La passione civile, che molti oggi credono nascosta, scomparsa, o comunque ai margini della nostra società, si risveglia nei giovani di 20/25 anni quando con loro si toccano seriamente i temi della legalità.
Tante le storie difficili e i ritratti dei giovani di oggi: dai nuovi drammi nascosti dell’anoressia e della bulimia, ai mondi dimenticati del carcere e della disabilità. Ma in mezzo ci sono esperienze di grande impegno a favore della pace e della lotta alle mafie.
Eppure se i riflettori oggi si accendono sui giovani, ne viene un quadro in cui qualcuno è messo lì come richiamo di successo e prestigio; gli altri sono raccontati con i peggiori aggettivi: giovani maledetti, protagonisti di bullismo, abuso di alcool, stragi del sabato sera, fascino per la vita facile proposta dalla malavita organizzata.
La partita della legalità e della pace si gioca su una linea sottile, ma decisiva, dove credenti e uomini di buona volontà non possono non trovarsi uniti.
Se il buon protagonismo di tanti, che pure esiste e andrebbe assecondato e raccontato, rimane in ombra e non fa notizia, ogni tanto però qualche fatto supera gli steccati del silenzio. Per esempio l’idea bizzarra e geniale dei ragazzi di Gela di tappezzare tutti i negozi di Palermo -città malata- con migliaia di adesivi che recano lo stesso messaggio: Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità. Un’idea nata in loro semplicemente ascoltando le parole della moglie di Libero Grasso, ucciso sì dalla mafia, ma anche dalla solitudine. Così, con l’episodio degli adesivi, i giovani mostrano la collettiva responsabilità per una rassegnazione antica, ma sempre nuova.
E ancora. I giovani cercano risposte al loro smarrimento interiore e non rimangono indifferenti per esempio alle storie di solitudine e abbandono raccontate dalla mostra fotografica Ali bruciate. I bambini di Scampia (Questa mostra sui bambini soldato della camorra rimarrà aperta a Roma -Casa della Memoria e della Storia- fino al 22 ottobre 2010): guardano quell’inferno e colgono il calvario di tanti innocenti. Con loro ravvivano la propria voglia di guardare oltre le vele e di solcare altri mari.
Tutto questo ci ricorda che Sperare è possibile. Anche quando il mondo ti crolla addosso, anche quando tutto sembra congiurare contro di te, sperare è possibile (Gemma Calabresi). E la speranza, che è una energia anche fisica, passa oggi soprattutto attraverso il dialogo interculturale e la conoscenza reciproca fra adulti e giovani. Allora percorsi di rinascita sorgono anche là dove il baratro sembra non lasciare speranza.
Don Daniele Simonazzi, per esempio, sperimenta da anni questa strada offrendo ascolto, sostegno e voce agli internati dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. Con la sua diaconia punta a smuovere le comuni coscienze di fronte a una realtà poco esplorata, ma fatta di persone con voglia di raccontare, di costruire legami, sentirsi parte di un’unica società; persone che non hanno alcun merito per essere rispettate, tranne quello di essere povera gente.
Molti oggi s’impegnano a fare squadra e mettono insieme le proprie ragioni contro l’illegalità, la violenza e la mafia. Si fanno carico di ciò che non funziona dentro la società. Invitano i giovani e li coinvolgono, magari semplicemente a partire dalle riflessioni e dai confronti realizzati e vissuti in Campi Scuola estivi, in progetti sociali concreti.
Imparare insieme
È quello che, nella provincia di Arezzo, s’impegna a realizzare il Gruppo Rondine, nato intorno ad un’idea forte e originale: far convivere, in luogo e contesto neutrali, giovani provenienti da Paesi in conflitto e che nelle loro terre sarebbero potenziali nemici. La sfida è che, condividendo spazi, tempo, studio, attività quotidiane, relazioni e valori, si realizzi, attraverso una crescita personale e comunitaria, un’unica famiglia. I problemi veri infatti spesso sfuggono a coloro che non li vivono direttamente e insieme.
Quelli citati sono solo esempi di movimenti misti di adulti e giovani, di persone che hanno scelto di non rinunciare al bene anche quando le strade per viverlo sono faticose.
Ma come far emergere questi percorsi nella nostra società? Quali prospettive hanno oggi le nuove generazioni? E la scuola risponde davvero alle esigenze della società di oggi?
Legalità e nuovi percorsi educativi
Non c’è legalità senza una percezione di senso (Marco Guzzi). Forse la legalità è semplicemente l’effetto di una situazione sociale. E forse la corruzione sociale e l’illegalità sono l’effetto di un corpo sociale, culturale e, ancor prima spirituale, morto. Un corpo morto, si sa, si corrompe, si rompe.
Come diventare compagni di viaggio di chi si trova a vivere in un corpo morto, ad avere a volte come unica scelta quella dell’illegalità?
Un interessante incontro, per riflettere su questo tema della legalità e sull’urgenza di proporre nuovi percorsi educativi, si è tenuto il 14 luglio scorso a Roma, sempre alla Casa della Memoria e della Storia. All’iniziativa, promossa fra gli altri dalle Edizioni Paoline, hanno partecipato il filosofo Marco Guzzi e il giornalista di Avvenire Diego Motta.
Educare a pensare
Abbiamo bisogno di gente che pensa e che sappia guidare i giovani a pensare e sentire, abbandonando -tutti- la passività mentale dello spettatore televisivo. I giovani spesso dicono cose che non sentono perché sono scissi…, ma solo loro?
I soggetti della relazione educativa (educatore e anche educando!), particolarmente oggi, sono chiamati insieme a fare esperienza autentica di attenzione e interesse del cuore donati e ricevuti; a far crescere e scambiarsi la propria capacità di ascolto sui reciproci vissuti.
Soprattutto i giovani hanno bisogno di scoprire che il pensiero ha a che fare con la verità e che non ci sono solo le opinioni. Per questo è necessario imparare a discutere con il giovane, dimenticando per lui tutto il proprio sapere e con lui scoprire le cose, le relazioni. Soprattutto imparare ad ascoltare davvero: se non riusciamo a sentire quel che il giovane dice e non comprendiamo perché lo dice, allora sarà davvero difficile aiutarlo a costruirsi nuove esperienze che lo aiutino eventualmente ad annullare gli errori commessi.
Molti oggi sono impegnati con intelligenza e senza risparmiarsi a fare questa cultura; a sperimentare e insegnare la libertà vera, il gioco relazionale liberamente vissuto nel dono.
Ma è certo che l’avventura dell’educare appartiene a ciascuno. Come è di tutti la responsabilità di consegnare alle nuove generazioni il faticoso e appassionante mestiere di vivere.
Luciagnese Cedrone
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