proprio piccolo spazio non ci si dispone davvero con volontà umile, forte e sincera a sanare situazioni malate che ci toccano da vicino. E il tessuto sociale in cui ci si muove si corrompe, con ricadute pesanti sui rapporti quotidiani. Si consuma insomma quella cultura democratica che richiede grande attenzione anche ai toni e alle parole; e non inneggia certo ad alcun tipo di violenza, nemmeno metaforica.
Cuori ‘pacifici’: profezia controcorrente
La storia in realtà è proiezione esterna delle decisioni dei cuori suscitate dallo Spirito. Lo spazio inesplorato della fede abbraccia e penetra nel profondo le vicende umane e dà al credente la “forza di osare di più e la gioia di prendere il largo”. Ma essere operatori di pace secondo il Vangelo è esigente: un dono che non si compra a poco prezzo! È la fede che nutre in profondità i cuori, perché siano manifestazione evangelica. E quando la sapienza del sorriso penetra nell’agire quotidiano, a sua volta alimenta la vita di fede. Certo non ci si può illudere di superare le proprie inquietudini interiori, i rancori che ci si porta dentro senza lasciare spazio allo Spirito di gioia e di pace, perché è lo Spirito che fa accogliere quella pace che sorpassa ogni nostra veduta e diventa decisione ferma e seria di amare tutti i fratelli, senza eccezione o esclusione. Utopia? “Beati gli operatori di pace”, dice il Vangelo… Beati non perché qualcuno pensa di essere arrivato, ma perché ogni giorno parte di nuovo e si rimette in cammino. Allora la pace è davvero ineluttabile. Forse ci vorranno anni perché possa diventare realtà, ma il tempo non è nostro! L’importante è che “noi non coltiviamo un’utopia, ma una sicurezza, una speranza; la speranza evangelica che un bel giorno gli uomini aboliranno la violenza e insieme collaboreranno” (mons. L. Capovilla). Certo se uno ha il passo troppo lungo, gli altri stenteranno a stargli dietro. Così soffre lui e soffrono anche gli altri. Ma – diceva Paolo VI riferendosi al percorso di vita di Primo Mazzolari – questo è il destino dei profeti. Profeti del valore assoluto delle cose ultime.
Luciagnese Cedrone
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